Cronaca (emozionata) di un tranquillo week-end gardesano di Guido Colombo


Trans-Benaco Cruise Race
3/4 Agosto 2001
Portese-Riva / Riva-Portese

Tutto ha inizio qualche settimana fa quando il mio amico Mario mi dice: "Se
vado a fare la Trans-Benaco ti chiamo..". Io per la verità non ne ero molto
entusiasta. Una lunga regata di crociera sul lago, ai primi di agosto, di
solito, si trascina tra piatte estenuanti e bavette leggere. Attirato pero'
dalla prospettiva della notte di baldoria che abitualmente contraddistingue
la permanenza della flotta il sabato notte a Riva del Garda, accetto.

Cosi', sabato mattina, al porto di Portese ci ritroviamo in tre: Io, Mario e
Caio, l'armatore. La barca è l'Ufo22 "La dolce vita", quello azzurro.

Alla partenza, su una linea un po' troppo corta, si ammassano un'ottantina di
barche tra Asso99, B25, Protagonist750, molti tranquilli barconi da
crociera, qualche prototipo tirato e quattro ufetti.
Brezza leggera. Scegliamo di partire a sinistra, bassi in boa. Partiamo
maluccio, veniamo coperti, ma grazie alla velocità della barca ci liberiamo
bene e continuiamo sul bordo mure a destra, mentre la maggior parte della
flotta si butta sulla destra alla ricerca dell'Ora Gardesana, che, secondo
consuetudine, dovrebbe fare la sua comparsa tra poco. In realtà il vento
tarda e la regata si prospetta lunga e sofferta, sotto il sole di
mezzogiorno.

Valutiamo anche noi la possibilità di virare e portarci a centro lago, dove
sembra ci sia più aria, poi consideriamo che l'altro bordo ci porterebbe
troppo lontano dalla rotta ideale, e perciò puntiamo diretti su Maderno.
Giustamente. Da li' a poco infatti l'Ora entra prudente e si stende su tutto
il lago. Diamo il gennaker e, lentamente, prendiamo velocità'.

Davanti a Toscolano la flotta si ricompatta e tre ufetti si trovano
perfettamente allineati come per una seconda partenza. "Happy Fly" sulla
sinistra, sponda bresciana, "Smalticeram" sulla destra a centro lago e noi
in mezzo.

Intanto il vento continua a rinforzare da dietro, le barche vanno sempre più
veloci. Iniziamo con qualche timida surfata sull'onda appena appena formata,
poi le surfate si allungano sempre più e infine, quando il vento arriva sui
20 nodi, cominciamo ad esibirci in una serie di planate mozzafiato a 12-13
nodi.

All'altezza di Gargnano, il terzetto di ufetti si separa, "Happy Fly" prende
decisamente il bordo sotto costa bresciana, "Smalticeram" punta sulla
veronese e noi restiamo in mezzo.

Cominciamo a renderci conto che portare un gennaker di 50 metri quadri, in
queste condizioni di vento, su una barca senza winch è una fatica disumana.
Al progettista Felci cominciano sicuramente a fischiare le orecchie.

A Campione il lago è tagliato in due, da una lunghissima linea ininterrotta
di surfisti che, come una fila di formichine, vanno avanti e indietro da
costa a costa. C'e' anche qualche kite. Non senza qualche preoccupazione ci
infiliamo tra loro senza rallentare e, a urli e parolacce, date e
ricevute("ti fiocino col bompresso e ti porto fino a Torbole"), ci facciamo
largo e passiamo indenni.

Davanti a Limone i tre ufetti si ricongiungo e, miracoli del caso e della
monotipia, nonostante i diversi percorsi, ci ritroviamo ancora tutti e tre
in linea.



E così, dopo più di metà regata, siamo ancora tutti appaiati.
Subito dopo Limone il lago si stringe un po' e i bordi diventano quasi
obbligati, prima lungo bordo verso centro lago per doppiare la punta, poi
bordo a terra per sfruttare la rotazione del vento.

Lo spettacolo delle tre barche che viaggiano appaiate in una serie di
lunghissime planate senza fine è entusiasmante. Soprattutto perchè ci
accorgiamo di avere un passo migliore degli altri. Merito forse del nuovo
gennaker (o del vecchio manico) a parità di velocità riusciamo infatti a
scendere più degli altri, e prendiamo rapidamente la testa del gruppetto.

