Mario Fabris: "Verso il Pacifico 2 - Dalle San Blas a Panama"

Cayo Lemons
Salpiamo dopo due notti per una nuova baia: la navigazione è breve, meno di due ore verso ovest, fra secche e atolli, sui quali, a differenza di Cayo Holandes, si nota la presenza di capanne abitate della popolazione locale "cuna". Sono abitazioni di solito con un unico vano, ognuna adibita ad uno scopo diverso, per dormire o per mangiare e cucinare. In qualche atollo c'è anche un pseudo ristorante dove, come ci racconterà Mary, si può mangiare pesce o pollo fritto, con patate e riso.
I cuna vivono prevalentemente di turismo, o meglio dalla vendita di aragoste e mola ai naviganti in transito, sono piccolini e scuri di pelle, abilissimi nuotatori e comunque sempre gentili.
L'atterraggio a Cayo Lemons è sempre attraverso una pass, questa volta molto larga e visibile, e diamo fondo a fianco di Eccolan, la barca con Bobo e Mary, che ci raggiungono subito.
Loro sono ormai di casa, fanno parte della comunità italiana (Bobo addirittura pensa di prendere la residenza panamense), e ci fanno da cicerone con una panoramica virtuale delle San Blass: come ricevere rifornimenti con una barca di cuna che settimanalmente porta frutta verdura e carne, dove scendere sul continente sempre con una barca cuna che fa la spola in 45 minuti prelevando passeggeri sulle barche o negli atolli,e poi consente di prendere la coincidenza con un mezzo per Panama, dove fare documenti di entrata e dove prendere la scheda telefonica locale.

Fra una birra e altre due chiacchiere di aggiornamento il tempo passa veloce, e l'appuntamento viene spostato dal comandante per cena su Refola: far da mangiare per 6 o 8 persone non cambia di molto, e do volentieri una mano a Sandro ai fornelli.
La serata così si prolungherà più del solito, con una bottiglia di vino i più, ma soprattutto con tante chiacchiere di pozzetto, specie fra Sandro e Bobo che hanno molte conoscenze in comune, viste le ripetute esperienze nei Carabi.
Io approfitto di Bobo per chiedergli un aggiornamento sulle carte locali, ed il giorno dopo mi fornisce una copia delle CMAP di tutto il mondo del 2002, che mi sarà utile per Max Sea, delle coste di Panama, e di tutti i wait point del Mar Rosso che lui ha tracciato, dove lui è di casa perché ha fatto l'istruttore sub per molti anni. Così passando da un oceano all'altro passiamo anche noi la mattina seguente in un altro atollo.

Cayo Porvenir
In questo atollo si fanno i documenti di entrata, ci sono l'autorità militare e civile, un piccolo aeroporto, un alberghetto ed un ristorante raccomandato da Mary. Diamo fondo davanti alla caserma, vicino ad vecchio bastimento e ad una barca che ha disalberato, e riceviamo subito la visita di una canoa cuna con tre pescatori che ci propongono quattro grosse aragoste per 25$, offerta che accettiamo subito; il comandante, dopo averle messe in congelatore, scende a terra per prendere informazioni anche per Marzia, skipper romana che dovremmo incontrare nel viaggio verso Raiatea e che conosceremo lo stesso pomeriggio.
Purtroppo il consiglio cuna, che si riunisce in quel giorno a Porvenir, ha monopolizzato l'atollo, quindi niente ristorante (occupato per la riunione cuna) e neppure uffici aperti, almeno per la mattina. Decidiamo almeno di fare due passi e visitare l'albergo, chissà che non ci serbi sorprese: ed infatti ce le riserva.
L'albergo è una specie di resort, sotto il profilo logistico, costituito da una capanna con alcuni vani, un'altra capanna dove c'è una cucina, uno shopping (si fa per dire) ed un banco per la vendita di bevande. Attorno ad alcuni tavoli sono seduti alcuni ragazzi che aspettano di essere serviti, ma nulla di riconducibile ad un servizio ristorante. Chiedo in cucina alla cuoca se è possibile mangiare qualcosa e che cosa, ma la risposta è negativa: troppa gente, non c'è pesce, solo pollo e patate, e comunque bisogna aspettare due ore. Capiamo che la cucina di bordo è insostituibile, e dopo aver incontrato l'autorità dell'isola che ci fornisce le informazioni che cercavamo, rientriamo in barca.
Piccolo lunch e poi ci rimettiamo in navigazione verso un'altro atollo dove incontreremo Marzia. La navigazione è semplice e breve, ed in un'oretta arriviamo a Cayo Chichime.

