Camillo Ara: "Amare il mare"
Cari amici di VeLista,
ho inaspettatamente incontrato in questo sito un "circolo" di amici, non solo appasionati di mare, ma anche educati e cortesi.
È stata una lieta sorpresa giacchè avventuratomi (a dir la verità da non molto tempo) in questo strano mondo di Internet, avevo inutilmente girovagato alla ricerca di un sito, un forum, una chat, ecc, in cui scambiare quattro chiacchiere nelle uggiose serate invernali.
Ero stato avvertito, ma mai avrei immaginato di imbattermi in tanta........ mondezza!
Quì, invece, mi sento un pò come se stessi seduto al tavolino di un circolo nautico, in compagnia di vecchi amici, con i quali, tra un grappino e l'altro, si parla di mare: c'è chi sfoggia orgogliosamente la propria competenza nautica e chi educatamente lo prende in giro, c'è chi racconta di burrasche o calme piatte, c'è chi racconta del passato, chi sogna del futuro.
Bello, bellissimo per chi ama il mare.
E così, come farei con degli amici, ripetendo loro per l'ennesima volta una storia che già conoscono, voglio raccontarvi cosa è stata per me la PASSIONE PER IL MARE.
Storia lunga e forse noiosa e se qualcuno vorrà alzarsi dal tavolino per andar a fare pipì, non mi offenderò.

Essendo lunga, la storia comincia da quando ero bambino: "figlio di Papà", come si suol dire, ma non me ne vergogno, anche perchè la scelta non fu mia.
"Figlio di Papà", cioè benestante, per merito di.... Papà, che dopo la guerra aveva saputo onestamente costruirsi una vita agiata: casa a Roma e villa estiva al mare, a Riccione naturalmente, come allora usava chi poteva.
Sarete ovviamente scettici sul fatto che una passione per il mare possa nascere... a Riccione, ma così è stato! Forse perchè già da bambino ero un poco strano: passavo ore ed ore in acqua e, appena più grandicello, mi dedicavo quasi professionalmente alla pesca dei "cannelli " (cannolicchi, cappelonghe), con maschera e pinne (l'acqua allora era limpida), rivendendoli a 10 lire l'uno ai vari ristoranti sulla spiaggia.
Il mio carattere irrequieto non mi permetteva di passare le lunghe vacanze estive su un lettino, a prendere il sole. Mi annoiavo ed avevo bisogno d'altro: a 15 anni già praticavo con una certa abilità sci d'acqua, andavo a nuoto ai trampolini in legno posti a due miglia dalla riva, passandovi ore.
Avvenne, nel frattempo, che mio padre riuscì a farsi costruire da un locale cantiere un motoscafo fuoribordo, ovviamente in legno...
A questo ne seguì un'altro, un poco più grandino, diciamo un semicabinato (due cuccette).
Mio padre aveva scarsa competenza nautica. Era riuscito a prendere (vi lascio immaginare come) una patente per poter condurre quelle imbarcazioni quel tanto che poteva servire ad andare a far il bagno al largo.
Io ero il suo "marinaio" e quando potevo, di nascosto, uscivo senza patente e rischiando molto, con quei mezzi, ottima alternativa alla "garconiere" per le avventure galanti.
L'appetito vien mangiando ed il crescente benessere economico di quegli anni ci consentì di soddisfare quell'appetito.
Lungo le coste adriatiche usavano allora degli ottimi cutter. Randa e fiocco, deriva mobile per arrivare sin sulla spiaggia, motore fuoribordo con gambo lungo. Poichè non erano cabinati, i 10 metri di lunghezza, qualcuno di più, qualcuno di meno, venivano usati per portare a spasso i turisti. A noi venne in mente di farcene costruire uno semicabinato: due cuccette, un fornellino da campeggio, un wc. Ma con un motore entrobordo(40cv) sistemato nel pozzetto e ricoperto da un cassapanco che fungeva da tavolo.
Naturalmente, a questo punto, ci serviva un marinaio e lo trovammo a Cattolica. Si chiamava Aldo. D'inverno faceva professionalmente pesca a strascico. D'estate trovò comodo dedicarsi a noi. Fu la mia fortuna o la mia disgrazia, dipende dai punti di vista, comunque contribuì in modo rilevante a condizionare la mia vita. Oggi i "marinai" sono al massimo ottimi camerieri. Se sono molto bravi, vi tengono in ordine la barca e nulla di più. Ma Aldo era, ed è ( perchè il mio caro, grande amico Aldo c'è ancora ed è in gamba!) un MARINAIO VERO ed appassionato.
Tutti i pregi immaginabili: competenza a vela, competenza a motore, inesauribile passione per la pesca (quella vera, in cui si pesca sul serio, dallo strascico al tramaglio, alle nasse, tutte cose allora consentite), ottimo cuoco, estrema prudenza e timore ante partenza e grande coraggio e tranquillità in caso di maltempo.
