Bruno Massioli: "In crociera con Asdrubale e Camilla"

Premessa: per chi ha tempo libero come il sottoscritto veleggiare in compagnia è un grosso problema, soprattutto per chi, come me, non viene seguito in barca dai familiari (per motivi logistici, di lavoro, di compatibilità con la vita in barca, ecc). Per superare i problemi ho quindi deciso di uscire da solo (anche perché la compagnia mi piace molto ma anche la solitudine ha i suoi grandi fascini e vantaggi): non sono nuovo a imprese del genere in altri campi, sono stato abbonato per diversi anni a scalate notturne in solitudine in inverno su un paio di montagne (sempre quelle) che sfiorano i 3.000.
Ovviamente non si può improvvisare, mi sono preparato con uscite diurne e notturne con quasi tutte le condizioni di tempo e di mare (idem avevo fatto per la montagna), ho imparato dalle botte prese ed ho adeguato l'attrezzatura della barca di conseguenza (in primis un pilota automatico per barche da 25 tonnellate mentre la mia ne pesa 11, meglio 12 quando è a pieno carico di rifornimenti ed ammennicoli vari).

Il programma: dalla Liguria Ovest alla Corsica occidentale, le Bocche di Bonifacio e la Maddalena, la Sardegna Nord orientale, il Giglio, Porto Azzurro, Elba Nord, Capraia. Tempo previsto 15/20 giorni, 600 miglia, tre traversate sulle cento miglia di media.

L'equipaggio: lo skippero (se non mi autonomino non mi fila nessuno), Asdrubale, Camilla (che poi è la barca) ed un grande di Velista (con la emme maiuscola) almeno per una parte, purtroppo il meschino (in gergo teatrale) ha dei problemi e ci lascia ancora prima di partire.

La cambusa: 2 salami normali, una coppa, una braciola (in realtà è un salame di due chili che all'interno custodisce gelosamente una braciola intera), uno speck, due chili di pasta, due buste di grana grattugiato, un barattolo di pesto autoctono (nel senso che mi sono coltivato gli ingredienti, almeno i più importanti, e poi l'ho preparato), barattoli di sugo per pasta, 6 casse di vino (basteranno?), un paio di bottiglie di grappa, due confezioni di acqua minerale (non sarà troppa?), uova, grissini, cracker, ecc.: nei gavoni ci sono sicuramente una serie di scatolette (basta non leggere la scadenza), olio, caffè, sale, zucchero, mentre i due bar di Camilla qualche liquido evaporativo assortito lo contengono sicuramente (il Velista di cui sopra in una vita precedente è incappato in un Baileys che da almeno quindici anni attendeva un amatore, hanno traballato entrambi ma credo abbia avuto la peggio il Baileys). Per completare i viveri di conforto il giovedì mi sono preparato un bollito misto (subito congelato in quattro vaschette), ed uno stinco al forno (amorosamente disossato e stipato in una vaschetta).

Marina Aregai /Calvì: prima tappa per Calvì (85 mn). Studio accurato delle previsioni, lo skippero vuole assolutamente andare a vela (il motore serve per gli ormeggi e le emergenze), il venerdì notte sembra utilizzabile con vento ballerino che poi si stabilizzerà da Ovest sul Ligure e mare forza 4, ma c'è una burrasca sul nord della Corsica con mare forza sette (Meteofrance), però in attenuazione nella tarda mattinata o nel primo pomeriggio di sabato. A vela calcolo tra quattro e cinque nodi ora, se parto a mezzanotte a mezzogiorno dovrei essere ancora ad almeno venticinque/trenta miglia (6/7 ore) dalla Corsica, la burrasca ha tutto il tempo per calmarsi. Deciso si parte, ma alle 23 è tutto pronto e si va in anticipo.
Usciamo dal porto sotto una pioggerellina fredda, ma verso ovest si vedono le stelle, cinque minuti a motore, poi venticello da nord est, issaaa e spegni il rompi rompi. Un paio d'ore mura a sinistra a quattro nodi scarsi con vento da nord est ed onde da ovest (ma che è, la fisica è un'opinione?), poi esce la luna e contemporaneamente il vento gira ad ovest e si stabilizza sui tredici/quattordici nodi, Camilla fiuta il vento, Asdrubale regge il timone come un drago, si fila a sei sette nodi, onde di un paio di metri quasi al traverso, secchiate d'acqua da prua, a malincuore (non mi farà perdere in velocità?) alzo la capottina che copre il tambucio. Le luci della costa si affievoliscono a poppa, il mare è assolutamente deserto (non vedremo nessun tipo di imbarcazione per tutta la traversata, avrà un significato?), la luna gioca a nascondino con le nuvole, mura a dritta punto dritto su Calvì con vento al traverso.
