L'architettura navale: pochi ma chiari concetti di base

L'architettura navale, diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare dal nome, si occupa dei problemi legati all'interazione della nave con il mare. Meglio sarebbe dire con due fluidi: la nave infatti si muove sulla superficie del mare ed è immersa nell'atmosfera terrestre. Gli effetti dell'aria sulla resistenza al moto della nave sono trascurabili per velocità modeste ma diventano importanti quando la velocità del mezzo supera la dozzina di nodi circa, anche in relazione alle forme della parte emersa dello scafo. Un problema non da poco, tuttora dibattuto nella più recente letteratura scientifica, è poi quello dell'interazione fra i due fluidi, ovvero dei fenomeni che avvengono sul pelo libero del mare in prossimità della carena in moto.
Il nome italiano di architettura navale deriva dalla lingua inglese nella quale "naval architect" designa il progettista della carena, distinto dal marine "engineer", lo "strutturista" ed "impiantista". Anche poi se nella progettazione navale moderna alla redazione di un progetto partecipa un equipe di persone.
Una nave differisce da ogni altro tipo di struttura ingegneristica, tra l'altro, perché deve essere progettata per muoversi efficacemente nell'acqua con la minima spinta possibile e quindi con il minimo dispendio d'energia. Il progettista deve quindi, oltre ad assicurare il galleggiamento e la stabilità anche a nave danneggiata, oltre a garantire la robustezza strutturale sia in acqua calma che ondosa, valutare l'energia necessaria a far muovere sui mari il suo mezzo, possibilmente prima di costruirlo.
Una carena, ove per carena si deve intendere la parte immersa di un qualsiasi oggetto che galleggia, può dirsi completamente definita quando se ne conoscono le dimensioni (lunghezza, larghezza, immersione, ecc.) e la forma: ma mentre le prime possono essere espresse attraverso dei numeri e quindi individuate univocamente, la forma non si può definire con dei numeri o a parole se non in modo del tutto qualitativo.
Possiamo dire che una barca è fine o piena, ha sezioni più o meno svasate, la prora slanciata, la poppa arrotondata o a specchio e così via ma non si può raccontare com'è fatta una barca; bisogna vederla. È per questo motivo che la progettazione navale, ancora oggi nell'era dell'informatica, diventa un'arte ed il progettista di una buona carena è visto come un inimitabile artista. È quindi necessario un disegno, il cosiddetto piano di costruzione, che ci mostri l'oggetto: ed anche per questo la progettazione di una carena è affidata all'abilità ed alla "mano" che una volta manovrava "piombi e flessibili" disegnando sulla carta ed attualmente manovra "mouse e calcolatore" disegnando sullo schermo delle linee che descrivono la forma più opportuna per fendere l'acqua. Ma quale influenza hanno la forma e le dimensioni della carena sulla spinta che io devo fornire per muovermi? Posso considerare separatamente i due elementi, forma e dimensioni, per i loro effetti sulla resistenza al moto? Non è facile rispondere ma possiamo affermare che caratteristiche dimensionali errate non consentono buone velocità anche se si realizzasse un'ottima forma, se invece le dimensioni sono corrette una forma opportuna consente di guadagnare un certo margine sulla velocità a parità di energia fornita. In sostanza è assolutamente necessario che la lunghezza e la larghezza siano ben proporzionate, infatti, l'immersione della carena non ha ampi margini per variare essendo comunque legata al peso della barca ed alla sua galleggiabilità.
È importante notare che si possono fissare delle dimensioni senza aver disegnato nulla della carena. La cosa può apparire banale ma è particolarmente utile quando si devono fare dei confronti fra diverse carene prima di costruirle: è abbastanza intuitivo, infatti, che a parità di lunghezza aumentando la larghezza della barca aumenti l'energia da fornire per muovermi ad una certa velocità.
Osservazioni analoghe possono essere fatte sulle dimensioni di una carena; ma bisogna prestare attenzione! Non si pensi che aumentando, ad esempio, la larghezza tutto possa rimanere invariato. Aumenterà anche il peso della barca e con esso l'immersione. Non possiamo quindi dare una valutazione di quanto crescerà la potenza da fornire variando la larghezza; infatti, bisognerebbe tenere in conto l'effetto della diversa immersione che sicuramente aumenterà con l'aumentare della larghezza e quindi del peso dell'imbarcazione. Una nave è un corpo unico e ogni minimo intervento su una sua parte si ripercuote inevitabilmente su tutte le altre è il concetto che sta alla base di tutta la progettazione. Per quanto banale, molto pochi se ne rendono conto.