La fatica di tenere il gennaker comincia a farsi sentire. Io e Caio siamo
costretti a darci spesso il cambio alla scotta, ma vediamo i nostri sforzi
ricompensati. Mario infatti insiste a tirare i bordi in centro lago e ha rag
ione. Al passaggio di Capo Reamol il nostro vantaggio su "Happy Fly" si è
fatto consistente. "Smalticeram" è quasi fuori visuale.

Un lungo bordo mure a sinistra, due strambate, e ci ritroviamo in lay-line
per la boa di Riva, l'ultima prima dello stocchetto che porta al traguardo.
Ci accorgiamo di essere bassi e quindi decidiamo di ammainare in anticipo.
Mario vorrebbe che ammainassi da sopravento, io gli rispondo che c'e' troppo
vento e preferirei ammainarlo da sotto.

Un'attimo di indecisione...

c'e' fatale.


Una raffica violentissima sdraia la barca.


Mario che aveva già in mano la drizza del gennaker la molla, ma la barca non
si raddrizza. A fatica recuperiamo il gennaker e per farlo dobbiamo tagliare
la drizza che si è impigliata dietro il boma. L'ufetto si raddrizza un po'
ma è sempre sbandatissimo, con tutta la falchetta in acqua. In compenso la
barca prende velocità e punta impazzita verso la boa. Solo all'ultimo
momento con una poggiata decisa il timoniere riesce a schiavarla.

Non facciamo in tempo a tirare il fiato che una raffica ancora più violenta
delle altre ci rimette a gambe all'aria (chi aveva l'anemometro giura di
aver letto 55 nodi).

La barca è completamente fuori controllo.

Resta coricata su un fianco, completamente insensibile al timone. A questo
punto Mario dice: "Togliamo la randa" e facendo una fatica disumana,
arrampicandoci sulla tuga inclinata e scivolando poi lungo il pozzetto a
pelo d'acqua Caio ed io riusciamo a tirare a bordo la vela.

La barca, finalmente, si raddrizza.

Anche perchè, veloce come era arrivato, nel frattempo, il temporale è
passato.

Freneticamente cerchiamo con gli occhi la linea del traguardo (tra l'altro
in tutto il trambusto avevamo anche perso l'orientamento) e constatato che è
ancora abbastanza vicina riissiamo la randa, srotoliamo il fiocchetto e
andiamo all'arrivo

Siamo disperati. In tutto il casino, l'unica cosa di cui ci siamo resi conto
è che "Happy Fly", che sarà stato 5-600 metri più indietro, vistici in
difficoltà ha ridotto vela per tempo e così è riuscito a superarci.

In porto e poi al bar della Fraglia tutti si leccano le ferite e tutti hanno
qualcosa da raccontare.
Si fa la conta dei danni. Noi abbiamo perso la drizza del gennaker (tagliata
pero' abbastanza vicina al nodo da poterla riutilizzare l'indomani) e la
regata. Siamo stati tutti fortunati. Un Asso ha perso in acqua e ripescato
al volo i trapezzisti ed il tailer di "Hellcat" ha rischiato di venire
trascinato in acqua, preso alla caviglia dalla scotta dello spi (e' stato
salvato dalla prontezza di un suo compagno che l'ha tagliata al volo).

Al di la' del finale drammatico e della regata buttata, siamo secondi a
3'50'' dal primo, è stata comunque una regata esaltante. Abbiamo coperto le
circa 22 miglia in 5 ore e mezzo, ma contando che nelle prime due ore avremo
fatto si e no 3 miglia, la media è stata di tutto rispetto. (Noi Tapini
ignoriamo ancora cosa ci aspetta l'indomani...)

Stravolti raggiungiamo l'albergo, ci concediamo un rilassante bagno in
piscina e poi, davanti ad una birra, cerchiamo di farci una ragione di
quanto è successo all'arrivo.


Torniamo alla Fraglia per il buffet, evitiamo accuratamente la premiazione
di giornata e poi ci concediamo un giretto per Riva.

