Cari amici di VeLista, da qualche giorno sono iscritta anch'io, e visto che,
dopo tanto tempo, sono riuscita a concedermi la tanto agognata crociera caraibica, eccomi qui a condividere con
voi quel che mi resta di questa esperienza.
Chi mi conosce dalla vecchia lista di Velanet sa che mi piace scrivere, quindi non prendetevela troppo se la fantasia
ci ha messo lo zampino, trasfigurando un po' la descrizione nuda e cruda degli eventi...
Domino
L'uomo bianco salta sulla riva. Agita le braccia, forse saluta, forse chiama qualcuno.
E' alto e magro, la sua pelle e' arrossata sulle spalle. La sabbia forma piccole buche sotto i suoi piedi nudi,
formine nella fontana di farina. Dietro di lui le palme schioccano al vento, le erbe si piegano docili, abituate.
Di fronte a lui il mare, chiaro come gli occhi di un bambino. Una barca sta salpando l'ancora. Ombre si muovono
su e giu' per la coperta, in controluce. Si spiegano le vele. La barca accelera, appoggiata sull'onda. L'uomo la
guarda, con le mani a coppa sui sopraccigli, finche' non e' che un puntino bianco che non si puo' distinguere dalle
creste, laggiu', al largo.
Al largo di Tobago Cays c'e' il Reef, la barriera corallina. Saliamo su piccole lance a motore, e ci facciamo guidare
attraverso lo stretto passaggio da barcaioli locali. Il nostro, Sidney, e' nerissimo, e porta un alto berretto
di lana colorata, lavorato all'uncinetto. Una via di mezzo tra una calotta e un cappello da cuoco, o da vescovo.
Scopriremo poi che dentro ci sono i suoi lunghi capelli, divisi in mille treccioline naturali. Si ferma nell'acqua
bassa, a venti o trenta metri dal Reef, prende un gavitello e ci guarda mentre ci immergiamo. Ci sparpagliamo subito,
avidi di panorami fluttuanti. Il mare e' mosso anche qui: bevo, mi affanno, mi ferisco un piede contro i coralli.
Pesci fosforescenti vengono a leccare il mio sangue.
Sangue nel cielo e lingue di fuoco al tramonto: festeggiamo il capodanno alle sette, tra suoni di corni da nebbia
e strisciate rosse di razzi scaduti. Ai nostri schiamazzi rispondono le altre barche. La baia di Mustique e' piena
di europei. Si canta, si beve Berlucchi, si mangia la pizza appena fatta. E' gia' buio. Un gommone con un uomo
a bordo si stacca da una barca. Una donna guarda da un'altra parte.
Parte la musica, e con noncuranza la donna grassa e nera muove i fianchi, mentre prepara gli hamburger. "In
Calore" sorride e accenna a un passo di danza. La mamie lo afferra e lo trascina nel chiosco, dietro al bancone
del bar. In cinque minuti tutta la piazzetta davanti all'aeroporto e' un ondeggiare di natiche, un saltellare di
piedi abbronzati, uno strusciare lascivo di corpi sudati. Il funzionario della dogana, con i nostri passaporti
in mano, fa volteggiare Valeria. La vecchia cameriera cicciona sfrega il sedere sul pube di Gianrocco, mentre la
moglie filma con la telecamera e ride.
Ride l'onda frangente mentre si rovescia su di noi. Spazza la coperta, allaga il pozzetto gorgogliando esultante
come la gola di un bambino scatenato. La barca si inclina appena, andando al vento, ha un istante di incertezza,
come se si volesse fermare, un urto gentile ma inconfondibile. Abbiamo appena il tempo di insaccare le orecchie
nelle spalle, e arriva la doccia. La cerata si mette sempre un minuto troppo tardi. Siamo fradici, ma non fa freddo,
e le rispondiamo con urli di "ola". Ha piu' di tremila miglia alle spalle, e' arrivata fino a noi sospinta
dall'Aliseo, e ha deciso di rompersi proprio adesso, la bastarda, proprio addosso a noi. Ma non e' la prima, e
neanche l'ultima. A volte non te l'aspetti, e ti frega. Questa a momenti m'affogava: bevo dal naso, sommersa, e
vedo tutto bianco, annaspando e sputando salato. Ma riemergo sempre, in un modo o nell'altro.
Nell'altro mondo "In Calore Di Bestia" e' agente immobiliare. In questo mondo cronista sportivo di concorsi
ippici. A capotavola, con voce nasale descrive gli stalloni e le giumente sui cancelli di partenza, poi la sua
concitata radiocronaca rotola verso un ansante pronti via, e partiamo al galoppo picchiando ritmicamente le mani
sul tavolo del ristorante, patapum patapum patapum, ci incliniamo tutti dallo stesso lato per le curve, nitrendo
e sbuffando ai suoi comandi. Gianrocco invece dev'essere primario in un grande ospedale, Lupo, il nostro valoroso
capitano, ha uno studio di odontotecnico in Brianza e Topolone fa il mio stesso lavoro, anche se non sembrerebbe.