Da lui, nel corso di molti anni, appresi tutto: dal dire dritta anzichè destra, alla famigerata gassa, dal dimenticar la bussola, troppo stancante da seguire di notte, e puntare invece la stella, allo scappare in porto quando una certa nuvola assume un certo aspetto...
Eravamo negli anni tra il 55 ed il 60: con quel cutter da spiaggia attraversammo per la Jugoslavia...
Tanti ricordi: presi dalla bora dovemmo rifugiarci alle Isole Unie, allora zona militare, e con i mitra puntati, smontare la pala del timone in ferro, appoggiarla al sole perchè si riscaldasse e batterla, giacchè si era piegata per lo sforzo...

Naturalmente, come tutti i miei compagni, avevo anche altre cose da fare in un posto come Riccione, la principale delle quali era "rimorchiare" una degna compagna per la serata: qualche italiana, molte tedesche, svedesi, inglesi.
L'ultimo giorno delle vacanze, prima di tornare in città, quando la spiaggia era ormai deserta, con le lacrime agli occhi riempivo una bottiglietta di sabbia quale ricordo per tutto l'inverno.
Senonchè avvenne, uno di quei giorni estivi, che sulla spiaggia "rimorchiai" un'italiana. Pensavo si trattasse di un'avventuretta estiva come le altre. Ma mi sbagliavo, e di grosso. Sarebbe diventata la compagna della mia vita.

Eravamo dunque negli anni a cavallo tra i 50 ed i 60. Io ero un sedicenne. La barca era un bel cutter da spiaggia romagnolo, cui il fedele marinaio Aldo dedicava con entusiasmo tutte le sue cure. Io stavo imparando e m'innamoravo ogni giorno di più del mare, in tutti i suoi aspetti.
Non si trattava solo di stupende veleggiate sotto le raffiche del garbino adriatico, ma anche di vivere e condividere la vita e l'ambiente dei pescatori professionisti, uscendo con gli stessi nelle lunghe nottate di pesca a strascico.
Ricordi indimenticabili: calate di due ore, l'apertura della "sacca", la caduta del suo enorme carico di sabbia e pesci di tutti i generi sulla coperta di quei grandi pescherecci. Durante il traino della tartana non v'era da annoiarsi: v'erano da preparare le casse e cassette di pesce, rovistando tra la sabbia ed il fango sparsi sul ponte. Triglie con triglie, sogliole con sogliole, rombi con rombi, rospi con rospi, canocchie con canocchie, ecc, con attenzione al ragno!
Intanto qualcuno provvedeva ad una bella arrostita annaffiata da fiasche di Sangiovese. A nessuno saltava in mente che con il pesce ci volesse il vino bianco.
La passione di Aldo per la pesca, ormai da me condivisa, era tale che durante un inverno si fece costruire un'enorme tartana, con tanto di divergenti, da utilizzare, come per lungo tempo utilizzammo, con il nostro cutter.
Anche quì imparai cose che neanche i professioniti di oggi sanno fare: pesca a strascico solo sotto vela, senza l'ausilio di argani, bighi e verricelli, calare con il vento a favore, salpare con il vento in prua, ecc.
Le storiche traversate con quel cutter verso la Jugoslavia si ripetevano ogni anno. L'assenza di meteo affidabili erano ampiamente compensate dalle notizie che, via radiotelefono, ci arrivavano dai nostri amici pescherecci, con i quali eravamo in costante contatto, e che ci confortavano con la loro presenza sino nelle acque Jugoslave (ed anche oltre, brutto vizio nostrano).
Senonchè nel frattempo avevo incontrato Paola.
Sì, ci innammorammo e la passione per il mare, prima separatamente coltivata, divenne un ulteriore legame tra noi.
Una cosa stupenda: quando mi immergevo per pescare i cannelli la mia compagna era lì ad assistermi sul pattino. Quando la sera uscivo con il gommone per calare il tramaglio, lei era con me, ad aiutarmi. E così all'alba per salpare e poi per pulire le reti e... in tutto il resto.
Uscivamo, ovviamente, quasi tutti i giorni, sempre con il nostro Maestro Aldo, con il grande cutter da spiaggia. Ma avevamo voglia di indipendenza e di poter compiere quelle pazzie che una barca grande non consente.
Ci comprammo così un vecchio e super usato " beccaccino". Per dirla chiara, una vera e propria schifezza, giacchè era totalmente marcio e alla bella e buona plastificato...
Unico lusso, per quegli anni, le vele in materiale sintetico: il paracadutista del vicino aereoporto militare di Rimini, che ce lo aveva venduto, aveva utilizzato per le vele la tela, appunto, di un paracadute. Peccato che le misure fossero totalmente sbagliate: la randa aveva una pancia da far invidia ad una donna incinta! Ma era la nostra barca: al mattino presto ci tiravamo fuori dal porto canale remando, ed appena fuori, con un leggero maestralino percorrevamo le nostre 10 miglia sino a Gabice, unica zona di scogli in Romagna. Davamo fondo all'ancora e ci pescavamo qualche chilo di cozze. La nostra sacca conteneva immancabilmente una pentola, dei fiammiferi ed una fiasca di vino.