Verso le quattro il vento aumenta gradualmente fino a 25 nodi (tutte le misure sono di vento reale e la velocità da GPS), prendo due mani di terzaroli alla randa (sembra una scelta ragionata, in realtà la mia barca ha solo due mani di terzaroli e la prima non l'ho mai utilizzata), avvolgo un quarto di genoa, sono sempre vicino agli otto nodi, si vola con onde oltre due metri che piano piano si spostano dal traverso al giardinetto.
Verso le 5 tra due onde piuttosto alte il genoa si affloscia leggermente e sulla cresta successiva sento un botto, il genoa si apre completamente e la barca sbanda paurosamente a sinistra, ma Asdrubale fa il suo dovere e si torna in linea con l'acqua che ormai scorre sulla falchetta sinistra: la cima (nuova) del rulla fiocco si è spezzata (probabilmente incastrata in una ganascia del rulla fiocco si è logorata): prendo la vecchia cima e vado a prua, mi fisso ad un golfare e sdraiato a prua (pila in bocca, acqua che mi entra dalla manica sinistra quasi sempre immersa, una secchiata in faccia ad ogni onda) smonto la cima rotta (devo anche svitare la brugola di fermo finale), ed inizio ad avvolgere una ventina di metri di cima: quattro ganasce da passare con il capo della cima, poi fai scorrere i venticinque metri della cima ed hai guadagnato 10 cm, un sano divertimento condito da una acconcia dose di moccoli ed in un'ora è tutto risolto.
Nonostante la barca sia molto sbandata non ci sono raffiche, perché riavvolgere il genoa? Aspettiamo e vediamo: una cosa sola mi preoccupa, sono molto oltre la media stimata e vado dritto verso la quasi burrasca (non dovrebbe essere pericolosa, è solo un forza sette, almeno nelle previsioni); il pensiero di ridurre la velocità o di fare bordi per perdere tempo non mi sfiora per niente, il vento quando c'è e si deve usare. Alle otto sono a 25 miglia da Calvì, almeno quattro ore di vantaggio sulla tabella, il vento aumenta, riduco il genoa e si balla, ovviamente la velocità scende, sostituisco Asdrubale al timone per prendere le onde nel miglior modo possibile, il freddo diminuisce sotto un bel sole, la neve sulla montagna dietro Calvì emerge piano piano dalla nebbia creata dalle onde, alle 12 vedo il castello alla mia destra, finalmente un po' di ridosso (che in Corsica è però sempre bastardo), siamo (skippero, Asdrubale e Camilla) arrivati sani e salvi. Ovviamente è sabato ed è passato mezzogiorno, non risponde nessuno alla radio (alle 11,30 mi avevano dato la massima disponibilità per l'ormeggio), vado verso un pontile deserto e mi arrangio ad ormeggiare (15/20 nodi al traverso, ma che importa, la prima tappa si è conclusa).
Due/tre ore di meritato riposo, poi visita alla cittadina: è molto bella, una fortezza con mura poderose in ottimo stato, stradine, archi di pietra, scorci mozzafiato sul mare e sulle montagne innevate (ma siamo in un'isola, sul mare ed è quasi maggio). La parte abitata è tipicamente ligure con i suoi negozietti, i carrugi, i nomi delle vie in dialetto quasi genovese, cognomi italiani sui negozi, cartelli stradali come Bonifaziu, Aiacciu, Corte, Macinaggiu mi fanno sentire a casa (sono un bresciano trapiantato a Milano ma la Liguria è una delle mie terre).
Troppi ristoranti semivuoti, sono stanco, fa freddo e torno in barca: un antipasto di salumi, una generosa razione di bollito misto scongelata in dieci minuti, una bottiglia di barolo per festeggiare (peccato che Asdrubale non beva, vabbè la finirò domani), un grappa, una lettura di almeno mezza pagina di un libro su Leonardo ….. notte; mi sveglio un paio di volte perché qualcuno russa, Asdrubale non può essere, è muto.

Da Calvì alla Girolata (20/4): domenica 20 aprile mi sveglio presto, è una bella giornata, sole ed aria frizzante, vorrei riposarmi un giorno con un breve giro verso L'Ile Rousse ed il Desert des Agriates (30/35 miglia tra andata e ritorno) per fermarmi un paio d'ore in una baia ed a sera tornare a Calvì (fa freddo di notte ed è meglio avere la stufa elettrica accesa), controllo le previsioni per la costa Ovest della Corsica e vedo che rimarrei poi bloccato a Calvì da una nuova perturbazione che scenderà lentamente verso sud impiegando tre giorni per raggiungere la Sardegna. Decido di precederla e lasciarla poi passare rintanato ad Ajaccio.
