Mario Fabris: "Verso il Pacifico 1 - Da Cartagena alle San Blas"

mercoledì 20 febbraio
Cartagena
...e così inizia l 'avventura: dopo 10 anni, con l'obiettivo di completare la traversata dell'Oceano Pacifico, mi sono imbarcato a Cartagena su Refola, superbo Supermaramu2000, partito dall'Europa a settembre 2012 comandato da Alessandro Nodari, con l'obiettivo di effettuare il giro del mondo.

Mi ero reso disponibile da tempo per questa tratta, e per questo mi ero "prenotato" da un anno sperando di poter effettivamente partecipare alla traversata del Pacifico da Panama alla Polinesia; dalla partenza dall'Europa già altri equipaggi si sono succeduti a bordo, ma finchè non si mettono i piedi a bordo non si è mai sicuri di essere della partita.
Quando finalmente il 16 febbraio ho lasciato Verona, ho tirato un sospiro di sollievo: con scalo Parigi, Bogotà, Cartagena, sono stato alla fine accolto fra le braccia dell'estate tropicale lasciandomi alle spalle l'inverno italiano..ma non solo: ho lasciato anche tutto la bagarre mediatica creata attorno alle elezioni, alla politica, alle false promesse dei pretendenti governanti, a tutte le brutte notizie che ogni giorno ci vengono propinate, senza contare lo stress creato dalla consapevolezza che è impossibile cambiare questo stato di cose.

Almeno qui, lontano dal mondo, dai condizionamenti di ogni giorno, dai media e conscio che, tanto, nulla puoi fare, puoi dedicarti al piacere di vivere una vita un po' fuori dagli schemi.In mare comandano il tempo e la barca, il "capo" unico ed indiscusso è lo skipper, pertanto tutta la giornata è retta da questi elementi.

A chi non ha mai navigato può sembrare impossibile che la vita di bordo sia molto diversa da quella trascorsa a terra, ma se ci si pensa un po' si realizza facilmente che in barca siamo regolati ed influenzati solo da tutto ciò che ci circonda, elementi tangibili ed intangibili, che di fatto assumono il ruolo di regole di vita, scritte e non...e, se non si è capito, a me piace molto la vita in barca, specie se in compagnia di amici velisti, che quindi conoscono la "sinfonia " del mare e ne apprezzano la sua melodia.

Dicevo che sono arrivato a Cartagena sabato 16 febbraio, alle 19.30 locali (con 6 ore di fuso orario), accompagnato da Wilma che rimarrà fino a Panama, e ci siamo recati subito al circolo nautico dov'era ormeggiata la barca.
Refola era sul molo esterno, con la prua al mare, con le orecchie tese a ascoltare il vento, in attesa di salpare.
A bordo ci aspettavano per la cena il comandante Alessandro con Lilli, oltre ad una coppia di loro amici, Giancarlo ed Erna.
Sistemate le nostre cose entriamo subito in contatto con l'ambiente, e ci troviamo subito assorbiti dalla nuova realtà: le cose prioritarie da fare, i documenti per la partenza, la cambusa da rifornire,e non ultimo la voglia di conoscere questa cittadina.

Come poi abbiamo visto Cartagena è una realtà che ricorda molto l'ambiente spagnolo, la cui presenza incombe sulla parte vecchia-storica, tutta circondata da mura e bastioni, con le piazze piuttosto piccole su cui si affacciano importanti edifici, viuzze strette di cui molte pedonabili, e tanta gente in giro per strada.
Sono tutti vestiti con abiti colorati, e con la luce del sole che fa risaltare le tonalità forti (il rosso, l'azzurro, il nero, il bianco) sembra di essere in un ambiente in festa.

martedì 26 febbraio
Due giorni fanno presto a passare, tutti presi dalla preparazione per il tragitto fino a Panama, ed anche se il circolo nautico non offre direttamente molti servizi i moli sono pieni di artigiani che passano di barca in barca: chi pulisce la chiglia lavorando in apnea con spugna e raschietto, chi ripara le vele, chi costruisce le cappottine, chi va ad effettuare le pratiche doganali e portuali, ed comandante è sempre preso da tutte le manutenzioni ed acquisti.
Per ultimo teniamo la cambusa: il supermarket è due passi, e nel primo pomeriggio di lunedì pensiamo che in due ore dovremmo fare tutti gli acquisti; la lista in mano, preparata per il fabbisogno di un mese, una precedente visita per capire se il discount sarebbe stato affidabile, e ci andiamo.
Due, tre, quattro carrelli sono appena sufficienti per le provviste, ed altrettanto una, due tre ore non bastano per esaurire tutta la lista.
In testa il rifornimento dei vini, una settantina di bottiglie a prezzi abbordabili, poi la frutta e verdura, carne, e via via quanto serve.
Il conto si fa presto a 6, 7 cifre, un € vale circa 2400 pesos colombiani, e alla fine spendiamo quasi tre milioni; la sorpresa spiacevole è che al momento di pagare ci aspettiamo di poter ottenere uno sconto significativo, ma non riusciamo a spuntare un centesimo pur scomodando il gestore e neppure minacciando di rinunciare a tutta la spesa lasciandola alle casse.
E pensare che avendolo saputo in anticipo, avremmo potuto approfittare del fatto che il venerdi applicano lo sconto del 15% sui vini, ed il martedì altrettanto su frutta e verdura: pazienza.