Il seguito era quindi ovvio: un bel fuocherello sugli scogli, una scorpacciata di stupende cozze, annaffiate da un buon vino, ecc. ecc. (!!!!), in attesa di quel scirocchetto pomeridiano che ci avrebbe consentito di tornare a Riccione.
Non sempre, ovviamente, filava tutto così liscio: ci capitò, causa il tempo, di doverci rifugiare a Cattolica, lasciare lì il nostro beccaccino, e sotto la pioggia battente, in costume e scalzi, dovercene tornare a piedi a Riccione. Talvolta poi l'atteso scirocco non arrivava e ci trovavamo a dondolare nella notte vicino a riva in attesa di quel poco di brezza di terra.
Cari amici, come si fa a non amare il mare ???
Il grande salto avvenne nel 1966 allorchè decidemmo di farci costruire da un piccolo cantiere (una baracca posta su uno spiazzo del porto di Riccione) una barca "vera". Quel cantiere, cioè sostanzialmente Guido, aveva costruito, sino ad allora, solo cutter, pescherecci e qualche piccola barca da diporto, ma lui, Guido per l'appunto, era un vero Mastro d'ascia, di quelli oggi introvabili, e ce la mise tutta, scegliendo con pignoleria il legname, piegando le ordinate con il fuoco una ad una, tagliando, segando, calafatando, con un'arte ormai dimenticata.
Nacque così, per noi, la prima barca vera del Cantiere di Guido... Franchini: una stupenda goletta bermudiana di 13 metri, rigorosamente in legno.
Quella barca, non più nostra, anche se (alla lontana) restata in famiglia, a distanza di quasi 40 anni naviga ancora caparbiamente per tutto il Mediterraneo.
Così nacque quella stupenda goletta, con i suoi pregi ed i suoi difetti, come per tutte le barche.
L'armamento a goletta bermudiana implicava qualche fatica e molte attenzioni: una randa enorme con un boma in legno pieno, pesantissimo, sconsigliavano nel modo più assoluto ogni strambata. Con venti portanti l'ampio gioco di vele quadre lasciava spazio a varie possibilità, mentre di bolina ulteriori possibilità erano offerte da quel massiccio terzo albero che è il bompresso. Tutto ciò, unito all'assenza di ogni marchingegno atto a facilitare le cose (winch elettrici, rullafiocchi, ecc), costituiva un'ottima palestra marinara.
Avevamo anche un motore, un entrobordo Quach da 60 cv. Nel corso degli anni ci fece impazzire. Tutto quello che, in ipotesi, può succedere ad un motore, a noi successe (acqua nell'olio, rottura dell'invertitore, testata, motorino avviamento, e via dicendo).
Ne voglio ricordare solo una: alla fonda in una rada deserta in Jugoslavia, mi alzo di buon mattino e poggio i piedi in... acqua. Mezzo metro d'acqua sopra i paglioli! Allarme generale ed ansia: stiamo affondando! Il motore è sommerso e non possiamo utilizzarlo per portarci in acque basse. Non resta che sgottare con secchi e quant'altro disponibile e sperare di individuare la via d'acqua. Operazione che dura qualche ora. Alla fine ci ritroviamo la barca asciutta e l'ispezioniamo in ogni dettaglio, senza peraltro rinvenire la pur minima infiltrazione. Tralascio il seguito, con il rientro a vela in Italia e gli interventi necessari a rimediare i danni...
I guaio è che il misterioso fatto si ripete altre due volte, anche se con danni minori, essendocene accorti in tempo.
Del mistero vengo a capo solo casualmente una volta che, terminata la manovra e spento il motore, mi reco ad ispezionare la sentina.
Quel nostro motore Quach aveva una pompa di sentina molto comoda, perché lavorava di continuo, senza pericolo di bruciarsi o grippare, essendo raffreddata dalla stessa acqua di circolazione del motore. Ciò significava avere sempre la sentina completamente asciutta.
Senonchè, quella volta, nel corso dell' ispezione, mi accorsi che dalla pigna della pompa, in sentina, usciva... acqua, non molta, ma continua. Ecco risolto il mistero: una volta su cento (non sempre, altrimenti la soluzione sarebbe stata troppo facile) allo spegnimento del motore la pompa si innescava all'inverso... pisciando in sentina.
Comunque tutti i guai passati con quel motore ebbero su di me due effetti le cui conseguenze mi porto ancora dietro: da un lato l'acquisizione di una non indifferente conoscenza meccanica, dall'altro la consapevolezza che del motore non ci si può mai totalmente fidare.

Purtroppo la vita non era però solo questa: vi era da studiare e da laurearsi, fare il militare, e via dicendo. Da buon "figlio di Papà" avevo in quei anni una mia paghetta settimanale, ma mio padre era stato sempre chiaro e preciso: la bicicletta per l'estate sin da piccolo, se ero stato promosso, il motorino, sempre solo per l'estate, alla fine della terza media, l'auto superati gli esami di maturità. Paghetta settimanale sino alla laurea e piccolo aiuto per i primi tempi successivi. Poi stop, avrei dovuto marciare da solo.
