IL SIG. TOTONNO
di Nunzio Platania




Il sig. Totonno era un impiegato di dodicesima categoria: faceva l’usciere-archivista in un piccolo comune situato all’estremità bassa dell’italico stivale.
Conduceva una vita tranquilla ,se si vuole: la moglie, ritenendolo il responsabile del mancato raggiungimento del suo sogno che consisteva nell’andare a vivere in un lussuoso condominio in una grande città, lo angheriava quotidianamente prendendo spunto dai futili motivi che la futile sua esistenza le forniva quotidianamente.
Il suo capoufficio non aveva manco bisogno di motivi per bistrattarlo otto ore al giorno, gli bastava immaginarlo come responsabile di quel mancato trasferimento che da dieci anni lui andava sognando e che mai avrebbe ottenuto.
Il sig. Totonno aveva pure due figli che però non lo guardavano neppure: la femmina era infatti impegnata a guardare invece la TV, sognando di fare la top model e il maschio scapestrava con una losca banda di semidelinquenti di fuori paese, guardando fumetti di Diabolik è sognando di fare il boss delle malavita.
Insomma una tranquilla famiglia di sognatori che conduceva una vita tranquilla ,in un paese di sognatori tranquilli, in un tranquillo angolo appartato del nostro tranquillo stivale; ma solo se si vuole.
Ufficialmente il sig. Totonno sognava la pensione, come tutti del resto e questo suo punto di arrivo esistenziale lo configurava, senza scarto alcuno, nelle tranquille aspirazioni condivise dalla totalità dei suoi compaesani.
In realtà conduceva già a 45 anni una vita da pensionato: ufficio, si fa per dire, e casa: trecento metri di superflua distanza per scalare di un altro giorno i restanti 15 anni che mancavano ancora al sogno liberatorio.
Ma il sig.Totonno coltivava in gran segreto un altro sogno ,solitario stavolta: fuggire da quella squallida sua vita e girovagare per il mondo libero da tutti quegli oppressori sotto i cui piedi immolava quotidianamente il suo capo.
Fin da quando era nato, si può dire, aveva accarezzato, seppur indistintamente, l’idea di essere altrove e di essere un altro. Ma fu dopo aver esplorato le delizie della coniugalità che a questa generica aspirazione si era tosto aggiunto il doveroso concetto di fuga.
La via prevista per l’evasione era il mare.

Bisogna sapere che l’anonimo paesuncolo in cui i suoi natali l’avevano confinato, sorgeva sulla sponda dell’italico mare; una distesa di rilucente arenile che si perdeva a vista d’occhio a destra e a sinistra uscendo dal paese.
E lui, quando i suoi abituali aguzzini avevano smaltito la razione quotidiana di frustrazione personale da scaricargli addosso, era solito venirsene su quella spiaggia per lo più deserta, a fantasticare di essere sopra una delle tante navi che si vedevano passare all’orizzonte.
Lui stesso ammetteva che come piano di fuga era ancora imperfetto, ma si diceva che aveva ancora tanto tempo per perfezionarlo a dovere e intanto veniva sulla spiaggia sperando in una qualche ispirazione, un giorno.
Che venne, in un tardo pomeriggio di un qualsiasi giorno.
Era andato, come al solito furtivamente, ad appollaiarsi sull’unico masso levigato che, chissà quali misteriosi eventi orografici avevano portato su quella abbagliante spiaggia proprio sul bordo del mare, quando all’improvviso, magicamente, una barca a vele spiegate era spuntata all’orizzonte e navigava maestosamente per destinazioni sicuramente favolose.
Il Sig. Totonno ebbe in quel preciso istante la folgorazione che attendeva da tanto tempo: ecco come attuare la fuga. La barca a vela. Sicuramente un mezzo di trasporto economico, emblema di libertà sconfinate, libero di viaggiare in quella immensa autostrada data dallo sconfinato mare.