Cayo Chichime
È questo uno degli atolli più belli che abbiamo toccato alle San Blas e sarà anche l'ultimo da scoprire che visiteremo. L'atterraggio con la luce della sera alle spalle, l'insieme di tre isolette con le palme che scendono fino al mare, il fondale profondo di sabbia chiara fin sotto riva, il passaggio di due delfini sotto bordo conferiscono un'atmosfera da cartolina e dopo aver zigzagato fra le barche per cercare il giusto posto ove fermarci abbiamo dato fondo all'ancora ci siamo calati tutti in acqua a godere il momento magico. Pensate che nuotando mi è sfilato vicino un delfino per due volte, e l'emozione è stata forte.

Prima di sera siamo scesi a terra perché Bobo ci aveva detto che in questo atollo c'era un cuna, Miguel, che avrebbe potuto pulire la chiglia della barca e poiché questa era un'opportunità che il comandante voleva percorrere, siamo scesi a terra per cercarlo... non lo abbiamo trovato, ma in compenso abbiamo trovato chi ci avrebbe fatto il lavoro. La mattina seguente si è presentata sotto bordo una canoa con 5 "operai": due ragazzini che non superavano i 10 anni, due più grandi ed il loro mentore, tutti armati di maschera e pinne, con il raschietto e tanta voglia di fare il lavoro. Ci hanno chiesto 25$, e per quella cifra si sono tuffati e rituffati per oltre un'ora sotto la chiglia , con gli strumenti di lavoro in mano e tanta voglia di giocare a fare i grandi. Alla fine avevano freddo e quando poi il comandante è sceso a controllare l'esecuzione della pulizia, ed era stata fatta bene, oltre al compenso pattuito si sono meritati anche una birra ed un dolcetto testa. Dovevate vedere com'erano contenti, ed anche il nostro comandante... Ho pensato sorridendo fra me e me che questo era stato sfruttamento del lavoro giovanile, ma per fortuna non era passata la Camusso.

La sera precedente il comandante aveva invitato a cena Marzia e suo marito, una coppia romana che a bordo del Parmelia sta facendo il giro del mondo. Pasta con le aragoste, quelle comperate la mattina stessa a Cayo Porvenir, che abbiamo spolpato una ad una ricavandone un'abbondante polpa che assieme al sugo di pomodoro ci ha consentito di condire un Kg di fusilli... Mancavate solo voi, ... perchè ne abbiamo avanzato una pirofila che il giorno dopo abbiamo passato al forno.
Anche con Marzia (bella moretta, giovanile e simpatica, oltrechè intraprendente skipper) non sono mancate le chiacchiere in pozzetto fino a tardi, e ci siamo dati appuntamento al marina di Colon, prima del canale.

