La VOC di Cristina

VOC, OVVERO: LA VERA STORIA DEL CAPITANO LONG JOHN SIMON
Su famoso Long John Simon sono state dette molte cose, a volte discordanti e non sempre veritiere: ora sant'uomo e ora bestemmiatore, ora agitatore e ora paladino della legge, ora primadonna e ora seguace del motto "vivi nascosto". E molte altre se ne potrebbero aggiungere, se si interrogassero i molti uomini e le molte donne che presumibilmente hanno avuto a che fare con lui prima che, entrato oramai nel mito, sparisse senza lasciare traccia di sé, né tanto meno raccontare la sua versione dell'Evento che cambiò radicalmente la vita di tutti noi.

Sì, perché almeno questo di vero c'è nelle storie che circolano sul leggendario capitano del Khaa: incontrarlo era come trovarsi faccia a faccia con il Destino, alla cui stringente necessità ogni essere umano che abbia esperienza della vita non può che sottomettersi con un atto di fede.

E io, che nel corso dell'Evento svolsi il ruolo di vestale delle sue sigarette, grazie a tale circostanza potei osservare da vicino le minime sfumature del suo complesso carattere, le più piccole variazioni del suo umore e persino il rapido pulsare del sangue nelle sue vene. Mi accingo dunque a raccogliere qualche frammento di verità su di lui ora che, nella quiete della mia modesta dimora romana, il fiume di acido lattico che circolava nel mio corpo si è finalmente dissolto. Ma - di questo sono certa - non si sono dissolti con esso i ricordi dell'Evento, che rimarranno vividi per molti e molti anni nella mia memoria.

Era un pomeriggio cupo e piovoso, di quelli che suscitano negli animi sensibili oscuri presagi. Salutai in fretta gli altri partecipanti all'Evento, assiepati in banchina sotto una tettoia, e mi diressi con il cuore in tumulto verso il pontile dov'era ormeggiato il Khaa.

Il primo che vidi salendo a bordo fu un altro personaggio a buon diritto considerato mitico: Sansoni il Panaio, Angelo di nome e di fatto, che nei giorni seguenti avrebbe nutrito i nostri corpi con i prodotti del suo forno e le nostre anime con quelli della sua arguzia poliglotta, quella sorta di lingua franca dei porti che per secoli ha permesso ai marinai di comunicare tra loro benché provenissero da terre lontane e straniere l'una all'altra.

Scesa poi nel quadrato, vidi subito il capitano, in tutta l'imponenza della sua statura. Ma la mia attenzione - mi perdoni Long John Simon se mai mi leggerà - fu subito catturata da un'altra figura circondata da un'aura leggendaria: Monica Nolli, una donna priva della vista ma non certo della forza di carattere, una forza potente che l'aveva condotta sin lì e che - i gentili lettori mi permettano una breve notazione personale - nei giorni successivi mi costrinse a riflettere su questioni della massima importanza per chi voglia vivere la vita fino in fondo e non limitarsi ad attraversarla come uno spettro, di quelli che pure si incontrano nei nostri mari, sulle banchine e nelle nostre affollate città. La questione dei nostri limiti, innanzitutto, e quella dei limiti degli altri. Limiti a volte fisici, certo, ma più spesso intellettuali, emotivi, psicologici, come molti di noi hanno avuto l'occasione di sperimentare nel corso dell'esistenza. Del coraggio con cui ci sforziamo di superarli, della viltà con lui li consideriamo un dato immutabile, del principio di realtà che talvolta ci costringe ad ammettere che sono invalicabili. Dei rapporti tra le persone, che quando sono autentici altro non sono che messa a nudo dei nostri limiti e scoperta di quelli degli altri. E, infine, delle qualità, delle motivazioni e dei sentimenti che ci vogliono per accettare entrambe le cose.

Ma torniamo a lui, al protagonista di questa storia. Non prima, però, di aver presentato il quinto membro dell'equipaggio del Khaa: Guido Schillaci, giunto per ultimo a bordo ma preceduto da una ventata di mistero che tuttora avvolge la sua indelebile figura. Ma, si sa, il mistero talvolta è foriero dei doni più preziosi - e i tre doni che Guido portò sul Khaa si rivelaronoessenziali per la nostra sopravvivenza. Il primo fu una profonda e dettagliata conoscenza della barca, particolarmente utile all'arrivo a Porto Ercole quando, con la batteria del motore a terra, si trattò di constatare che non c'era altra soluzione che farci trainare al pontile. Il secondo furono novanta bottiglie di acqua minerale; circostanza, questa che ci permise di cogliere la sagacia del nostro capitano: egli ci aveva infatti indotti a credere che intendesse usarle come ballast, ma in realtà già sapeva che sarebbero servite a soccorrere altri marinai in difficoltà; cosa che puntualmente accadde quando capitan Cippa Lippa e Mozzo Ste, che si erano talmente prodigati nell'organizzazione dell'Evento da mettere in secondo piano i loro bisogni personali, rischiarono di morire di sete con tutto l'equipaggio. Il terzo dono di Guido fu una poderosa scorta di alcolici che, sommata al limoncello preparato da Monica, contribuì in misura inestimabile al nostro benessere nei giorni seguenti.