Riparto quindi verso sud ovest con un vento leggero ed un mare che si va calmando. Doppiata La Revellata devo fare una serie di bordi con il venticello esattamente da prua che mi consente due, massimo tre nodi, bordi brevi per ammirare e fotografare la splendida costa, alta e frastagliata e dai colori incredibili con rocce rosse striate di tonalità diverse, macchie di un verde intenso, il bianco della neve che appare nelle insenature che si aprono verso le montagne dell'interno, nessuna abitazione, un faro solitario, mare di un azzurro trasparente che diventa blu scuro vicino alla costa.
Siamo completamente soli (skippero, Asdrubale e Camilla) in un mare deserto (è dal 18 sera che non vedo niente navigare per mare) fino verso le due del pomeriggio, quando superato Capo Mursetta scorgo all'interno della baia una strana barca con delle vele che da lontano mi appaiono come delle grosse foglie di alloro: io mi danno a fare bordi e quello scende verso sud lungo la rientranza della baia con il mio passo, deve essere un drago perché la barca non è sicuramente snella e leggera. Smetto di occuparmi di lui e continuo a scendere piano piano ammirando il paesaggio, la quiete assoluta del mare e provando … ad insidiare i pesci (con zero risultato).
All'imbocco del golfo della Girolata riappare da dietro un costone la strana barca: ha due alberi, uno a circa un metro dalla prua ed uno a centro barca, le vele sono delle rande a bordo arrotondato verso l'esterno con delle stecche oblique che ricordano le venature di una foglia, a poppa ha costruito un pulpito (con assi pesanti da muratore) che sporge un paio di metri e sotto spunta un timone a vento mentre sopra il ponte si notano dei bidoni di plastica azzurra e materiale vario. Il disgraziato va a motore, noto un piccolo sbuffo d'acqua intermittente al giardinetto di destra, ecco come procedeva.
Il vento rinfresca, la vecchia Camilla, forse anche lei presa dalla bellezza del paesaggio, sculetta come una ventenne (del resto ne ha meno di trenta) ma si dimentica di avere un posteriore da cinquantenne ben conservata e decide di andare a cinque nodi (con sei nodi di vento) di bolina larga, seguo tutta la costa alternando fotografie a cambi di bordo ed arrivo al forte della Girolata: devo continuamente tenere sotto osservazione il GPS perché ho il vecchio scandaglio montato in quadrato (Asdrubale è cieco, non posso chiedere a lui, ma del resto è anche sordo) ed il nuovo in … dogana a Malpensa. Preparo l'ancora e rileggo il portolano che consiglia di entrare a sinistra del piccolissimo golfo perché a destra ci sono dune di sabbia, appena entro (fortunatamente pianissimo) tocco il fondo sabbioso mentre un essere barbuto a bordo della strana barca (già agganciata ad un gavitello) gesticola invitandomi ad andare a destra. Esco dall'impasse senza forzare pregando il dio dei prigionieri di reggere lo sforzo e vedo che nella baietta ci sono quattro o cinque gavitelli: già ma come si aggancia un gavitello? I problemi sono fatti per essere risolti, srotolo velocemente una cimetta (uno dei tronconi del rulla fiocco) punto da sopravvento un gavitello, metto in folle e mi precipito a prua con il mezzo marinaio: aggancio l'anello al primo colpo (che cu..) e scopro che il pallone è sollevabile, passo la cimetta do volta ed è fatta. Rimango un po' male vedendo il barbuto che si è precipitato verso la mia barca remando con un tender di legno degno di Robinson Crusoè: ho il vago sospetto che non si fidasse troppo della mia manovra. Lo rassicuro a gesti, prendo una cima di ormeggio e porto il pallone a prua (ho copiato sbirciando l'altra barca, intanto però ne ho imparato un'altra).
Finalmente fermo osservo il paesaggio veramente notevole (due barche in una baia da film) e la fauna della strana barca: cinque ragazzi (maschi e femmine) dai tre ai quindici anni si rincorrono correndo da una randa all'altra e rimbalzando poi sul ponte come palle, un cagnaccio nero accucciato sul pulpito di poppa fa dei latrati rauchi ma allegri. Dopo una mezzora di cagnara appare il barbuto con una scaletta di corda che appende sul bordo verso di me, scende nel tender e abbaia (la testa e la faccia coperta di barba sono neri, è magro e peloso, assomiglia veramente al cane) un qualcosa ed appare una signora ancor giovane che acchiappa i tre più piccoli, li infagotta ad uno ad uno in salvagente color can che fugge e li cala nel tender, la maggiore si è accorta della mia macchina fotografica in azione, fa la smorfiosa, rifiuta il salvagente, il barbuto abbaia ed allora si adegua e si cala anche lei nel tender seguita dalla madre (il cane è zompato in barca per i fatti suoi): come facciano a starci non riesco a capirlo ma dai bordi spuntano pure dei remi e vanno a riva dove ci sono quattro baracchette e una piccola costruzione in muratura (penso un bar o una trattoria) da cui scaturisce una musichetta allegra.