Bellissima la visione della fortezza e della chiesetta che sovrastano Riva,
arrampicate come sono, sulla montagna a strapiombo verticale sopra il paese.
Bellissima di giorno ma addirittura fiabesca visione di castelli in aria
nella notte, sotto il temporale.
Chiesetta e fortezza illuminate dalla luce violenta, irreale e senza ombre
delle fotoelettriche apparivano sospese in aria senza lo sfondo della
montagna nera e buia, indistinguibile dal cielo nero e senza stelle.


Pizzeria, giro dei locali e poi all'una andiamo a letto accompagnati dalle
parole di Gianni, il timoniere di "Varenne" che pomeriggio si era
raccomandato "se volete vincere, andate a letto prima di mezzanotte".
Speriamo che la nostra fortuna non sia fiscale come la Fatina di
Cenerentola.

Domenica mattina sveglia alle 6.30. Cielo scuro, aria frizzante, cime delle
piante agitate.

Peler!

Il vento freddo che scende dalle montagne e spazza il lago da nord a sud.


Alle sette siamo in barca, sistemiamo la drizza, ci prepariamo, mettiamo i
vestiti pesanti, i salvagenti e usciamo.

Mentre ci aggiriamo nella zona di prepartenza, ci rendiamo conto che la
linea è ancora in una zona abbastanza ridossata ma appena più avanti il
vento soffia violento ed increspa le ochette.

Così partiamo guardinghi e non benissimo, "Happy Fly" c'e' subito davanti.
Issiamo il gennaker e, appena usciamo dal ridosso, veniamo colpiti da un Peler
intenso e rafficato sui 25 nodi. Esattamente come il giorno prima ripartiamo
in una serie di planate mozzafiato.

Lo spettacolo offerto dalla flotta è di una bellezza indescrivibile. Nuvole
basse, colore grigio acciaio, acqua verde scuro, solo uno squarcio nelle
nubi illumina di luce soffusa i colori brillanti degli spi. Il contrasto di
colori tra le barche illuminate in primo piano e lo sfondo cupo e sfumato è
stridente. Sembriamo fuori posto.

Il circo apre subito i battenti. Un libera crociera si esibisce in una
straorza così violenta che vira e si ritrova sulle altre mura. Quasi subito
si vedono barche coricate e spi che volano sull'acqua lontano dai loro
alberi.

Scendiamo a velocità folle facendo baffi di schiuma e scie degne di un
motoscafo. Non abbiamo il log, ma a occhio direi che viaggiamo fissi a più
di 10 nodi, con punte di 15 e forse oltre. Memori delle fatiche del giorno
prima, io e Caio cominciamo
subito a fare i turni alla scotta del gennaker.

Ad un certo punto, davanti a noi, un po' più lento, si para un Mono22 giallo
canarino. Non per niente porta il nome "Titti" scritto sulla poppa.

Orziamo per sfilarlo e quando sta per scomparirci dalla vista, coperto dal
nostro gennaker, improvvisamente, lo vediamo partire in straorza.
Il suo equipaggio prontamente lasca le vele e sembra riuscire a riprendere
il controllo della barca. "Titti" rallenta, le vele sbattono impazzite,
Mario poggia per sfilarlo da sottovento.

Curando l'inferitura del gennaker, traguardo benissimo anche il Mono22, è lì
davanti a noi, praticamente fermo. Succede tutto in una frazione di secondo.
In un attimo fulmineo vedo le sue vele riempirsi di vento, l'albero piegarsi
in avanti, spezzarsi subito sopra l'attacco delle crocette e volare via
trascinandosi dietro il boma e strappando letteralmente il piede d'albero
dalla coperta.
Mentre li sfiliamo sulla destra incrocio lo sguardo di uno di loro. Vuoto.
Incredulo.
Vorrei urlargli qualcosa ma non mi sentirebbe. E poi, che cosa potrei
dirgli?

Continuiamo la nostra discesa a rotta di collo e, quando passiamo Campione, un
surfista incrocia a tutta velocità il dolphin81 davanti a noi e... salta!!!
Incredibile! Ha saltato, alzandosi di un metro e mezzo, e ha usato come
trampolino la scia di una barca a vela che lanciata a 12 nodi faceva onda
come e più di un motoscafo!!!