Tale fu l’emozione che, dimenticando che alle 20 la sua signora consorte esigeva che la sua inutile presenza presenziasse alla rituale cena con i rituali insipidi cibi e altrettanto scipiti commensali, invece, ipnotizzato da quella rivelatrice visione, si attardò e continuò fino a buio inoltrato a seguirne la traccia all’orizzonte.
Quella sera, appena lo vide rientrare a casa, alla signora non parve vero di avere a disposizione una occasione come quella per fustigare l’incauto marito reo del terribile sgarro commesso ai danni della tranquillità domestica, per non parlare della mezzora di programma televisivo persa a causa dell’inqualificabile ritardo, e quindi si profuse in una doppia razione di litanie lamentose tutte concettualmente centrate sulla imbecillità e l’inutilità dell’esistere del suo inutile consorte.
Dopodicchè se ne andò assieme alla figlia davanti al TV per rifarsi con una doppia razione di utilissimi e istruttivissimi programmi quiz.
Il sig. Totonno era quasi felice di aver pagato quel prezzo accettabile in cambio della rivelazione che aveva ricevuto e quindi se ne andò a letto a fantasticare sui dettagli del piano.
L’indomani, dopo una notte, agitata il sig.Totonno si presentò in ufficio mettendo come al solito a disposizione del suo capoufficio la sua carcassa , bersaglio prediletto da infilzare a piacimento, ma quel giorno il suo volto rivelò subito al tiratore scelto una insolita traccia di umano luccichio, che costui penso bene di spegnere, raddoppiando la solita razione di dichiarazioni circa l’inettitudine e l’assoluta mancanza di qualità intellettive, per non parlare del vuoto siderale in fatto di doti professionali, di cui la sua vittima era carente e di cui lui invece era abbondantemente fornito, ma che - ahime! - erano insufficientemente valorizzate in quello squallido paesotto, ma soprattutto mortificate dal contatto con subordinati così dequalificati.
Ma la mente del sig Totonno era altrove : per l’esattezza era ferma sull’unico punto che durante la notte il medesimo aveva messo a fuoco e che sempre più appariva come momento determinante nell’attuazione di un possibile piano di fuga. E cioè il fatto che lui di barche a vela non sapeva nulla, e neppure di barche senza vela e neppure di mare senza barche e neppure di navigazione senza mare e neppure di geografia senza navigazione , e neppure della necessaria padronanza di lingue straniere e neppure...
Insomma mentre il suo capoufficio si accaniva a rappresentarlo come il più imbelle e ignorante degli impiegati del regno, al sig. Totonno apparve improvvisamente chiaro che forse un pò di ragione l’aguzzino ce l’aveva.
A conseguenza di questa prima ammissione, e per la prima volta nella sua vita, nella mente del sig.Totonno balenò in tutta la sua inoppugnabile evidenza, la necessità di porre rimedio alla sua pluridichiarata ignoranza prendendo i necessari provvedimenti.

Si sveglio quindi dalla letargica espressione di martire che assumeva abitualmente per otto ore al giorno e come preda di una occulta energia sprigionatesi improvvisamente dalla sua impiegatizia statura, si erse e guardando il suo diretto superiore dritto negli occhi, gli spuntò un impensabile: “Mi aggiornerò, mi metterò a studiare per sapere tutto quello che non so ! ”.
Il dirigente in capo si allarmò un tantino percependo il quel dire un guizzo di ribellione alla triste sorte a cui il poverino si era da sempre mostrato rassegnato e temendo un ulteriore rigurgito di sovversivismo in grado di intaccare il tranquillo tran tran, ordino seccamente al nostro di spostare una catasta di pratiche polverose che giacevano da anni in un armadio consunto e di trasferirle in un identico armadio consunto che stava di fronte al primo.
“Così impara a guardarmi dritto negli occhi” commentò soddisfatto tra se.
Mentre Totonno con insolita sollecitudine traslocava l’ammasso muffito di cartaccia nella nuova, si fa per dire ,sede, cantilenava mentalmente: “Gli faccio vedere io a quello la...di cosa sono capace.”.
Mai simili blasfeme idee avevano trovato accoglimento nei meandri della sua coscienza, tuttavia il sig.Totonno prendeva sempre più atto che fulmini dal cielo non ne piovevano ancora, sicchè quando l’ultimo pila di fascicoli fu accatastata ordinatamente nell’ultimo ripiano del mobile, seppe già quello che avrebbe fatto nel suo futuro immediato.