E' stata una giornata riposante, merita di concluderla con una porzione di stinco al forno, finisco il barolo, intacco (leggermente) un dolcetto, rumino lentamente (aiutandomi con una vodka ucraina niente male) steso al buio sotto le stelle, solita conclusione … notte, sogno che una barchetta di pirati si avvicina strepitando ma non mi sveglio completamente, buona russata, domani è un altro giorno.

Dalla Girolata ad Ajaccio (21/4): lunedì mi sveglio con un leggero peso sullo stomaco (che sarà stato?), incomincia ad albeggiare, le stelle impallidiscono lentamente, il sole è nascosto dietro la montagna, i miei vicini dormono ad eccezione del cane che gironzola nervoso per la barca (necessità impellenti?) e mi osserva con interesse (forse sente ancora il profumo dello stinco che fu), si preannuncia una bella giornata, qualche nuvola verso ovest. Mi preparo un caffè e studio le previsioni, il pc si spegne per batteria scarica, rimedio con l' inverter (ma perché ogni aggeggio ha un suo strumento diverso ed una sua tensione di carica particolare? Buffo prelevare 12V, trasformarli in alternata, caricare poi con corrente continua): la perturbazione si avvicina da nord, meglio andarsene.
Non vorrei svegliare i vicini (dove dormiranno in sette in quella barca?), c'è un po' di vento nella direzione giusta, srotolo qualche metro di genoa, ovviamente sbatte perché la prua è al vento, mollo il gavitello e mi precipito al timone (Asdrubale dorme ancora come un bambino) con una mano sulla chiave di accensione (la baia è piccola, l'altra barca a 20 metri), Camilla ruota lentamente e si avvia, un'ultima occhiata al panorama, mi prende un groppo allo stomaco, tornerò con più calma ma sempre fuori stagione, qui a luglio/agosto deve essere invivibile (almeno per i miei gusti).
Vento leggero da ovest, bordi brevi per uscire dal primo golfo, il vento gira e rinforza da sud, decido per un bordo di dieci/quindici miglia verso il largo (bolina stretta), osservo con preoccupazione i nuvoloni a nord, per ora sono tenuti lontani dal vento, speriamo bene. Il mare si stabilizza con onde lunghe, si cammina. Dopo un paio d'ore la Corsica sbiadisce all'orizzonte, viro e punto su Calvese, onda lunga al giardinetto, 6/7 nodi di velocità, il sole gioca a nascondino tra nuvole sempre più nere, quando arrivo alla costa (un'ora e mezza circa) deciderò se cercare un rifugio o procedere: la terra si avvicina, noto che quando si allontana vieni preso da un senso di euforia misto ad ansia, quando si avvicina senti i problemi di tutti giorni che ti riprendono abbinati però ad un senso di sicurezza, evidentemente il montanaro che è insito in me prende il sopravvento.

In vista della punta D'Ominga (dò minga, l'avrà battezzata un milanese dal braccino corto?) il tempo migliora, il vento gira ad ovest e mi consente di proseguire verso capo Feno tagliando l'intero Golfe de Sagone: mare sempre deserto, mi rilasso, metto le canne da traina a mare (solito risultato, zero), mi preparo una cuccia al sole, piazzo due sveglie sul cellulare (a 20 e 30 minuti) e schiaccio un pisolino cullato dalle onde e dal tenue ronfare di Asdrubale. Nel dormiveglia sento la prima sveglia, controllo mare e canne (sempre zero eventi), riprogrammo il cellulare e riparto a sognare: dura la vita delmarinaio.
Al largo di capo Feno (il secondo pisolo è finito, ora contemplo il mare) noto un filo di fumo all'orizzonte, poi una sagoma grigia emerge dal mare, torretta centrale, qualche canna puntata verso il cielo (cannoni?), torretta radar: è una nave da guerra francese, va per i fatti suoi, no vira verso di me (per loro provengo dal largo, avranno dubbi sulla mia identità?) , io mantengo la mia rotta, fortunatamente ho esposto la bandiera italiana a poppa e la bandiera francese sulle sartie di destra, mi puntano obliqui ad un quarto di miglia a prua, mi girano intorno e poi, insalutati ospiti sdegnosi, se ne vanno verso nord.