Esaurite dunque le presentazioni, mentre la pioggia continuava incessante e la vostra scrivana cercava di riordinare la ridda di pensieri suscitati dall'incontro con personaggi siffatti, Long John Simon prese a parlare dell'Evento che ci attendeva, rivolgendosi a noi con una familiarità e una gentilezza che ancora oggi, a ripensarci, mi riempiono di piacevole stupore. Ma, nonostante le sue parole sicure e autorevoli, non riuscivo a rilassarmi fino in fondo.
L'oscuro presagio portato dalla pioggia gravava ancora come un'ombra sul mio cuore.

Pochi minuti dopo, capii che i miei presentimenti erano veritieri.
Accompagnata dal fragore di un tuono e da uno scroscio più violento degli altri, la sagoma di un uomo, parzialmente coperta da un inquietante ombrello verde che ne nascondeva le fattezze, si fermò sul pontile davanti alla nostra barca. Accanto a lui riconobbi una vecchia conoscenza, Monica Barducci, e in un istante, mentre la voce dell'uomo chiedeva in tono mellifluo il permesso di salire a bordo, capii di chi si trattava: era niente meno che capitan Diabojolik dagli occhi di ghiaccio, il nostro avversario più temibile. E i miei gentili lettori, che ormai conoscono la conclusione dell'Evento, possono ben comprendere il turbamento che agitava l'animo della sottoscritta.

Ma lui, Long John Simon, non è uomo da sottrarsi alle sfide. E così, mentre la vostra scrivana supplicava tremante Diabojolik di lasciare almeno a terra il suo luciferino parapioggia, il capitano tagliò corto offrendogli tutta l'ospitalità che il nostro angusto quadrato poteva concedergli. Dalle poche e asciutte parole che i due uomini si scambiarono, capii che si conoscevano da lungo tempo. Ma furono soprattutto i toni, le pause e gli sguardi a permettermi di intuire la cosa più importante: la loro personale sfida sui mari era sul punto di rinnovarsi ancora.

Vi avevo annunciato null'altro che qualche frammento di verità, non certo una cronaca dettagliata dell'Evento. Com'è andata, del resto, lo sapete: Long John Simon perse la partita.

Qualcuno potrà chiedersi se commise degli errori o se noi, ovvero il suo equipaggio, fummo all'altezza della situazione.
D'altro canto, per amore di verità bisognerebbe anche enumerare alcuni difetti dell'attrezzatura del Khaa. Ma spero che i lettori che hanno avuto la bontà di seguirmi fin qui mi perdoneranno se, in questa sede, mi limiterò ad avanzare l'ipotesi che, semplicemente, Diabojolik e il suo indomito equipaggio in quella circostanza furono più forti. Così come si dimostrarono più forti il noto astronomo arabo Al-Fawatah e i suoi che, con l'imprevedibilità fulminea dei pirati saraceni da cui certamente discendono, conquistarono il prestigioso secondo posto.

E ora, mentre il silenzio di una notte romana mi permette di risentire le voci del vento e del mare mescolate a quelle dei miei compagni d'avventura, mentre nella mia mente sfumano le immagini della premiazione, con la coppa del terzo posto che passa dalle mani grandi e forti del capitano a quelle sottili e sensibili di Monica, mi chiedo se sono riuscita nel mio intento iniziale, quello di offrire qualche frammento di verità su di lui, su Long John Simon.

Forse no, perché cogliere la verità è pretesa vana, quanto sarebbe quella di afferrare il vento con le mani.

O forse, più onestamente, perché il mio intento dichiarato altro non era - anche qui, chiedo perdono a Long John Simon e a tutti voi - che uno di quei bassi espedienti per sedurre il lettore cui talvolta ricorrono gli scrittori frettolosi.

Di una cosa, però, la vostra scrivana è certa. Se è decisamente troppo presto per sperare che Long John Simon emuli il pirata quasi omonimo, che in età avanzata prese la penna in mano per raccontare in prima persona le sue avventure, sono sicura che da un momento all'altro potrebbe abbandonare il suo rifugio segreto e tornare tra di noi: quando il Destino gli offrirà l'occasione di affrontare nuovamente capitan Diabojolik dagli occhi di ghiaccio, il leggendario comandante del Khaa non se la lascerà sfuggire.
La sfida sui mari continua.

Cristina - Khaa Crew

PS - Ancora due parole per i ringraziamenti: innanzitutto ad Angelo, Guido, Monica e Simone per tutte le emozioni che abbiamo condiviso; a tutti i partecipanti alla Voc; a Fabrizio e Stefania, senza i quali l'Evento non sarebbe stato possibile; e infine a VeLista e ai suoi gestori passati e presenti, eccellente dimostrazione del fatto che le creature più bizzarre sono talvolta le più vitali.