Il bar tabaccheria cartoleria era l’unico anello di congiunzione con il resto del mondo, e sorgeva sulla piazza principale ; ne era titolare un suo ex compagno di classe al tempo delle elementari, al quale il sig. Totonno, nel pomeriggio di quel dì, rivolse la prima domanda rivelatrice del suo segretissimo progetto.
“Di un po Cicillo,che c’avresti qualc’una di quelle riviste che parlano...chessò... di barche a vela,...sai quelle belle patinate che si vedono nelle edicole delle città, ah ?”
A Cicillo, che in quel momento era in versione barista, scivolò dalle mani una tazzina di caffè che stava lavando, una delle sei di cui era dotata la sua azienda, ma incurante del danno che aveva subito la sua proprietà , guardò strabuzzando gli occhi l’incauto interrogante e profferì un definitivo: “Che ti sei ammattito...ah !”
Il sig.Totonno capi di aver imboccato una strada minata e lestamente battè in ritirata, riassumendo quell’aspetto di derelitto rassegnato che era ben noto a tutti e quindi provvidenzialmente in grado di rimettere tranquillità nell’ordine millenario che egli aveva per un breve istante incrinato.
Poi se ne torno a casa ruminando su tutte le precauzioni da prendere in futuro per non fare mosse sbagliate atte a far trapelare e quindi rendere di pubblico dominio i suoi inconfessabili e sovversivi progetti.
Quel giorno si sottopose quindi, quasi grato, alla angherie coniugali con il coscienzioso intento di cancellare le tracce di eventuali sospetti che potessero essere sorti nei suoi confronti, riguardanti aspirazioni illecite di qualsiasi tipo.