Dopo capo Feno procedo parallelo alla costa, qualche casa, bel panorama ma non paragonabile alla costa nord ovest, è più verde dove c'è un poco di terra, più grigio dove ci sono roccia e scogli. Ora punto su La Botte (è una piccola isola) tenendomi abbastanza largo a dritta, c'è un buon vento ed onde notevoli, meglio non correre rischi, il mare frange sulle coste dell'isola e sugli scogli che la circondano con lampi di bianco della schiuma, scendo per prendere la macchina fotografica, risalgo e sento un vuoto allo stomaco: qualche pirla (pardon, pirlà alla francese) ha piazzato una meda bassa e gialla di un paio di metri di diametro (non segnalata sulla carta nautica e sul Gps, ci sono 50 metri di profondità, evidentemente vogliono tenere i curiosi lontani dall'isoletta) e me la ritrovo a 30/40 metri esattamente sulla mia rotta a prua, maltratto Asdrubale, viro a dritta, tiro un paio di moccoli (mi vengono spontanei in francese) e finalmente posso fare il fotografo. Però memore della massima dei fraticelli di ogni ordine monastico (la prima volta che lo prendi può essere un incidente, la seconda è sicuramente pederastia) controllo il mare davanti a me ed a mezzo miglio oltre l'isola individuo un'altra meda (bastardes et emmerdeurs).
Altro golfo da superare al largo, altro pisolo ma oggi non è giornata tranquilla: sogno verdi prati con rosei porcellini dal codino a riccio, forse è perché ho pensato ad uno stazzu sardo che conosco ed in cui mi nutrirò (ovviamente ...porcellino alla sarda) nei prossimi giorni, sobbalzo per una specie di sparo nell'acqua, cazzo (pardon) un'altra meda o peggio uno scoglio, mi ritrovo seduto aggrappato alle draglie ma non corro al timone perché vedo una balena nel pieno della sua curva di emersione, parallela alla barca a non più di cinque metri. Non ne ho mai viste, è esattamente lunga come la barca (oltre dodici metri) e fila al doppio di me, colore grigio scuro, elegante e fluida si immerge verso la prua, altro sparo subito dopo un po' più a destra, ne emerge un'altra: rimpiango la macchina fotografica rimessa in sicurezza in quadrato, ma non mi muovo, posso guardare foto e riprese di altri, mi voglio godere fino in fondo questo spettacolo incredibile, alla mia veneranda (meglio quasi veneranda) età quando mi ricapiterà un'altra occasione simile?. Le gemelle (o la coppia? Esistono i baleni maschi?) evidentemente si sono accostate solo per esaminare lo strano animale che per loro deve essere Camilla, ora si allontanano virando verso il largo sempre ad emersioni alterne e poi rimangono solo le onde, ma se chiudo gli occhi rivedo e rivivo ogniattimo di questo brevissimo ma intenso incontro ravvicinato con un altro mondo.
Ora sono in prossimità delle Iles Sangunaires, decido di tagliare in mezzo tra il faro alto sul capo e la prima isola: sono molto belle, un paesaggio aspro e dolce nello stesso tempo. Nella fase di attraversamento noto intorno al faro una notevole folla di turisti (conterò poi una decina di autobus parcheggiati dietro il faro), mi sento osservato e fotografato, finirò con i miei pantaloncini rosso fuoco ed il resto del corpo nudo e dello stesso colore nei posti più diversi: strane reazioni e pensieri.
Una serie di bordi per arrivare ad Ajaccio (il vento è ora di poppa piena), mi attende la solita routine serale: nutrimento, evaporazione, notte….., qualcuno russa, domani è un altro giorno.

Da Ajaccio alla Maddalena (23/4): la serata del 21 la dedico alla nutrizione (devo finire il bollito misto e tirare il collo ad un buon barbera …. mica tutta la bottiglia nehhh!) e ad un breve tour … digestivo nei dintorni del porto. Il 22 è una giornata grigia, piovosa e ventosa (come da previsioni) dedicata a giri turistici nella città (nulla di notevole, la casa natale di Napoleone l’ho già vista) e ad un tentativo di individuare un guasto fastidioso: come giro la chiavetta e metto in moto gli indicatori di livello del serbatoio gasolio e dell’acqua scattano fissi sul massimo. Il primo è relativamente poco importante (se lo sai lo tieni sotto controllo in altro modo), il secondo è molto pericoloso: è vero che utilizzo pochissimo il motore, ma controllare ogni due minuti se lo scarico a mare funziona (si sa che la girante si scassa abitualmente nei momenti più strani) e fare poi visita con palpeggiamenti manuali al motore per sentirne la temperatura manco fosse una ragazzuola (ma perché mi interessavano le ragazzuole? boh …… non ricordo), non è molto piacevole.
Pranzo con insalata di tonno, uova e lattuga congelata (quando sono nei porti metto il frigo al massimo … e poi regolarmente me lo dimentico), ne è uscito un piatto fresco e croccante.