E io? Di giorno sono la chioccia che ripara i suoi pulcini sotto le ali della cerata. Di notte l'eccessiva danzatrice
del sedere al Basil di Mustique. Mario e Martina sono gli unici che fanno le stesse cose qui e a casa.
A casa Sidney non ci va quasi mai. Tutto quello che gli serve e' nella sua barca: bauli stagni pieni di T-shirts
da vendere ai turisti, pane fresco, e cocco, e ananas lunghi mezzo metro, e banane, decine di banane. Le aragoste
no, quelle le tiene chissa' dove, e le porta solo su ordinazione. Abborda le barche ancorate, lancia il suo largo
sorriso insieme alla cima d'ormeggio, e scherza con tutti. Nel suo piccolo, e' un signore: contratta il prezzo
con noi, ma si vede che lo fa per divertimento, o forse perche' sa che ci aspettiamo che sia cosi'. Quando cuoce
le aragoste sulla spiaggia, nei grandi pentoloni appoggiati sui falo', sembra un officiante di un antica religione:
avvolto nel vapore, gli occhi bianchi e neri, il sudore che gli incorona la fronte di perle, i gesti precisi. Alla
fine con un colpo di machete le divide in due, e ce le porge perfette, ricomposte nella loro forma come dietro
la vetrina di Peck. Qualunque cosa ti serva, puoi rivolgerti a lui: accetta qualsiasi valuta e le piu' diffuse
carte di credito.
Di credito abbiamo cinque ore. I bambini non l'hanno smaltita, la differenza del fuso orario, e la mattina si svegliano
prima dell'alba. Mario verso le cinque e mezza comincia ad accarezzarmi i capelli. Riesco a tenerlo buono per un'oretta.
Martina apre gli occhi alle sei, si gira e si rigira nella stretta cuccetta che ci dividiamo in tre. Alle sei e
mezza siamo gia' in pozzetto, sussurrando tra noi per non disturbare gli altri. Tengo gli occhi ben aperti, li
spalanco per arraffare piu' roba. Verra' buona tra qualche giorno, quando tornero' nell'inverno, e il cielo sara'
di nuovo piccolo.
Piccolo e bruttino, con i calzoni troppo larghi e la camicia trendy, il negretto che mi punta da quando sono arrivata
mi insegue nella calca, mi raggiunge e mi si appoggia. Non serve cambiare posto fendendo la ressa compatta. L'unica
sarebbe rifugiarsi sul palchetto, con l'orchestrina. Ma mi manca l'anima della cubista, e sopporto ridendo. Del
resto la statura reciproca mi aiuta, anche se lui non demorde. Margherita invece si volta e con gravita', scuotendo
l'indice alzato, dice al suo appoggiatore: No, thank you! Qui si balla alla rovescia: le ragazze in lame' e treccioline
voltano le spalle ai cavalieri, che tenendole per i fianchi, se le applicano come un cataplasma semovente la' dove
fa piu' bene, ondeggiando alla musica. Non capisco se sono io demode' o se mi manca una chiave di lettura, ma la
situazione mi procura un lieve imbarazzo. Se almeno Marco non fosse rimasto in barca. Se non avessi messo questo
vestito troppo corto, troppo stretto e troppo scollato, che non e' neanche mio. Pero', non so. Forse e' stato meglio
cosi'.
-Cosi' non combiniamo niente- ammette Gianrocco, dopo aver tentato invano di tirar giu' le noci di cocco a sassate.
Sono belle e invitanti, ma tanto in alto da farci pensare che potrebbero essere acerbe. Sidney ci lascia fare per
un po', fingendo di rassettare la barca, poi a piedi nudi sale sul tronco della palma. Ne butta giu' una decina,
e con il machete le libera dal mallo verde, duro e lucido. Adesso si' che sembrano noci di cocco, marroni e pelose
come devono essere. Le prime sono tanto fresche che la polpa e' molle. Sono davvero acerbe, ma e' cosi' che le
mangiano qui. Tagliando un pezzetto di corteccia Sidney fabbrica una specie di cucchiaino, e ci mettiamo in fila
per assaggiare la primizia. Sa di poco, in verita', e ha una consistenza gelatinosa che non ci fa impazzire. Meglio
quelle piu' mature, alle quali siamo abituati. Ci rimpinziamo come morti di fame, sotto gli occhi divertiti di
Sidney e dei suoi barcaioli. Ormai non si stupiscono piu' di niente: lo sanno che e' un po' bambinone, l'uomo bianco.
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