Martedì quindi partenza per l'arcipelago di Rosario, dove arriviamo con una navigazione di poche decine di miglia.
Lasciamo alle spalle la bella Cartagena, con i suoi forti che l'hanno difesa durante le invasioni barbariche, incrociamo alcuni giganteschi porta-container sullo stretto canale che immette nell'oceano, e con un vento al traverso arriviamo a destinazione.


Il comandante aveva studiato l'entrata dalla passe, la baia dove atterrare, e con il sole alle spalle passiamo attraverso la barriera corallina e diamo fondo dentro alla laguna.
Siamo in acque fortunatamente pulite, si vedono bene i fondali, anche se non sono ancora degni di essere ricordati e riportati.
Riceviamo subito la visita degli indigeni locali, che si avvicinano a bordo di canoe scavate in un unico tronco, e ci "offrono" prima il cocco, poi le aragoste ed infine le mola, tele ricamate utilizzando stoffe colorate a più strati che ripropongono i loro elementi di vita locale: frutta e pesci. Solo alle San Blass, dove farò acquisti di mole, ben più preziose come lavorazione, troverò anche motivi storici e disegni geometrici.

Ci facciamo convincere dal facile acquisto delle aragoste, anche perché si sono offerti di cucinarle i pescatori stessi, e così inauguriamo degnamente l'arcipelago RosarioIl giorno seguente le condizioni meteo sono contrarie al trasferimento verso le San Blas, e rimaniamo quindi alla fonda: mettiamo in acqua il dinghi (nuovo ed apprezzatissimo con il fondo rigido, marca AB inflates), e tutti assieme (in sei) andiamo i gita verso l'isola principale, dove c'è un acquario pubblicizzato dagli operatori turistici.

Passando da un atollo all'altro, in mezzo alle mangrovie, su bassi fondali trasparenti o su fondi sabbiosi bianchissimi, arriviamo un po' bagnati ad un molo affollato di canoe, barchini e barconi, e appena sbarcati siamo subito assaliti da chi vuole venderci magliette, pizzette ed aragoste ed il ticket per lo spettacolo dei delfini volanti.
Scopriamo subito che il delfinario non è altro che una piscina con quattro poveri delfini, e nell'acquario (altra vasca coperta dentro ad una capanna), nuotano quattro pesci in croce ed una coppia di squaletti lunghi mezzo metro.
Per fortuna nessuno aveva fatto acquisti e ce ne torniamo lentamente a bordo per un altro percorso. Passando dietro ad un atollo scopriamo inorriditi lo scheletro biancheggiante di un caseggiato a due piani, che in tempi migliori doveva essere un albergo, pezzo unico costruito su un lembo di terra sul mare, che sembra sospeso in attesa di crollare da un momento all'altro: vera schifezza, residuo di un consumismo che mai avrei pensato di trovare qui ai tropici, in un paesaggio incontaminato...si, ma una volta. E così, con l'amaro in bocca, ci prepariamo alla traversata del giorno dopo.

San Blas
Dopo il solito ed immancabile rito del risveglio mattutino (appena svegliati ci si cala in acqua, doccia, e poi una ricca colazione a base di frutta, marmellata, miele, burro, caffè e latte ), si salpa per macinare 180 miglia che ci separano dalla nuova meta. Sarà una tappa con navigazione notturna, ed il comandante ci prepara psicologicamente ad effettuare i turni: 2 ore a testa con l'assistenza di un secondo membro dell'equipaggio che monta sfalsato di un'ora. Ben presto perdiamo un "turnista" che soffre il mare, e quindi rifacciamo i turni in 5, con 4 ore di riposo a testa prima del turno seguente. Siamo vicini alla luna piena, per cui la notte sarà meno solitaria e buia, almeno per buona parte.
Ben presto l'arcipelago delle Rosario si perde in lontananza, e con rotta verso Ovest apriamo fiocco e randa, vento al traverso da dritta, e procediamo ad oltre 6 nodi. Siamo in pieno golfo del messico, e l'onda oceanica ben presto impone il suo ritmo, ci scavalca senza frangere, più veloce di noi, facendoci scivolare da un'altezza di oltre due metri.