Questo era l'accordo, che mi veniva con insistenza quasi quotidiana ricordato, e che venne da entrambi rispettato alla lettera.
Si dice che ognuno è artefice del proprio destino: per me è stato così.
Già da allora ogni mio pensiero, ogni mia azione, ogni mio programma, era in funzione del mare. D'inverno, durante l'università, studiavo dalle 6 del mattino fino alle 8 di sera, riducendoni quasi a cadavere (facevo sosta solo la Domenica per incollare al Portolano gli "avvisi ai naviganti", cui ovviamente ero abbonato ). Il tutto per dare a giugno più esami possibili e poter saltare la sessione di settembre e, quindi poter stare in barca più a lungo...
La mia tesi di laurea fu, naturalmente, in diritto della navigazione.

Gli interni della nostra goletta erano molto spartani, come in tutte le barche di allora. Gli spazi erano male sfruttati: in 13 metri di barca vi erano solo quattro cuccette, e neanche molto comode. Due cuccette erano nel quadrato, o dinette, con la conseguenza che, dopo aver cenato si doveva sempre rassettare tutto per poter dormire. Due altre cuccette erano in una cabina a prua, peraltro sempre piena dei sacchi delle vele. Non vi era ovviamente acqua calda e la doccia, in bagno, scaricava in sentina. Bussola e scandaglio a mano. Il log di allora mi spiace di averlo perso: per leggerne i rilevamenti bisognava gettare in acqua una grossa elica fusiforme, collegata allo strumento con una cima di una trentina di metri. Un buon radiotelefono HF (allora SSB e VHF non esistevano) era il nostro lusso.
Nel Novembre del 66 io ed Aldo affrontammo l'avventura di trasferire la goletta da Riccione ad Anzio.
Altro che attraversare l'Adriatico, come avevamo più volte fatto con il nostro cutter. Si trattava di un viaggio molto più lungo ed impegnativo, almeno per noi.
In realtà eravamo partiti a Settembre ma, fatte poche miglia, l'invertitore aveva iniziato a slittare, costringendoci a tornare indietro. Erano seguite le lungaggini della riparazione, con gita a Milano per la ricerca e l'acquisto di pezzi di ricambio, prova a mare, rifacimento della linea d'asse, ecc. Tenuto conto della stagione inoltrata forse avremmo dovuto desistere. Ma ci eravamo impuntati, e così partimmo.
Di questo primo Adriatico/Tirreno, poi seguito da tanti altri, ho dei ricordi indelebili:
- giunti a Crotone con cattivo tempo decidemmo di dar fondo al centro del porto in attesa di un calo del vento. E così facemmo. Solo che gettammo la nostra Ammiragliato fuori bordo... senza prima averla ammanigliata alla catena!!!!! Con il risultato che il giorno seguente, non disponendo di una bombola sub, dovemmo ingaggiare un sommozzatore, spendendo una cifra con cui avremmo forse potuto ricomprare l'ancora.
La sosta a Crotone durò a lungo (non potevamo affrontare il Golfo di Squillace, che mai si tace, con il cattivo tempo). E così finimmo... i soldi. In tutta Crotone non trovammo qualcuno disposto a cambiarci un assegno (allora carte di credito e bankomat non esistevano).
In attesa che via posta ci pervenisse presso la Capitaneria un assegno circolare la nostra sopravvivenza vene affidata ad un fucile da caccia che, non so per quale motivo, mi ero portato dietro. Con quella doppietta parivo di buon mattino, tornando poi con due o tre passeri.
Per Aldo erano più che sufficienti per imbastire un più che lauto banchetto: un poco d'aceto, pane, pasta...

- altro ricordo: lo Stretto di Messina in piena notte ed in assoluta calma di vento. Con il motore, come al solito, in panne. E stanchi morti perchè reduci da una tappa di 24 ore (da Crotone a Reggio allora non esisteva la pur minima possibilità di ridossarsi) con mare in prua.
Non riuscivamo ad avanzare di un metro e così provammo a trainare la goletta con il gommone.
Io nel gommone ed Aldo al timone della barca. Ma il nostro potente motore fuoribordo (un Seagul da 2 cv, chi lo ricorda, con la sua cimetta per la messa in moto?) non ce la faceva proprio. Imparai in quell'occasione che legando il gommone alla fiancata, anzichè effettuare il traino, le cose cambiano totalmente. In tal modo, miglio dopo miglio, riuscimmo ad infilarci a Reggio C.