Passa ancora qualche minuto, ormai siamo vicini a Gargnano, quando partiamo
velocissimi su un'onda più grossa delle altre e vediamo la nostra prua farsi
sotto all'onda davanti, aspettiamo che la barca salga sull'onda preparandoci
a decollare per l'ennesima planata, invece... l'onda è troppo alta, la prua
dell'ufetto troppo sottile e al posto di scavalcare l'onda, ci passiamo attraverso.

E' un attimo. Vedo il bompresso sparire nell'acqua, la spuma frangere sulla
tuga, abbattersi nel pozzetto ed uscire dalla poppa aperta. Una di quelle
scene che si vedono di solito nei filmati dei 50 urlanti. Siamo stati
fortunati, il tambuccio era chiuso e l'acqua non è entrata in barca.
All'arrivo, Andrea, un amico che timonava un Asso, ha raccontato di aver
dovuto sgottare un secchio e mezzo d'acqua dopo un numero del genere.


A questo punto, il circo libera la sua pista centrale. E' il momento del
nostro show.


Iniziamo in scioltezza con una banalissima straorza al termine di una
strambata. Ne avevamo già fatte una decina, tutte in perfette, chissà come,
questa va male. La barca si sdraia sull'acqua e, fin qui nessun problema,
molliamo le scotte e aspettiamo che si rialzi. Ma la barca non risale.
Trascorre un minuto, che pare interminabile, poi Mario dice: "Via il
gennaker". Mi butto sottovento, apro lo stopper della drizza, la vela si
distende, la barca risale, recupero il gennaker, srotolo il fiocchetto e
ripartiamo. Mille pensieri mi passano per la testa: la regata compromessa, o
forse no, la paura, lo pericolo scampato, l'adrenalina, l'immagine del Mono
disalberato. Penso: "Ma chi me l'ha fatto fare???" Ma l'unica frase che mi
esce dalla bocca, in realtà, è: " E' stato fantastico! La corsa più
emozionante della mia vita! Ragazzi, Grazie".

Caio mi guarda e sorride, Mario non dice niente, sta già' pensando se è il
caso di ridare il gennaker. Infatti valutiamo un attimo la situazione e poi
lo rissiamo.

Riusciamo a tenerlo non più di 5 minuti. Poi siamo di nuovo gambe all'aria.

Ormai sono allenato, mi ributto di sotto, apro lo stopper, tiro a bordo la
vela, srotolo il fiocchetto e via.
Questa volta pero' la drizza spi si è agganciata dietro una delle stecche
della randa, sicchè la tolgo dal sacco e dopo una decina di tentativi,
riesco a liberarla.
Riattacco la drizza alla vela e riparto ad issare. Arrivo a metà circa e
vedo che la vela non si sta distendendo come dovrebbe. Convinto di aver
fatto casino staccando e riattaccando la drizza ammaino la vela di corsa per
controllare. Troppo in fretta. Lascio in bando la mura del gennaker,
convinto di riuscire a recuperarlo in due bracciate, invece la mura prende
vento, cade in acqua e i nostri 50 mq di vela si distendono dietro la barca
formando una magnifica rete per cavedani. Mentre con uno sforzo disperato,
cerco di trattenere la vela urlo a Caio di tagliare il nodo sulla mura del
gennaker. Caio prende il mio coltello svizzero, lasciato nella tasca del
pozzetto per precauzione dopo che era servito il giorno prima, ma nella
confusione totale che ormai regna in barca, non riesce a capire quale tra i
mille utensili sia la lama. Così mi passa il coltello, io gli passo la penna
del gennaker, la sola parte che ormai restava in barca e corro a tagliare la
mura e la scotta di sopravento. Poi, a quattro mani recuperiamo la vela
fradicia.

Sconsolato e dandomi dello stupido guardo la testa della flotta ormai
lontana. Per qualche secondo, in barca non parla nessuno. Alla fine è di
nuovo Mario a rompere il silenzio: "Rimetti il circuito", mi dice. "Vuoi
davvero ridare gennaker???". "Si".