Fu la domenica successiva che il nostro risfoderò, stavolta più astutamente, i suoi segreti intenti, dichiarando sul far del mattino alla moglie : “Oggi vado in città a fare una visita alla zia in ospizio”.
La cosa non era insolita ,anche se molto rara, per cui alla moglie l’idea di riposarsi da quel massacrante lavoro di massacrare quotidianamente il marito non dispiacque e quindi accordò un beneplacito consenso, condito dalla raccomandazione di non spendere più di tanto in dolcini per la superflua gioia della superflua sua zia.
In verità era propria attorno alla spesa che si arrovellava il povero sig.Totonno, in quanto, essendo che la sua consorte carnefice era anche, ci mancherebbe, la cassiera dei suoi miseri stipendi, non sapeva cosa avrebbe potuto inventare al ritorno per giustificare l’ammanco della cifra che si accingeva a spendere per comprare i libri che parlavano di vela e il cui acquisto era la vera ragione di quel viaggio oltre i confini del villaggio.
Si buttò il dilemma dietro le spalle con un :“Ci penserò dopo”, e presa la corriera delle 10,20, si scolò gli ottanta chilometri di strada dissestata che lo separavano dalla civiltà urbana.
Ogni volta che era venuto in quel capoluogo urbano si era sentito frastornato. Sperduto, in un mondo di cui avvertiva il pericolo sempre in agguato, e dal quale si sentiva percepito come un intruso da scacciare e con derisione, quasi che la sua stessa presenza in città denunciasse l’inconcepibile insolenza a volersi considerare uno uguale agli altri.
Ma questa volta il suo piglio aveva stranamente assunto, anche nel camminare, un passo diverso. Capì (mica era scemo) che era quel suo progetto di rivolta, adesso reso parzialmente visibile al mondo, a farlo sentire quasi un cittadino come quelli che gli passavano sveltamente accanto, lui che adesso progettava addirittura di diventare cittadino del mondo.
S’infilò quindi con passo baldanzoso nella sontuosa libreria che sapeva esserci lungo il corso principale e cominciò ad aggirarsi con finta sicumera tra le ponderose opere che affollavano gli immensi scaffali.
Dopo un’ora gli doleva il collo a furia di storcerlo per leggere i titoli sui dorsi dei libri; la sua scarsa frequentazione di simili luoghi non lo induceva a individuare le zone specializzate che avrebbero accelerato la sua ricerca, per cui continuava ad aggirarsi nei corridoi della gigantesca libreria, nella vana speranza di poter leggere da qualche parte la parola “vela”.
Ma sicuramente qualcosa nella sua malcelata ignoranza in fatto di ricerche bibliografiche doveva essere trapelato dalla apparente sicumera, perché improvvisamente da dietro le sue spalle squittì il tagliente accento cittadino di una poco più che ventenne commessa che, con un sorriso da vampiressa, gli chiede : “Posso aiutarla ,signore?”
Imbarazzato, come ladruncolo sorpreso a rubare la mela altrui, farfuglia, sputacchia, bofonchia, poi qualcosa di intellegibile fuoriesce: “Qualcosa sulla vela... se ce n’è...è per un regalo...”
L’arpia che aveva ben adocchiato il pollo, lo trascina muovendosi lascivamente e con grazia tra le pile di libri che si ergevano a mò di campo di slalom, e s’arresta davanti ad una intera parete di testi nautici . “Ecco, signore, se le interessa un ottimo libro da regalare, le consiglio questo. Per fare bella figura non c’è di meglio. E’ appena uscito..”
E comincia a sfogliare quel mostro di libro: dimensioni mezzo metro quadrato, copertina in vera pelle, caratteri oro puro e dentro stupende immagini di velieri d’epoca, galeoni spagnoli, fregate inglesi, clipper americani, per lo più riproduzioni di dipinti a olio e poi raffinati modelli di navi, affiancati ad una serie di immagini di cimeli nautici gelosamente custoditi nei migliori musei del mondo.
Un tripudio di cultura navale per intenditori.
Il sig.Totonno è frastornato, ma anche estasiato; non capisce più niente, ma il fatto di essere trattato da signore, in grado di apprezzare un’opera d’arte di tale valore, certamente segno di rara cultura marinara, prerogativa di pochi intenditori, aveva annullato le già scarse capacità di discernimento, per cui preso da raptus da lusinga, non esita neppure quando dichiara: “E’ proprio quello che cercavo. Lo prendo !”
Alla cassa la solenne matrona lo scruta dalla testa ai piedi e poi lo falcia con un disinvolto
“Duecentocinquantamila”.
Inebetito il sig.Totonno, caccia fuori l’intero suo stipendio e con 7 chili di pacchetto sottobraccio, esce dal luogo della rapina e improvvisamente, con l’aiuto dell’aria fresca della sera, si ricorda che era venuto per cercare un libro che lo istruisse sul come fuggirsene dal mondo con una barca a vela.
Quando il sig.Totonno rinsavì del tutto, la prima cosa che gli venne in mente fu il suicidio.
Dopo aver esplorato tutte le infinite possibilità che la grande città offriva per eseguire il doveroso compito, compreso l’uso non del tutto improprio delle automobili che gli sfrecciavano accanto, decise che si poteva rimandare di qualche ora e quindi si accasciò sopra una panchina in una elegante piazzetta nella zona più in della città. Ormai convinto di vivere i suoi ultimi attimi, decise prima ,di dare un’ultima occhiata a quella inebriante visione dei favolosi velieri del libro e quindi dopo aver scartato dalla elegante confezione l’oggetto che l’avrebbe portato alla tomba, cominciò a sfogliarlo stavolta però con l’immensa mestizia che ormai gli attanagliava il cuore. Lo poggiò poi aperto accanto a se sulla panchina, col gesto definitivo di chi abbandona per sempre gli ultimi contatti con le gioie ormai perdute della vita.
Riesaminò per puro scrupolo l’improponibile rientro a casa con il malloppo sottobraccio, immaginando, con implacabile nettezza di dettagli, la mannaia nelle braccia erculee di sua moglie nell’attimo in cui azzannava il suo collo. Rivide la scena ripetute volte, certamente consapevole che una sola esecuzione capitale non sarebbe bastata per estinguere il crimine commesso.