- dopo lo Stretto nacque una divergenza d'opinioni tra me ed Aldo circa l'opportunità di risalire il Tirreno al largo, sfruttando i naturali ridossi delle isole, o tenersi sotto costa. Ormai a bordo cominciavo a contare anche io e così Aldo accettò la mia idea. E fu la nostra salvezza. Perchè quello, amici cari, fu l'anno dell'alluvione di Firenze. Tutti la ricordano ma ben pochi certo ricorderanno che tutta la costa tirrenica, specie meridionale, venne investita da grosse burrasche, con centinaia di imbarcazioni distrutte in vari porti. La prima di quelle forti burrasche la passammo nel vecchio porto romano di Ventotene: la barca era ormeggiata al centro del porto, con ancora di prua e cime a dritta legate alla banchina ed a sinistra alla muraglia di tufo, naturale frangiflutto del porto.
In barca non si poteva stare e così dormivamo a terra in due sacchi a pelo.
La seconda burrasca la prendemmo a Ponza. Poichè eravamo in mezzo alle piccole barche locali che sembravano voler salire a bordo, saltavano, sbattevano impazzite, dovemmo utilizzare ogni cosa in funzione di parabordo: sacchi delle vele riemipiti di cuscini, i materassi delle cuccette, ecc.
La terza burrasca la prendemmo quando, partiti da Ponza, ci trovammo davanti al Canale di Fiumicino. Il mare frangeva tanto all'ingresso che io, terrorizzato, volevo riprendere il largo e dirigermi ad Anzio. Ma questa volta Aldo fu irremovibile: "entriamo, ce la facciamo, sì ce la facciamo". Paola e mio padre erano sul molo ed osservavano preoccupati gli sviluppi della situazione. Lasciai il timone ad Aldo ed entrammo alla velocità di un missile. Aldo era abituato ad entrare nei porti canale adriatici anche d'inverno, con mare formato, calando di poppa la "spera", o reti o quel che capitava !!!
Se ci fossimo diretti ad Anzio, non sò se saremmo arrivati. In un modo o nell'altro, comunque, eravamo in Tirreno.
La tenemmo in quegli anni a Fiumara Grande e ad Anzio. Luoghi, specie il primo, scarsamente affascinanti. Ma vicini a Roma, il chè ci permetteva di raggiungere la nostra barca in ogni momento libero.
D'inverno io e Paola uscivamo da soli da Fiumara con onde frangenti. Beata incoscienza giovanile. Me ne resi conto solo qualche anno più tardi, allorchè in Gennaio ci trovammo a raggiungere la riva a nuoto, dopo aver perso una barca (fortunatamente non nostra: eravamo solo d'equipaggio e io stavo... dormendo) in quei frangenti. Ma questa è un'altra storia.
Nel 70 eravamo comunque di nuovo in Adriatico.

Intanto mi ero laureato, avevo espletato il servizio militare ed iniziato a lavorare come "portaborse" in un importantissimo e tirchissimo studio legale di Diritto della Navigazione di Roma (paga £ 50. 000 al mese ! Per fare un raffonto rammento che, da Ufficiale, in quegli anni avevo preso £ 120. 000 mensili).
Era giunto, ad ogni modo, per me e Paola il fatidico giorno di... convolare a nozze.
Sorvolo sui dettagli per ricordare soltanto che tra i tanti, tantissimi, regali che ci fecero, quello che più ci colpì, per sempre, fu uno stupendo barometro che ci giunse con un biglietto dai "Marinai del Porto di Riccione". Il viaggio di nozze lo facemmo ovviamente in barca, in Jugoslavia. Avevamo prenotato un appartamentino a Sveti Stefan, nell'ex villa della Regina del Montenegro. Al mattino, aprendo la finestra che dava sul mare, ci trovavamo la nostra goletta ancorata al largo di quella stupenda spiaggia. Pernottava con il nostro fidato marinaio a Budva. Questi allora erano posti stupendi: oggi sono ridotti ad una schifezza.
Riportammo poi, ancora una volta, la nostra goletta in Tirreno, ormeggiandola definitivamente a Cala Galera.
Ma ormai il lavoro la faceva da padrone.
E questa è la parte più difficile da raccontare, da spiegare e da far intendere. Ma è necessaria per dare un senso all'oggetto "AMARE IL MARE". Ci sono anche cose criticabili, scelte molto discutibili. Cominciamo col dire che il lavoro mi faceva schifo. La mia mente era costantemente altrove (e ormai sapete dove). Lavoravo però moltissimo, molto più di tutti i miei colleghi, non interrompendo mai, neppure per il classico caffè (il chè certamente mi rendeva antipatico). In ufficio, per non perder neppure il tempo di parcheggiare, ci andavo sempre, anche con la pioggia a dirotto, in moto.
Alla sera tornavo a casa non prima delle 22. Dovevo far soldi, dovevo farli assolutamente perchè il mio Amore me li chiedeva, ne chiedeva tanti, era una spendacciona. Avrete capito che non era Paola, ma la barca. Paola, anzi per mia fortuna, a parte qualche giustificata gelosia, condivideva totalmente la mia passione.
Il Sabato sera, quando ce la facevamo, partivamo per Cala Galera e ci rifugiavamo nella nostra golettina. Non v'è nulla di più bello, d'inverno, in un porto sicuro, del sentir soffiare il vento o scrosciare la pioggia, al calduccio nella propria cuccetta ed anche ora, che certamente la barca posso godermela molto di più, ho uno stupendo ricordo di quelle nottate.