Anche se la forma non si può determinare in modo quantitativo e cioè esprimere con numeri come le dimensioni, possiamo fare confronti fra diverse carene? Dall'esperienza si riescono a trarre delle conclusioni circa l'influenza che le dimensioni hanno sull'energia da fornire per muovere un corpo nell'acqua; ma come poter confrontare la forma? Non esiste che la prova sperimentale. Be' questo si può fare sovrapponendo due disegni (che sono in ogni caso bidimensionali mentre una barca ha tre dimensioni). Possiamo però avere un'idea di come stanno le cose definendo dei coefficienti di finezza: si tratta di confrontare il volume immerso con un volume fissato ad esempio quello definito dal parallelepipedo (la scatola) che sta intorno alla carena (coefficiente prismatico longitudinale). Altri simili parametri possono essere definiti a piacimento per confrontare due carene. Tutte queste considerazioni rimangono qualitative ma si vede dall'esperienza che azzeccare le dimensioni della barca ai fini della velocità conta di più che avere una buona forma. Teniamo presente che forma e dimensioni influenzano anche stabilità, robustezza, spazi interni, insomma il progetto di tutto nulla escluso dipende dal guscio esterno che racchiude il volume globale. Dalla fantasia dei progettisti nascono perciò carene non convenzionali per soddisfare particolari esigenze: catamarani, SWATH (small water area twin hull), aliscafi, hovercraft, scafi plananti a spigolo o con carena tonda, SES (surface effect ship), etc. Fino ad ora abbiamo affermato che la nave si muove nell'acqua e questo non è proprio preciso: in realtà la nave si muove sulla superficie dell'acqua. Tale affermazione, che può apparire una sottigliezza in realtà comporta una differenza enorme. Chiunque abbia visto un oggetto galleggiare avrà notato che nelle sue vicinanze si formano delle onde, così come lateralmente ed a poppa di una barca in movimento. Chi crea queste onde? E soprattutto, quanta energia viene spesa? Se è possibile calcolare con formule matematiche l'attrito fra l'acqua e la carena come si calcola l'attrito fra due corpi solidi che strisciano l'uno sull'altro (magari ci vuole un po' più di fatica), non è altrettanto possibile calcolare con sufficiente precisione l'energia assorbita dal formarsi delle onde. La teoria analitica non consente di risolvere il problema in modo "soddisfacente", perciò si usa ancor oggi il metodo sperimentale costruendo dei modelli in scala da provare in apposite vasche. Può apparire incredibile ma l'energia da spendere per muovere un galleggiante dipende dalla velocità elevata ad una potenza che, per alte velocità, arriva fino alla sesta: per fare un esempio se raddoppio la velocità di una barca da 30 a 60 nodi dovrò fornire un'energia approssimativamente 64 volte maggiore. Questo spiega perché ci sia voluto tanto tempo prima che la velocità delle navi crescesse quanto abbiamo visto negli ultimi anni: si sono dovute sviluppare tecnologie in grado di fornire enormi energie con macchine di dimensioni relativamente ridotte e trasportabili dalla nave. L'applicazione al campo navale di tutte le conoscenze ingegneristiche non può ancora essere considerata una scienza esatta poiché ci sono ancora molti margini di incertezza e molti elementi sfuggono alle più moderne teorie matematiche lasciando un ampio margine all'intuizione ed all'inventiva dell'architetto navale. Come ebbe a dire il famoso matematico Pointcarrè: La matematica non vi dice cos'è ma cosa sarebbe se. Infatti in questo campo i parametri sono così tanti che parte di essi devono comunque essere trascurati ed inoltre non è ancora stato trovato un sistema, pur complesso, di formulazioni matematiche la cui soluzione consenta di ottenere la resistenza al moto di una nave in modo univoco in funzione di una serie di parametri di ingresso che descrivano la nave stessa. Ovvero, non basta una corretta applicazione della matematica e della fisica, pur con i più sofisticati metodi oggi in uso, per ottenere una buona nave. Ulteriori notizie alla prossima puntata.  

Cesare Mario Rizzo