Non fa freddo, ed il rollio per quanto leggero non favorisce l'appetito, per cui a tavola non ci sono molti commensali: nonostante tutto la cucina funziona regolarmente, verdura fresca con formaggio a pranzo e a cena una zuppa di legumi programmata già dalla mattina.
Il buio giunge quasi all'improvviso qui ai tropici, soprattutto presto, me l'ero quasi dimenticato, e se non fosse stato per la luce bianca della luna non mi sarei accorto del sopraggiungere della notte: così con una musica di sottofondo che si diffonde in plancia (si, perchè nel Supermaramu2000 sembra di essere su una piccola nave), inizia l'assaggio di questa prima notturna, in attesa di quelle della traversata del Pacifico.

In plancia, chiusa per la notte e riparata dal vento e dall'umidità, si sta bene, la barca rimane ben orizzontale, corre veloce sull'onda, il vento è regolare, ed i turni si susseguono senza incidenti. Con l'AIS che funziona regolarmente seguiamo le navi che si muovono attorno a noi meglio che al radar, e comunque ben al largo: raggiungiamo e superiamo anche una barca a vela che era all'ancora assieme a noi il giorno precedente, e ben presto la notte lascia il posto alle luci dell'alba. Io ho fatto un turno dalle 20 alle 22 ed uno dalle 2 alle 4, per cui mi sveglio verso le 8 del mattino con il profumo del caffè che il comandante aveva preparato per i duri di stomaco.
Durante la notte comunque il mare si è calmato, ed un po' anche il vento, per cui l'onda si è appiattita e la navigazione è più confortevole del giorno prima.

Cayo Holandes
Verso mezzogiorno si avvistano le prime isole di San Blass , e così ci mettiamo n agitazione per l'atterraggio: queste isole erano state da molti anni un obiettivo desiderato, anche se purtroppo molti amici mi hanno detto che non sono più come una volta e quindi la curiosità di visitarle è forte. Mi aspetto di vedere spiagge bianche, verdi palmeti ed acqua cristallina, ed infatti arrivando a Cayo Holandes rimango confortato dallo spettacolo che si presenta ai miei occhi: arriviamo da est, con il sole alto, e vediamo subito il gruppo di atolli dietro al frangere delle onde sulla barriera corallina. Non è facile capire dove si trova la passe, anche perché le carte di queste coste non sono così disponibili come ci si potrebbe aspettare, ma si intravede chiaramente l'azzurro della laguna, delimitata fra la barriera e le mangrovie che ricoprono la riva. Ci sono alcune barche a vela alla fonda, dietro ad un atollo, ma esposte al vento, altre dietro alla barriera corallina senza alcuna protezione dal vento, ed in prossimità della laguna chiamata "le piscine" ve ne sono altre, ben ridossate, che si cullano nell'acqua blu ed azzurra.

Scegliamo quest'ultimo ancoraggio per la nostra sosta, e con molta cautela ci avviciniamo alla barriera dove poco dopo si scorge il passaggio, angusto e profondo solo 3 metri, perpendicolare alla secca, che continua poi con una curva quasi a gomito che si immette nella laguna. Siamo tutti in silenzio, procediamo piano, gustandoci l'avvicinamento al punto di ancoraggio come l'inizio di un film, seduti in prima fila. Purtroppo non rimane molto spazio dentro la laguna, e siamo costretti a dare fondo proprio sul canale vicino alla passe, su 6 metri d'acqua, sul filo della corrente che entra ed esce. In queste condizioni Refola non riesce però a mettersi al vento e mentre tutte le altre barche appaiono allineate fra loro, noi rimaniamo nella bisettrice fra la provenienza di questo e il filo della corrente.
L'ambiente è molto suggestivo, selvaggio, coloratissimo specie con il sole che ne risalta le sfumature, senza la presenza di insediamenti umani sull'atollo, e le barche alla fonda quasi si confondono nel paesaggio, come una pennellata di bianco sull'azzurro del mare.

Rimaniamo a Cayos Holandes due giorni, prima di dirigerci verso Cayo Lemons, e facciamo in tempo a fare due escursioni in gommone all'interno della laguna, gustandoci i fondali trasparenti e le spiagge deserte, dove l'unica presenza umana è data purtroppo dalle immondizie portate e depositate dalla corrente all'interno dell'arcipelago.
Sbarchiamo anche in una spiaggetta bianca, le palme sono alte, nel terreno ci sono i grossi buchi con le "tane" dei granchi del cocco, e di questi frutti ce ne sono a terra in abbondanza: ne prendiamo due di maturi, mentre Giancarlo riesce a salire su una palma staccandone due di freschi (scorticandosi una coscia), e con il grosso bottino ce ne torniamo a bordo.
Il comandante ogni giorno si collega via radio con gli skipper italiani che navigano in questa zona, e così riusciamo a mappare la loro presenza nei vari cayos dell'arcipelago.
Sappiamo che c'è Bobo con Mary, Paolo, Marzia, Andrea, Enzo e molti altri, una comunità che si tiene in contatto costantemente, alcuni dei quali conosco o attraverso i racconti di Bolina o quelli di banchina.