La nostra barca, raffrontandola con gli enormi bestioni che stazionavano a Cala Galera, era ben poca cosa. Negli anni avevamo tentato di adattarla alle nuove esigenze: avevamo steso un cavo da poppa a prua per avere la 220 v, ormai disponibile in quasi tutti i porti, poi avevamo acquistato e montato un caricabatterie, poi avevamo installato un mini scaldabagno istantaneo a gas, collegandolo alla bombola della cucina e via dicendo.
Nonostante questi "accrocchi", comunque, la nostra golettina restava come era nata: molto barca, poco casa. E noi cominciavamo ad aver bisogno di qualcosa di più comodo.
Per quel che mi riguarda rifiutavo già da allora ciò che rifiuto anche oggi e cioè il concetto che la barca a vela debba essere necessariamente scomoda.
Tornando a quelle serate a Cala Galera, ricordo che quando Paola si infilava in cuccetta, spesso e volentieri io scendevo e mi recavo per il rituale grappino da un mio caro amico, su un Gran Bank alla mia poppa. Anche la sua compagna era già in cuccetta e noi restavamo lì, al buio a chiacchierare a brontolare ma, sopratutto a sognare. Sognavamo, entrambi, di non dover tornare a Roma il Lunedì, di potercene restare in barca a fare i nostri lavoretti o di poter salpare quando volevamo.
Nonostante lui avesse molte più disponibilità economiche di me, è ancora lì a sognare (spero che tu sogni ancora, caro vero amico mio !). Io, invece, son riuscito a salpare.
Aldo, il nostro fidato marinaio e maestro, ci aveva ormai lasciato: dopo tanti anni di navigazione invernale sui pescherecci o su navi commerciali ed estive con noi, aveva deciso di star più vicino alla propria famiglia.
Restammo e siamo amici.
D'altra parte io e Paola avevamo ormai imparato molto ed eravamo divenuti dei bravi marinai.
Io, da tempo avevo frequentato un lungo corso di navigazione presso la Lega Navale Italiana prendendomi la famosa patente per "navigazione a vela oltre 50 miglia dalla costa".
Ed eravamo ormai divenuti anche dei bravi... operai.
Sì, perchè, debbo infilarlo in questa storia, salvo eventi eccezionali, sulla nostra barca non mettevano piede operai di alcun genere. Sapete cosa significa mantenere da soli una goletta di 13 metri in legno, nera sui fianchi e tutta a copale (vernice trasparente)?
Ogni anno si trattava di far da soli carena (che grande invenzione, successivamente, la vernice autolevigante !), levigare e ridare in continuazione la copale (quì, invece non hanno inventato nulla di nuovo), riparare vele, far l'ordinaria manutenzione del motore, ecc.
Faticacce notevoli che solo la nostra grande passione ci faceva sopportare.
Il tempo? Bè, rinunciando a tutto il resto, il tempo si trova. In tutta la vita siamo stati due volte a Parigi, per una settimana, e nulla più. Anche questo è "amare il mare".
Le nostre estati, molto corte, purtroppo, causa il lavoro, si svolgevano tra Corsica e Sardegna, Elba, Costa Azzurra, ecc. Le normali estati di chi tiene la barca in Tirreno.
Anche se (come forse spiegherò altrove ) il nostro maggiore vanto è quello di non aver mai preso, in tanti anni di navigazione, una burrasca vera, non mancarono in quegli anni episodi e navigazioni rischiose, dovute in gran parte alla inderogabile necessità (il lavoro incombeva) di rientrare.
Abbandonata per necessità (tutto stava divenendo proibito) ogni tipo di pesca "seria" (secondo i nostri illuminati governanti noi pescatori dilettanti stavamo depauperando il mare. Ma anche quì il discorso sarebbe lungo) in quegli anni mi dedicavo anche, con qualche successo, alla pesca sub.

Si avvicinava, nel frattempo, il momento di dare una svolta alla nostra vita.
Tra i vari fascicoli, in ufficio, ne avevo creato uno intitolato "progetto pensione". Lo avrei anche potuto chiamare "sogni", oppure "verso la libertà".
Il nostro sogno era di poterci dedicare totalmente alla barca, vivendoci quasi perennemente, lasciando Roma, città magnifica per il turista, ma odiosa per chi ci deve lavorare.
Per la realizzazione di tale sogno era necessario, però, risolvere vari problemi, primo fra tutti quello di chiudere con il lavoro e trovar il modo di sopravvivere ugualmente.
Con la buona pensione accumulata, affittando lo studio e una villetta ereditata da Paola, il problema economico lo avremmo potuto forse risolvere.