mercoledì 27 febbraio
Verso Panama
E così anche le San Blass sono ormai un ricordo. Che cosa dire? sono praticamente tutte uguali, anche se tutte diverse. chi preferisce quella con i fondali pescosi, chi quella con le spiagge bianche o la laguna per fare una nuotata, ma tutte hanno le palme, la spiaggia, la laguna, la pass per entrare, e i cuna che offrono le aragoste ed i mole.
Sicuramente sono isole rimaste incontaminate, se con tale termine intendiamo l'assenza di costruzioni e la presenza di una popolazione, i cuna, che ancora vivono del prodotto del loro lavoro: la pesca delle aragoste e la tessitura dei mole. Certo è che senza il sole il paesaggio perde ogni fascino, vengono a mancare i colori, ed alzandosi la mattina sembra di essere sulla laguna di Venezia in autunno. Inoltre senza lo stimolo e l'emozione dei colori (il verde, l'azzurro ed il bianco della spiaggia, tutti con mille sfumature) si perde la voglia di fare il bagno, anche perché è rischioso avventurarsi in acqua per la possibile presenza di pescecani, che per quanto piccoli e a detta dei cuna, non pericolosi, non costituirebbero un incontro piacevole.
Non so quindi come facciano certi navigatori, dopo 12 anni, (vedi un certo Spartaco, italiano) ad essere ancora qui fermi alle San Blass, evidentemente ci sono per alcuni altre motivazioni.
Ne ho accennato a Bobo, un altro che rimarrà anche l'anno prossimo a fare la stagione qui, e mi ha detto che l'ambiente fuori dagli schemi costituisce di per se stesso motivo di scelta rispetto ad altri contesti, per esempio i Carabi. Va anche detto che alcuni skipper sono qui per lavorare, e rispetto ad altre mete questa rimane appetibile anche in momenti di crisi, oltre a consentire un costo della vita estremamente basso
Ho contato oltre una decina di barche di italiani, anche se battenti bandiere diverse, fra qualche centinaio di imbarcazioni incontrate in tutto l'arcipelago, il che significa che queste isole esercitano un'attrattiva forte, ed effettivamente ci si sente un po' fuori dal mondo quando si arriva. Credo però che nei prossimi anni anche questo lembo del nostro pianeta potrebbe subire purtroppo ulteriori mutamenti: già ora si arriva da Panama alla costa con la nuova strada in un paio d'ore e in 45 minuti poi si raggiunge Cayo Lemons, nel mezzo dell'arcipelago, lontano dal mondo che corre.

Ho visto bellissime barche, molte di passaggio per il giro del mondo, altre che rientrano in Italia e parecchie che stazionano in qualche marina nei carabi o a Colon, a costi relativamente bassi. Una cosa bella che vale a pena di ricordare è il cameratismo fra tutti gli skipper, e quando la sera tutti si chiamano alla radio o al VHF si preoccupano se qualcuno non risponde all'appello, proprio come una famiglia. Come non ricordare Paolo, del Felicitè, che con la sua voce profonda e rotonda (tutte le donne a bordo ne erano incantate) la sera teneva banco alla radio sulla frequenza ad onde corte.

Ora siamo in trasferimento verso Colon, ci troviamo a 25 miglia dalla meta, alla fonda in una baia piena di barche lungo la costa. Il paesaggio attorno è quello classico tropicale: foresta densa, alberi altissimi e palme che spuntano dappertutto, qualche casa sulla costa ed un paesino in lontananza. Peccato che non ci sia il sole, perchè anche la luna ha iniziato la sua fase calante e per un po' non ci farà compagnia di notte, almeno fino a dopo Panama...

Giovedi 28 febbraio
Panama
Emozionante e interessante, tutto: dall'atterraggio all'approdo al marina, all'incontro con l'agente per le pratiche alla presa di coscienza di come ci si deve muovere fra Colon e Panama city... e non ultimo anche qui una quantità impressionante di barche di italiani.
Ci sono tre moli, e sul primo ce ne sono tre, tre sul secondo e due sul terzo, e almeno due sono in arrivo la prossima settimana, una delle quali con Vittorio Malingri.
Arrivando dal mare aperto, già da lontano si iniziano a vedere molte navi in fila indiana, alcune in uscita dal canale, altre alla fonda, e si deve fare zig zag per evitarle; in compenso l'entrata dell'avamporto è visibilissima ed anche se c'è molta corrente e turbolenza in acqua si procede agilmente, dando la precedenza al traffico in uscita. Il marina Schelter Bay è visibile appena dentro alle bocche del porto, e chiamando al VHF con il canale 78 ci viene comunicato l'ormeggio. Avevamo già prenotato l'arrivo, per cui è stato tutto agevole, ed in pochi minuti con una manovra perfetta il comandante ci ha portato in banchina. Marzia era arrivata già ieri dalle San Blass ed aveva appena fatto le pratiche di taratura della barca per l'attraversamento del canale, per cui abbiamo trovato in banchina l'agente che anche noi avevamo contattato, ed in quattro e quattr'otto ci siamo organizzati sia per le pratiche di immigrazione che per la taratura ed il passaggio del canale.
L'atmosfera è perfetta, classica del Sud America, con l'offerta di consumi molto orientati alla forte presenza di americani. A partire dagli orari degli uffici (ridotta e con molte festività), al clima, per finire all'ambiente del marina, il bar, il ristorante, il minimarket, i bagni puliti e con acqua calda ed il personale disponibile, ma con gran calma : non bisogna avere fretta e si ottiene quasi tutto. C'è anche la connessione internet, e comperiamo subito la password che per una settimana, a 10$, ci terrà collegati al mondo. Scopriremo poi che la collegamento è più facile di sera, anche se la differenza di fuso di 6 ore con l'Italia crea qualche problema di contatti, però ci si fa l'abitudine, si passa l'oceano è sempre così, e ci si adatta a tutto.
Veniamo così a conoscenza dei risultati delle elezioni, e qualcuno ha pensato che è la volta buona che non ritornerà in Italia.