Fu durante la diciottesima esecuzione che accadde.
Per quelle incredibili combinazioni del caso che la vita talvolta offre agli sventurati, dall’altro lato della piazza, una schiamazzante comitiva di eleganti signori e signore usciva da un lussuosissimo ristorante dalle vetrine ammiccanti e si dirigeva proprio nella direzione del nostro armai agonizzante sig.Totonno, per salire sull’altrettanto sontuosissima macchina parcheggiata a due metri dal morituro.
Appena nei pressi, un impellicciato signore dalla nobile e aristocratica barba bianca, fa un balzo scartando improvvisamente dalla allegra compagnia e con passo felino si avventa sul libro che il nostro malcapitato aveva lasciato scivolare dalle sue ormai defunte dita, lo prende e con un baritonale e festoso tono di voce annuncia rivolto alla allegra brigata :“Guardate, abbiamo la fortuna di avere incontrato uno dei nostri dieci estimatori”.
Rapido e concitato accerchiamento dei nobiluomini e nobildonne che si mettono a sfogliare le lussuosissime pagine con l’eleganza tipica di chi è avvezzo a maneggiare oggetti preziosi, finché l’aristocratico che aveva annunciato il ritrovamento quasi accorgendosi per la prima volta della reale presenza della salma del sig. Totonno, con sussiego si presenta.
“Permette? Sono il dott.., editore del libro che lei, vedo, ha appena acquistato. Se permette vorrei approfittare di questo certamente non fortuito incontro per saperne di più sulle preferenze di chi come lei sa apprezzare simili opere d’arte...quindi se permette le presento i miei amici....Ing. Tal dei tali, titolare di una delle più prestigiose aziende per il recupero e il restauro degli antichi velieri, Il dott. ...direttore del museo navale di....e consorte, il sig....,che certamente lei conoscerà, noto per aver partecipato come skipper all’ultima edizione della regata per battere il record...e la sua compagna.....l’attrice che certamente lei avrà apprezzato nel suo ultimo film...”
Sciorinò uno dietro l’altro ben otto tra nomi e titoli degli abitanti di quel mondo fatto della più illuminata cultura navale, al nostro sig. Totonno che, incredulo prima, sbigottito dopo, balbettante in seguito, nel frattempo si arrabattava alla meglio, stringendo mani patrizie e tentando goffi baciamano alle signore le quali invece schiamazzavano giulive, complimentandosi con lui per l’acquisto di quella cosa che, appena pochi minuti prima, gli era apparsa come la pergamena su cui era sentenziata la sua condanna a morte.
Poi, preso da totale intontimento, non si rese neppure conto che nel frattempo l’avevano portato nel sontuosissimo ristorante da dove erano usciti prima, e si trovò quindi seduto, con un drink in mano, attorniato da quel pò pò di “loro maestà”, le quali ad un certo punto cominciarono discretamente a porre delle domande sul loro non fortuito incontro con uno dei primi acquirenti del libro che era uscito qualche giorno prima e loro si trovavano proprio li per festeggiare l’evento.
“ Di quale ramo si occupa lei, sig. Totonno, se mi posso permettere...”
Il sig.Totonno deglutì con fatica con tutto il nocciolo l’oliva che galleggiava nel bicchiere e con voce strozzata fa: “Archivio...”
“Bene! Lo dicevo io, c’era da immaginarselo, l’avevo indovinato... e proprio quello di cui mancavamo: un esperto di archivi navali... che fortuna è stato incontrarla, dott.Totonno”- scoppiettò, esultante sprizzando contentezza l’editore.

A Totonno girava la testa, gli ronzavano le orecchie, aveva i crampi al piede e non riusciva a mettere a fuoco gli oggetti e i volti che danzavano vorticosamente dentro il suo cranio, finché, ormai collassato del tutto, per uscirsene di scena, scivolò sotto la sedia, con insospettata eleganza, certamente frutto delle recenti frequentazioni con il censo dei suoi ospiti, e svenne.

Quello che accadde dopo, lo seppe l’indomani mattina, davanti ad una sontuosa colazione all’americana, con una deliziosa cameriera mauriziana che lo serviva discretamente, versandogli libagioni esotiche, attorniato da quelli che durante la notte erano ,a sua insaputa diventati i suoi amici, così dissero, su un panfilo di 30 metri, super lussuoso, ancorato alla fonda, in un posto di sogno che lui non conosceva neppure.

E da cui non sbarcò mai più per i successivi sei anni, cioè fino ad oggi che si trova alle Seychelles.
A bordo fa il contabile. L’archivista contabile, prego!
La moglie lo crede morto, certamente inghiottito da quella città a confronto delle quale si evidenziava la sua totale inettitudine. E a mo’ di epitaffio suole dire ancora oggi : “Certamente non fu una grave perdita perché, era si tanto buono, ma non aveva aspirazioni.”



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