Un secondo problema era la barca: la nostra golettina era stupenda. Una di quelle barche che chiunque passi in banchina si ferma a guardare. Ma non era adatta alla nostra scelta di viverci per parecchi mesi all'anno. Non era tanto un problema di lunghezza, quanto di progettazione. Era nata per poter andare a far il bagno a Gabice e nulla di più. Solo in seguito avevamo scoperto che le sue ottime qualità marine le consentivano molto di più! E poi Paola, che pure aveva i suoi diritti, era disposta sì ad affrontare quella nuova vita, ma esigeva una certa comodità: acqua calda, televisore, cabine e cuccette adeguate, ecc.
Insomma dovevamo, seppure a controvoglia, cambiare barca e trovarne una nuova adatta alle nostre esigenze. Problema di non facile soluzione, stante la materia prima necessaria, cioè i soldi. Lavorammo su mio padre, che aveva sempre capito il nostro amore per il mare e non lo aveva mai contrastato, e piano piano lo convincemmo a donarci, in vita, ciò che ci sarebbe spettato per successione.
Demmo il via al nostro progetto e alla fine ci ritrovammo con una barca... alquanto discutibile, non bella, ma adattissima a quel che ci serviva.
Un Franchini 47: rullafiocco, rullaranda, giochi di vele vari, coperta in legno, guscio in vetroresina, un motore da 150 (!) cv, verricello elettrico, gruppo generatore ausiliario, ecc, ecc.
All'interno quattro cabine abitabili con otto cuccette (poi le riducemmo, ricavandone vani per stivaggio), frigorifero e freezer, due bagni, acqua calda, due televisori, ecc, ecc.
Insomma una casa, dotata di tutte le comodità.
Questa barca/casa venne varata da Franchini a Portoverde nell' estate dell'87 e, ovviamente, il nostro primo viaggio di prova fu in Jugoslavia.
Ne rimanemo entusiasti. Prestazioni a vela assolutamente incredibili: pur inesperti davamo la birra a barche "da regata", fine dei classici terzaroli, fine delle faticose manovre per raccogliere randa o fiocchi, in 5 minuti tutto era fatto ! La velocità di crociera a motore era sui 9 nodi ed il motore era affidabile.
Dentro era una bella casa, tutta in legno lucido, con tutte le comodità...
Al rientro da questa prima crociera Franchini ci chiese in prestito la barca per poterla esporre al Salone di Genova. L'avrebbe lucidata a dovere, trasportata a sue spese ed esposta. Ce la riavrebbe consegnata in acqua a Genova, al termine del Salone.
Accettamo: per noi avrebbe significato ritrovarci la barca in Tirreno "gratis" e portarla quindi facilmente a Cala Galera.
E così avvenne che a Novembre dell' 87 io ed un mio amico ci ritrovammo a fare una bella "crociera "da Genova a Cala Galera.
Tempo magnifico e porti deserti.

Lavoravo, nel frattempo, per condurre a termine il "progetto pensione": non tutti ci aiutavano.
"Ma come, chiudi lo studio ? Un'attività così ben avviata ? Sei matto !". Oppure "Ma cosa farai tutto il giorno ? Ti annoierai !" E poi "guarda che la vita costa ! Finirai i soldi e cadrai in disgrazia". E "dove andrai ? e Papà e la Mamma ? Li abbandonerai ? E tutti i tuoi amici?".
Ma noi eravamo ormai decisi. E tiravamo dritto.
Paola era d'accordo su tutto, anche nel vivere in barca per 11 mesi l'anno, ma pretendeva, almeno per quel 12° mese, d'avere un "buco", anche minuscolo, in cui rifugiarsi. In effetti non potevo darle torto. Possono succedere tante cose... Si può avere un mal di pancia... E così cominciammo a pensare e a guardarci in giro. In Costa Azzurra, girovagando in barca, avevamo visto posti stupendi: mini appartamenti con vista sul Marina, ville con prato all'inglese e barca ormeggiata a pochi metri. Ci riempimmo di depliants, scprendo con meraviglia dei prezzi d'affitto abbordabili.
Poi ci orientammo su qualcosa di più impegnativo: l'isola di Margarita in Venezuela. Avevamo un amico lì, che ce ne decantava la bellezza. Ma come portarci la barca?
Pur avendo navigato molto, l'Atlantico ci spaventava. Avevo letto e riletto che il nostro Mediterraneo, quando è incazzato, è molto peggio dell'Atlantico, purchè fatto nelle stagioni canoniche. Ed avevo letto e riletto di tante barche che avevano attraversato impunemente l'Atlantico, passando poi grossi guai al rientro in Mediterraneo. Ed avevo anche incontrato un tizio che, con un Franchini identico al nostro, aveva percorso e ripercorso per sette volte in sette anni quelle rotte. La cosa da un lato ci stuzzicava e dall'altro ci intimoriva. Ne avevamo parlato anche con Massimo Franchini che ci aveva proposto, come alternativa, il trasporto della nostra barca in quelle acque con un cargo. Cosa fattibile, a suo dire, con una spesa relativamente modesta. Ci dibattevamo ancora in queste perplessità allorchè venne a trovarmi in ufficio, per motivi di lavoro, un cliente. Ad un certo punto il discorso cadde su mio progetto e sul Venezuela.