Venerdi 1 marzo
Bisognerebbe sempre diffidare delle opinioni della gente, e anche in questa occasione ne abbiamo avuto più di una riprova. Gli skipper a San Blas ci avevano preannunciato per l'attraversamento tempi di attesa anche di un mese, ed invece l'agente ci ha detto che già la settimana prossima sarebbe possibile passare; Panama: c'è chi ce l'aveva preannunciata come una città pericolosissima, al punto di non avventurarsi in giro da soli a piedi, ed invece scopriamo che i velisti in transito ci vanno in autobus, passando da Colon, ed altri sono andati a camminare per la foresta senza guida.
Noi non volevamo rinunciare ad "assaggiare" il clima della città e a fare qualche foto, e così ci siamo organizzati approfittando del taxi che dovrà portare domani wilma all'aeroporto. Partiremo prima delle 8, e ci faremo accompagnare in giro per i luoghi più significativi, in un giretto turistico, con una guida speciale. Si, perché abbiamo scoperto che il tassista (gentilissimo) è abituato a seguire i clienti del marina, ed è ammanicato con le autorità e quindi prenderemo due piccioni con una fava.

Il clima si annuncia caldo sin dal mattino, c'è il sole, siamo sui 30°, e fare lavori pesanti non è molto igienico, per cui ce la pendiamo comoda. Andremo a vedere come e dove are la spesa, il comandante farà i documenti di immigrazione, e poi ce ne andremo a zonzo.
Scopriamo così che il marina è anche un piccolo cantiere, si può mettere la barca a terra ed anche disalberare, ci sono artigiani per la verniciatura, la parte elettrica, meccanica ed attrezzisti, e d'altronde questa è l'ultima possibilità di effettuare manutenzione "assistita" prima della Polinesia.
La maggior parte delle barche ormeggiate sono di passaggio nel giro del mondo, e ce ne sono di tutti i tipi e per tutti i gusti, mediamente tutte molto sicure, e ci sono anche belle barche, prestigiose, e di tutte le bandiere. Neanche a farlo apposta le barche del cantiere AMEL sono le più numerose, come avevo già constatato in questi primi giorni alle San Blass, e come avevo già rilevato sia qualche anno fa in Pacifico che nell'Indiano.

È piacevole soffermarsi con i velisti, tutti accomunati dalle stesse affinità e (preo)ccupazioni: i lavori di manutenzione, le informazioni sulle tappe future, la cambusa da fare, le previsioni meteo, ma in primis... le provviste. Si, perchè mediamente chi intraprende questi viaggi ha già esperienza di barche e quindi ha messo in previsione quali interventi effettuare sulla barca (motore, carena, attrezzature.) e dove, ma tutti sanno che i viveri sono l'elemento più importante (e spesso più impegnativo economicamente), senza il quale l'atmosfera di bordo può risultare insostenibile, al di la delle condizioni atmosferiche. E così anche ieri una barca francese ormeggiata al nostro fianco, con due coppie non più giovani a bordo, è arrivata sotto bordo con 5 (dico cinque) carrettini pieni di provviste, che sembrava impossibile riuscissero ad entrare in barca.
Anche noi però non scherziamo, tant'è che per il prossimo rifornimento che dovrà bastare almeno fino alle Marchesi, abbiamo già previsto di farcele portare a bordo dal furgone del supermercato e per fortuna non dobbiamo imbarcare acqua perché siamo autonomi con il dissalatore.
Abbiamo anche avuto la richiesta di un imbarco, una velista che sta girando il mondo, ma... rimarrà a terra...