Con infinita cautela ripasso tutto il circuito, spinno la vela dentro il
sacco, controllo la drizza (che per la cronaca era a posto) e, quando ormai
siamo davanti a Toscolano, rissiamo definitivamente il nostro bel gennaker
blu.

Oramai la regata sembra definitivamente finita. Dopo la punta di Toscolano
Maderno infatti il lago si apre e il vento cala sensibilmente. Continuiamo a
fare 7-8 nodi, ma rispetto a prima, sembriamo fermi. Vediamo i primi
lontani, ormai all'arrivo di Portese, e con essi anche "Happy Fly" e
"Smalticeram". "Ormai ci siamo giocati la regata. E' finita".

Non sono finite invece le nostre avventure. Ormai in vista dell'arrivo,
cominciamo a sentire, quando la barca va in planata, una strana vibrazione
provenire dal bulbo. Ci guardiamo negli occhi, ma nessuno parla.
"Risonanza. -mi dico- Impossibile! La pinna non vibrava a 15 nodi, perchè
dovrebbe farlo a 7???". Il pensiero di un cedimento strutturale si affaccia
nella mia mente e, a giudicare dallo sguardo, anche in quella degli altri.
Nessuno fiata.

Allora, più per rassicurare gli altri che non perchè ne sia veramente
convinto dico: "Dobbiamo aver preso sotto qualcosa. Un sacchetto di plastica
o un pezzo di vela". Siamo ormai prossimi all'arrivo, facciamo la penultima
strambata e, miracolo, la vibrazione sparisce. Era davvero, solo, qualcosa
impigliato nel bulbo.

A mezzogiorno e qualche minuto tagliamo il traguardo. Siamo talmente ciucchi
di fatica che, mentre pieghiamo la randa, dobbiamo fermarci due volte perchè
ci mancano le forze. A Felci fischieranno le orecchie per almeno una
settimana.



Epilogo & Considerazioni

Alla fine non è andata poi così male. Siamo arrivati secondi, salvando la
posizione per 30 miseri,
appunto, secondi.

Ma la cosa straordinaria è che abbiamo percorso le circa 22 miglia che
separano Riva del Garda da Portese in 2 ore e 35 minuti.

Se togliete il tempo perso nelle due straorze, quello per recuperare il
gennake
Se togliete il tempo perso nelle due straorze, quello per recuperare il gennaker dall'acqua e se considerate che il vento nel finale, dentro al golfo di Salo', e' calato parecchio, ma soprattutto il fatto che non abbiamo seguito una rotta diretta, ma tirato dei bordi, l'unica cosa che viene da pensare è che non abbiamo navigato, ma letteralmente "volato" sull'acqua. E c'e' stato chi, il vincitore assoluto, è arrivato quasi 20 minuti davanti a noi. L'ufetto è una barca incredibilmente esaltante, velocissima, tanto da fare classe a se per "manifesta superiorità". Comunque è difficilissima da gestire richiede un equipaggio preparato, con tre spanne di pelo sullo stomaco, allenato (anche fisicamente) e capace di avere la barca sempre sotto controllo. Sotto gennaker con 25 e più nodi di vento, in certi momenti l'Ufo22 era praticamente ingovernabile. Troppo veloce. Il timone o è sensibilissimo o entra in stallo subito. La conduzione della barca resta nelle mani del tailer, che deve portare il gennaker sempre al limite dell'orecchia per evitare che sdrai la barca e il tutto senza poter contare sugli winch per assorbire lo sforzo bestiale che la vela scarica sulle scotte. Comunque in un week-end costato la bellezza di 4 disalberamenti nessuno dei 4 ufetti ha lamentato danni di rilievo. Quella di domenica e' stata sicuramente la giornata velisticamente piu' esaltante della mia vita. Al di la' degli errori, delle cazzate ( le mie soprattutto) e della fatica. Non credo di aver mai fatto, e visto fare, tanti numeri tutti insieme. Tre straorze, scotte tagliate con il coltello, vele in acqua e bulbo all'aria, ingavonate!!! E' stata un'esperienza adrenalinica come alla Barcolana 2000, ma più' lunga e molto più' intensa.

THE END

Guido
45° 34' 44'' N
9° 16' 57'' E