Trovo un sardo (ad Ajaccio) che fa il meccanico/elettrauto nel porto, lo tampino fino a che non si arrende, viene sulla barca e tenta di individuare il guasto senza risultato, è comunque gentilissimo e rifiuta ogni compenso (non resiste però ad assaggio di mirto della mia cambusa, seguito da due fette di salame e vino bianco, un altro assaggio di mirto): quando se ne va traballando e bofonchiando “sono anche un pilota e devo andare a rimorchiare un traghetto”, faccio gli scongiuri.
Cena in un ristorante marocchino (non ho mai trovato un buon ristorante corso in Ajaccio) con un couscous “Imperiale” (voce di menù) fantastico come sapori e dimensioni.
Il 23 mattina si parte, destinazione Bonifacio: vento da sud ovest (ovviamente dritto a prua) per tutto il lunghissimo golfo (ma tanto tempo ne ho a iosa), poi, una volta fuori, traverso e successivamente lasco sui 15 nodi costanti. Una galoppata mura a dritta a bordo unico di venticinque miglia sugli otto nodi fino alle isole Les Moines all’entrata delle Bocche di Bonifacio, onda lunga sui due metri, finalmente incrocio un paio di barche a vela, alcuni delfini mi fanno una rapida visita (sono piccoli e scuri, un po’ diversi da quelli che si incontrano al largo in Liguria), solita dura vita del marinaio ma aiutato dall’instancabile Asdrubale (ogni tanto è bello avere qualcuno che ti fa compagnia e con cui parlare anche se … non ti ascolta e non ti risponde).
E’ quasi l’una perché andare a Bonifacio che conosco (anche se solo da terra) già bene? Proviamo le Bocche.
Tiro quindi dritto verso Punta Falcone (ad est di Santa Teresa di Gallura), convinto di ballare un po’ nel mezzo ma di procedere poi verso La Maddalena sfruttando il ridosso di punta Falcone. Il vento si mantiene costante sui 15 nodi con qualche raffica a 20, filo come un razzo, dov’è il pericolo delle Bocche? Sottovaluto uno strano fatto e cioè che con vento da dritta scarroccio verso dritta (deve essere la corrente) e mi ritrovo quasi senza avvertirlo di fronte a Punta Falcone (che è abbastanza larga) molto più ad ovest del pianificato, devo passare come andatura al limite del gran lasco e le Bocche si rivelano di colpo: il vento passa da venti a oltre trenta nodi fissi in un secondo, sono al gran lasco a vele piene, vado a 12 nodi e continuo a perdere spazio verso terra. Mentre cerco di trovare le contromisure arriva un altro aumento del vento ed Asdrubale cede: poveretto gli ho ordinato di reagire lentamente (per risparmiare energia) e quando lo fa sono ormai quasi al traverso e punto verso gli scogli, prendo il timone ma la ruota è già tutta verso sinistra, cazzarola, Camilla va dritta verso un’isoletta con faretto soprastante. “Merda, hai fatto la cazzata, ora pensa Bruno, pensa, i problemi sono fatti per essere risolti, pensa”. Se tento la virata a destra sono sicuro che a questa velocità, con oltre 35 nodi di vento e vele piene mi sdraia (non ho mai provato e non so come può andare a finire), decido di accantonare questa soluzione per altri …. 100 metri, sono veloce nei calcoli scoglio a 200 metri = 20 secondi, 10 per decidere ed agire, 10 per sperare. Vado troppo veloce e la barca va all’orza, perché? Perché la randa porta troppo, se mollo il genoa peggiora (inoltre per mollare il fiocco devo cedere il timone ad Asdrubale e spostarmi davanti alla ruota per manovrare la scotta del genoa e poi come riprendo il controllo?), devo togliere pressione alla randa, una mano sul timone, una sulla scotta della randa (cazzo all’unico self tailing che ho in barca, è comodo ma non è agevole liberare la scotta con una mano sola) filo la scotta, piano nonostante tutto (non voglio guasti in questo frangente), il palmo della mano e le dita bruciano, il braccio destro e la spalla mi entrano in vibrazione per lo sforzo, tengo duro, è fatta: Camilla vira velocemente verso sinistra, lo scoglio mi sfila a dritta a meno di cinquanta metri, il faro spento sembra fare una smorfia di delusione, ma non posso respirare, ora rischio la strambata involontaria e di sicuro mi parte l’albero. Resisto per mezzo miglio a fil di ruota, sento un colpo secco in alto, si è spezzata la stecca più alta per la troppa pressione contro la sartia, resisto ancora e guadagno un rassicurante margine di spazio a destra (aiutato anche dal fatto che il capo degrada), orzo leggermente, cedo il timone ad Asdrubale, cazzo la randa al centro (è una fatica oscena, ora benedetto il self tailing), riduco il genoa poi vado senza rischi con il vento a prua e prendo due mani di terzaroli, sono fuori dai guai: ne ho imparato un’altra, non so se è stata la manovra giusta ma ha funzionato con un solo piccolo danno, amen, poteva andarmi peggio. Ora ho anche imparato cosa mi possono combinare le Bocche (o altre situazioni non valutate correttamente), cinque minuti di relax, non ho più saliva in bocca, mi scolo quasi una bottiglia d’acqua (ma chi l’avrebbe detto, mi piace l’acqua).