Domenica 3 marzo
E così dopo tanta attesa abbiamo visto anche la città di Panama, (sono anni che è una meta che volevo raggiungere), perché non credo ci saranno più altre opportunità per visitarla, a meno che dopo il passaggio del canale il comandante non decida di fermasi qualche giorno in un marina della città.Ieri è stata una giornata intensa, perché alla fine con il tour previsto (taxi dedicato) siamo riusciti a fare molte tappe, una più interessante dell'altra.
Alle 7.30 eravamo già pronti e con Alfredo (il taxista, un omone di 130kg, che non è mai uscito dallo stato di Panama) abbiamo concordato il percorso: rifornimento dollari in banca, visita a Colon, visita al museo del canale, indagine sui marina di Panama, la visita alla città vecchia con desajuno, per essere alle 17 all'aeroporto, da dove Wilma sarebbe partita alle 19 per Verona.
Il marina Schelter Bay dove siamo ospiti, è inserito in una zona militare panamense, che una volta era controllata dagli americani, quando questi ancora controllavano il canale; ora invece è completamente abbandonata ed "invasa" dalla foresta, che se l'è ripresa, come poi constateremo per tutte le aree che il governo panamense si è ripreso dopo aver "scacciato" gli americani alla fine degli anni '90.
Peccato, perché i segni di una comunità ben organizzata sono ancora presenti: gli alloggiamenti per i militari, per le loro famiglie, e per i civili americani che lavoravano al canale, e vicino alla foce del canale anche il borgo sorto oltre100 anni fa, abitato dagli immigrati che hanno contribuito ai lavori per scavare il canale. Sembra che il governo panamense voglia troncare ogni riferimento con un passato, tutto sommato recente, e preferisca lasciare abbandonate ed in deperimento tanti alloggiamenti che potrebbero essere utilizzati dalla popolazione per vivere più decorosamente di come facciano ora...
All'uscita dell'area controllata c'è una garitta dove siamo "controllati", perchè Alfredo ci racconterà (la sera rientrando, quando un cayenn ci supererà correndo quasi al buio) che in questa zona c'è un deposito della droga che viene sequestrata dalla polizia ai narcotrafficanti, che poi si suppone dia origine ad altri traffici gestiti dal governo, considerato anche il via-vai di elicotteri che spesso anche di sera fanno rapide apparizioni nell'aria...

Per andare a Colon dobbiamo attraversare il canale passando sopra la prima chiusa, e dopo una curva, uscendo dalla foresta, ci troviamo la strada sbarrata... dal fianco di una nave che in quel momento sta transitando all'altezza dell'asfalto, ed abbiamo la prima percezione della maestosità dell'opera, come poi apprezzeremo meglio durante la visita al museo. Dobbiamo quindi aspettare che il convoglio passi, e poi attraversiamo la chiusa passando sopra le paratie chiuse di entrata , con l'acqua 10 metri più in basso, mentre sono aperte quelle di uscita, per poi dirigerci verso il centro commerciale.
Attraversiamo anche il cantiere dove stanno scavando il secondo canale, che sarà largo più del doppio dell'esistente, ed è impressionante il movimento di persone e mezzi: la terra asportata ha già creato una collina come quella di San SiroIl prelievo con la carta di credito, operazione che mi era già stato possibile effettuare a Cartagena (ho bisogno di $), si presenta un po' difficoltoso, perché imprevedibilmente lo sportello automatico non riconosce il rapporto con l'istituto Italiano, e sono costretto ad entrare in banca e chiedere il cambio con gli euro che mi concedono con molte precauzioni. Non vi dettaglio il controllo all'esterno della polizia con due guardie armate che mi hanno perquisito, ma anche quello all'interno sul passaporto effettuato allo sportello, come neppure alla frontiera mi hanno mai fatto. Alfredo addirittura mi ha aspettato con lo sportello del taxi aperto perché il rischio di rapina sembra essere alto...