Mi sentii rispondere: "Ma quale Venezuela ! Quale Margarita ! Io, in barca ho girato tutto il mondo. Il mare più bello è in Croazia".
Risposi candidamente: "d'accordo che la Croazia ed il suo mare sono stupendi. Li conosco. Ma che siano il posto più bello del mondo mi lascia perplesso.
E poi, scusa il particolare non indifferente, c'è la guerra !".
Alzandosi ed avviandosi alla porta, quasi a voler troncare il discorso, mi rispose semplicemente:
"Ma quale guerra ! Quella esiste solo sui giornali o per chi voglia andare a cercarsela. Comunque se e quando ti dovesse servire qualcuno per aiutarti a trovar casa, sono a tua disposizione... "
L' idea mi aveva lasciato perplesso. D'altro canto un minimo di competenza a quel cliente la dovevo riconoscere. Si trattava pur sempre di Cino Ricci!!

Avvenne così che un giorno mi ritrovai a Trieste alla ricerca dell' Aci One (maxi croato, con cui Cino aveva appena terminato la Barcolana).
Mi aveva detto: "vieni lì e cerca di Nenad, componente dell'equipaggio. Lo riaccompagnerai a Fiume, dove abita, e lui ti farà da Cicerone nell'illustrarti i luoghi e d'aiuto nel cercare casa."
Stante la mole trovammo facilmente l'imbarcazione e ci avvicinammo. Eravamo nel complesso un poco titubanti. Anche se Cino lo negava, tutti dicevano che di là c'era la guerra. Avremmo dovuto attraversare quel confine? Ci saremmo trovati nei guai?
Avvicinandoci alla barca in quell'atmosfera serale fumosa, piena di gente barcollante (non per il mare da poco affrontato) e mezza sbronza, individuammo un colosso nerboruto e tutto pelato.
"Sarà lui Nenad ?". Paola voleva scappare e tornarsene a Roma. Non l'attirava proprio di far salire in auto quel tizio colossale ed avventurarsi con lui, di notte, in un Paese in guerra.
Ma Nenad, per fortuna, non era lui. Era una persona "normale".
Parlava perfettamente italiano e ci tranquillizzò subito. Attraversammo il confine e ci inoltrammo prima in Slovenia e poi in Croazia. Sebbene fosse notte, ben si vedeva che tutto era normale. Non solo non vi era guerra, ma non ve ne erano neppure i segni di una recente.
Giungemmo ad Abazzia, dove Nenad ci aveva prenotato un buon albergo, e ci salutammo con appuntamento per le nove del mattino seguente.
Trovata ad Abbazia una casa adatta alle nostre necessità, salutammo con un groppo in gola Cala Galera e traferimmo velocemente la barca in Croazia.
La sistemammo in un Marina a 15 minuti dalla nostra futura casa!!!!
Seguì un trasloco epico ed avventuroso, non privo, tra l'altro, di difficoltà burocratiche.
Ve ne risparmio i dettagli.
E così, ci ritroviamo a vivere quì in Croazia da circa 10 anni. Siamo pienamente soddisfati della nostra scelta: - abbiamo una nostra casetta in affitto, in collina, da cui si vede il mare...
- con 15 minuti di auto siamo in barca
- in un'ora siamo a Trieste
- qui tutti, o quasi, parlano italiano.
Normalmente chiudiamo casa in aprile e ci imbarchiamo per la vicina isola di Cherso dove tiriamo in secco la barca e, in una quindicina di giorni (nessuno ci corre dietro e poi Cherso è un isola stupenda) facciamo carena e lavori connessi.
Poi gironzoliamo in mare sino alla fine di Settembre...
Nostalgie, rimpianti? Nessuno!
Gli amici che avevamo, quelli veri, li abbiamo conservati e molti di essi si imbarcano con noi in agosto.
E quando, saltuariamente, siamo costretti a tornare a Roma, al primo semaforo ci viene il maldistomaco!
Ogni anno scopriamo, quì in Croazia, nuovi "buchi", rade, porticcioli, paesini.
Naturalmente, avendone il tempo, non ci siamo limitati solo a queste acque: abbiamo navigato più volte nella Grecia Ionica, abbiamo attraversato Corinto e soggiornato anche per un intero inverno vicino ad Atene, ci siamo fatti l'Egeo e la Turchia...
Ora che è stata eliminata la tassa di stazionamento torniamo anche, saltuariamente, in Italia.
Parlo sempre al plurale perchè siamo in tre.
Da sempre abbiamo avuto con noi un amico e magnifico marinaio, un cane!
Nel tempo se ne sono succeduti tre giacchè, purtoppo, vivono meno di noi!
L'ultimo si chiama Nuss e spiega perchè quando scriviamo ad amici ci firmiamo CAM(illo)PA(ola)NUS.
Ma di questo, e di altre cose, vi parlerò in un’altra occasione, qui volevo solo raccontarvi di un Amore che ha condizionato tutta la mia vita.

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