Da qui in poi il percorso diventa fantastico, mi avvicino a Budelli, ritorno verso Spargi, giro tra le isolette poi entro nella rada della Maddalena (ma quelli dei traghetti sono proprio stronzi, sembrano deviare dalla propria rotta per andare a caccia di barche a vela), il mare è piatto, qui i ridossi funzionano bene, anche se il vento ti passa da dieci a venticinque nodi in brevissimo tempo è divertimento puro, è il paradiso della vela. Incrocio infatti molte barche, tutti terzarolati qb, vuoi vedere che loro le conoscono le Bocche?
Chiamo alla radio i vari porti, nessuno risponde, mi avvicino al ponte di Caprera a Cala Camicia, dal pontile uno risponde a voce alle mie … urla (radio antica), attracco: il porto è squallido, ma c’è il sole, Caprera a destra, la Maddalena a sinistra, la Sardegna alle spalle.
Il tempo di mangiare qualcosa (il Coscous di ieri sera è solo un vago ricordo ), senza acqua questa volta e poi pensiamo ai danni. Sfilo la randa dalla canaletta, devo svitare il blocco del carrello per estrarre la stecca rotta, quando ho tolto tutte le viti un imbecille con un ferretto da stiro passa tra i piccoli pontili a 10 nodi, il blocco di plastica dura che regge il carrellino si sfila e finisce in acqua: che gli venisse “la gain in de jambute picule” (friulano maccheronico, ma son dolori se ti becchi un crampo proprio lì). Smonto il blocco di un altro carrello per avere un campione del pezzo perso, mi indicano un negozio/officina sulla strada verso la città, una passeggiata di un chilometro ed esperimento ancora una volta la cortesia dei sardi (ho lavorato anche in Sardegna, li conosco bene ma sono ogni volta una sorpresa). Nel retro del negozio c’è una officina attrezzata, il proprietario molla il lavoro che sta facendo ed insieme ad un aiutante mi costruisce un pezzo nuovo usando trapano, tornio, plastica, costruendo una vite a filettatura doppia (esterna per avvitarla nel blocco di plastica, interna per avvitarvi il ponticello che regge il carrello) , ecc: alla fine il pezzo è perfetto, non ha la stecca ma ne costruiamo una con un tubo in acciaio con infilato ai due capi i resti della mia. Quasi due ore di lavoro di due persone, più il passaggio in auto per rimontare il tutto in barca: mi chiede 20 euro dicendomi “me li sono guadagnati?”,. Do dieci euro di mancia al ragazzo che lo ha aiutato, vorrei farmi dare un robusto bastone da usare con gli artigiani liguri, ma lasciamo perdere.
E’ stata una giornata impegnativa, qui c’è il deserto intorno, cena in barca con pasta al sugo, salama assortita e formaggio e poi mi attende la solita routine serale: evaporazione, notte….., qualcuno russa, domani è un altro giorno.

Sardegna Nord/Est (24-28/4): il 24 mattina veleggio nuovamente per ore tra le isole (Razzoli, Lavezzi, Corsica sud/est, ecc.), c’è un vento irregolare spesso in spazi ristretti, molta attenzione ma il paesaggio fantastico ne vale la pena, torno verso Caprera e punto su Portisco (è di fronte a Porto Rotondo) dove il 25 arriveranno da Milano degli amici. Ore di vela bellissime ma senza storia, tutto regolare con il vento che ora tende a nord/ovest (esce dall’imbuto delle Bocche e si allarga), mare piatto.
Il 25 assoluto riposo, per non annoiarmi troppo mi dedico ad un po’ di pulizia della barca ed al …. bucato (mi divertiva l’idea di appendere qualche paia di slip al sole in mezzo a queste barche da snob), alla sera cena a base di pesce (questa volta in compagnia).
Il 26 giornata da spiaggia, sole e sabbia bianca, acqua cristallina, un paio di bagni veloci (acqua ancora fredda), cena allo stazzu di cui ho sognato con qualche accenno di lacrima (falsa) per un innocente maialino.