Tutti ci hanno detto che Colon è brutta, ed è vero, perché oltre a non esserci nulla di interessante, sembra tutta una baraccopoli: durante la presenza americana l'edilizia era stata caratterizzata dallo stile post-coloniale, e mantiene ancora l'impronta di una urbanizzazione strutturata, mentre ora il contesto è quello di una città devastata dalla guerra. Mancano i serramenti sulle finestre, non esiste traccia di manutenzione, le facciate delle case sono sudice, come le strade ed i marciapiedi, le immondizie sono abbandonate dappertutto e la gente che riempie le strade vive in mezzo alla sporcizia.Il senso di pericolo si percepisce nell'aria, tant'è che è sconsigliato avventurarsi da soli per strada: le persone che devono prendere i bus, ed hanno le borse della spesa, stanno raggruppate per non essere derubate, e c'è polizia ovunque. Gli unici edifici che si riconoscono con un loro passato florido sono una chiesa cattolica, un albergo, il forte con gli alloggiamenti degli ufficiali ed i bastioni ancora intatti con i cannoni puntati sul canale, oltre al viale principale con al centro le palme ed i due sensi unici ai lati. Lungo il porto l'attività è frenetica, containers sono impilati in attesa di essere spediti, ed i docks ora vuoti ricordano un passato di grande floridità.
Ripartiamo delusi, ma una visita veloce andava fatta, anche per rendersi conto di persona dello stato di degrado in cui vive questa cittadina, e proseguiamo per la tappa seguente, al museo del canale.
La strada che percorriamo, per fortuna ben tenuta, passa in mezzo alla foresta tropicale, fra le vie d'acqua che caratterizzano il paesaggio, e per un certo tratto fiancheggia il canale; non è tracciata dal navigatore, come ci dice Alfredo, perché il governo vuole che si dimentichi la presenza dei gringos, ma non si può negare l'evidenza dei fatti.
Deviamo poi verso la chiusa Miraflores per ammirarla dall'alto e visitare il museo del canale, che raccoglie tutta la storia del suo scavo; è molto frequentato dai turisti, ed all'interno sui quattro piani è descritta l'evoluzione dello scavo con filmati, fotografie, documentazioni e spiegazioni dettagliate, oltre ad una stanza di simulazione all'ultimo piano, da dove sembra di stare sulla plancia di una nave e attraversare il canale e le chiuse.
È una delle opere di ingegneria più grandiose del mondo moderno: collegare due oceani per mezzo di un sistema di chiuse, passando attraverso un lago naturale le cui acque sono ad un livello più alto del mare, ed ora sta per essere replicata. Ogni giorno il canale lavora 24 ore su 24, fattura oltre 6 milioni di dollari, e nel 2014 verrà festeggiato il primo centenario dall'inaugurazione...

Riprendiamo il tour e l'arrivo a Panama è improvviso, e dopo una curva che sbocca dalla foresta costeggiando il canale si entra nella periferia della città, dove possiamo vedere i marina: c'è il primo (Balboa) che ha solo ormeggi alla fonda, ma con la differenza di marea di oltre 6 metri è di difficile accesso, il secondo (la Playita) ed il terzo (Flamenco) attrezzati con i pontoni mobili sono sicuramente più comodi, il quarto prevede solo ormeggi all'ancora liberi, ed è forse il meno comodo da prendere in considerazione, considerato anche che il fondale è basso.Ci sono molte barche all'ancora, perché tutte quelle che hanno attraversato il canale dirette in Pacifico si fermano almeno una notte, sia per visitare la città che per rabboccare la cambusa. I due marina attrezzati sono inseriti in un complesso commerciale di buon livello, per cui è possibile percepire un ambiente signorile, con le comodità cui siamo abituati in molti marina del mediterraneo, e che avevamo ormai dimenticato.
Con Alfredo, che si dimostra utilissimo anche per soddisfare le esigenze di un velista, è facile trovare le risposte che cercavo, ed una volta esaurite le necessità della navigazione possiamo dedicarci alla visita della città.
Durante il trasferimento dalla zone dei marina attraversiamo un parco che ben assomiglia ad una zona residenziale, costellata però di palazzine abbandonate, abitata una volta degli americani ricchi che vivevano a Panama, poi incamerata dal governo panamense ed in attesa di destinazione urbanistica. Mi racconta Alfredo che, con tutti i cambiamenti strutturali e politici avvenuti dopo la dipartita degli americani, questo parco, tenuto appositamente recintato e chiuso, è ora in attesa di essere venduto a qualche finanziere che costruirà una zona signorile adatta allo sviluppo programmato per Panama, con alberghi dove il personale dovrà camminare con scarpe e guanti bianchi, contrariamente all'esigenza di un'edilizia popolare che possa ridare dignità alla popolazione oggi soffocata dalla povertà, dal caro vita e da bassi stipendi.

Al di la della baia dove si affacciano i quattro marina, si stagliano i grattacieli con forme moderne e slanciate, con alberghi ed abitazioni ultramoderne, a testimonianza di una città che sta crescendo a ritmi vertiginosi, proponendosi come la prossima città più all'avanguardia del mondo dopo Singapore, ed effettivamente questo particolare balza subito all'occhio. Il traffico è molto intenso, le strade, di cui molte sopraelevate, si intrecciano fra la costa ed il nuovo centro, insinuandosi fra le recenti costruzioni e le demolizioni di vecchi quartieri, con la prospettiva di preparare la città ad affacciarsi tutta nuova sull'Oceano, compreso un nuovo enorme marina che stanno costruendo sbancando il litorale, e che darà a Panama una nuova fisionomia ultra moderna ed efficiente.
La parte vecchia della città è oggi l'unica testimonianza di un passato coloniale spagnolo, ed è evidente il contrasto fra i vecchi palazzi che stanno cadendo o sono in piedi solo perchè puntellati, ed il volto nuovo che appare fra queste "rovine" caratterizzato dalla ristrutturazione dei palazzi storici. A differenza di molti altri paesi, dove hanno abbattuto e ricostruito ex novo il centro storico, qui a Panama hanno adottato il criterio di mantenere l'originale struttura, ristrutturando i palazzi anziché ricostruirli, il che offre al visitatore il sapore di un passato che viene fatto rivivere, con i sui usi e costumi, sia culturali che alimentari. Così sono già mezze ristrutturate la piazza principale ed altri palazzi storici, ed è bello passeggiare fra le bancarelle dove fanno bella mostra i cappelli panama, bianchi con la fettuccia nera, e gli scatti fotografici non sono mancati.
Le stradine sono molto strette, una volta non c'erano le macchine, e curiosando nei portoni dei palazzi ancora da ristrutturare si percepisce la vita che corre, sicuramente di persone non abbienti, ma fedeli alle loro tradizioni, purtroppo consapevoli che il prossimo palazzo in disuso verrà acquistato da qualche riccone e dopo la ristrutturazione sarà fatto rivivere per il turismo, quindi con negozi, alberghi ed abitazioni. Già adesso la presenza di turisti caratterizza il quartiere, e passeggiando l'atmosfera è più sicura. Cercavamo un ambiente con cucina locale, e annusando qua e là siamo capitati davanti ad una trattoria frequentata da persone del posto: siamo stati fortunati, accoglienza familiare, piatti del giorno molto appetitosi, ed assieme d Alfredo ci siamo gustati uno snapper fritto a testa, con il riso ed un sughetto di pesce da leccarsi le dita, e da bere una spremuta di ananas naturale, come da loro abitudine alimentare.

Il tempo è passato in fretta, e verso le 15 siamo ripartiti verso l'aeroporto, che si rova dalla parte opposta rispetto al centro storico, in mezzo ad un traffico bestiale, al punto che per fare 20 chilometri abbiamo impiegato due ore. In compenso, andando piano, ho potuto vedere bene tutta la periferia della città, che stranamente secondo me assomiglia moltissimo a quella di Rio de Janeiro, e si snoda fiancheggiata da centri commerciali, uffici, dai dealer delle principali case automobilistiche e meccaniche del mondo, e resa colorata da bancarelle con il tetto di paglia che vendono frutta e verdura tropicale: mango, papaia, avocado, arance, banane, cocco, angurie, meloni, mele e pere, sicuramente più invoglianti che al supermercato.
Arriviamo all'aeroporto giusto in tempo, Wilma sbarca al volo perché il taxi non può fermarsi molto, e con Alfredo me ne torno al marina.
Ed anche Panama... vista e piaciuta..."