Il 27 vela da solo (i miei amici sono brave persone ma se non hanno almeno 1000 cavalli sotto il c… non si divertono) fino a capo Coda Cavallo con periplo di Tavolara, Molara, poi calo l’ancora in una baietta deserta per un bagno veloce e per uno spuntino: un cinquanta miglia (compreso il ritorno a Portisco) giusto per rimanere in allenamento.
Unica curiosità della giornata è che ho cercato dal mare la villa Certosa di Berlusconi. Su una punta verso il golfo di Marinella vedo una torre saracena inglobata in una costruzione moderna, bella in se stessa ma un pugno in un occhio per il paesaggio: PIRLAHHH, penso ad alta voce, era proprio necessario rovinare un paesaggio di questo genere? Ma poi le dimensioni non eccezionali della costruzione (e quindi non in linea con la megalomania del personaggio) mi fanno venire un dubbio, chiamo i miei amici, descrivo la villa e mi avvertono che non è sulla punta ma più avanti: sono costretto a ringoiare l’insulto, ma allora chi è il disgraziato che ha fatto lo scempio? La zona ha poche ville nascoste nel verde, niente di paragonabile alla intensa lottizzazione di molte zone vicine, la villa di Berlusconi non si distingue praticamente dalle altre (almeno dal mare): ma allora tutta questa cagnara su giornali, televisioni, tribunali? Se chi ha costruito le ville su questa zona ha fatto abusi è da condannare chiunque esso sia(e su questo non ho dubbi), il PIRLA della costruzione sulla punta del golfo di Marinella è da appendere per gli attributi (non parliamo poi di chi sulle rocce meravigliose di Capo Testa si è fatto una villa giusto tra due guglie di roccia, lì si che andrebbero utilizzati i cannoni che i talebani hanno impiegato impropriamente per le millenarie statue di Buddha).
Lasciamo perdere (comunque la nota è solo paesaggistica e non politica).
Altro fatto degno di nota sono i delfini in queste aree, sono difficili da vedere, piccoli e più scuri rispetto a quelli della Liguria, non giocano ma cacciano. Si vedono spesso nugoli di gabbiani concentrati in un cerchio di pochi metri, tagliandolo in mezzo si vedono, ad uno due metri di profondità, guizzare i delfini a grandissima velocità, non sembrano interessati alla barca, hanno altro da fare, si vedono piccole e numerosissime scie argentee (sardine?) scompaginate in tutte le direzioni e che diminuiscono di numero: poveracce sotto i delfini, sopra i gabbiani, la vita è dura per tutti.
E’ stata una giornata tranquilla e rilassante, cenetta leggera nell’ottimo ristorante del porto (a proposito in questo modernissimo porto hanno chiesto per la mia barca 4000 per il mese di agosto, 4200 per tutto l’anno, 22 euro a giorno per questi 4 giorni) e poi… mi attende la solita routine serale: evaporazione sotto le stelle, notte….., nessuno russa (strano), domani è un altro giorno.

Dalla Sardegna al Giglio (28/4): il 28 mattina tento di accumulare ore di sonno ma senza successo, poi studio a lungo le previsioni, la tratta è di oltre 100 miglia, voglio capire bene cosa mi aspetta (sempre applicando un +/– 20% su quanto viene previsto). Mattinata senza vento (in realtà sulla costa un brezza leggera increspa il mare), nel primo pomeriggio vento da sud a rinforzare gradualmente (senza esagerazioni) nella nottata verso la Toscana.
Alle 14 lascio Portisco, soliti bordi per uscire dal golfo poi mura a dritta (non cambierò più mura fino all’ingresso del porto al Giglio), vento leggero al traverso con 3-4 nodi di gps, poi passa sui dieci nodi per alcune lunghe ore con 5-6 nodi di Gps, poi il vento aumenta ancora e supero costantemente i 7 nodi.
E’ una lunga tirata senza storia, uniche note un paio di traghetti che sfilano a poppa. Durante il giorno provo a pescare, verso sera un mulinello parte a razzo, la canna si flette ad arco, freno ma la canna si flette ancora di più, a malincuore lasco la randa ed il genoa per ridurre la velocità, incomincio a recuperare , funziona per un venti metri, poi l’animalo sconosciuto si sposta verso sinistra e mi aggancia l’altra traina, qualcosa nella luce ormai incerta fa un balzo fuori dall’acqua, strappa e se ne va …. Con i miei due pesci di acciaio (uno sicuramente in gola, l’altro a traino) e qualche etto di piombo non avrà lunga vita: poveretto che fine infelice, mi sento un po’ in colpa ma poi penso che l’alternativa per lui era la mia griglia e mi consolo (ipocritamente) perché forse in questo modo avrà un minimo di possibilità in più.
Sfumata l’ipotesi di grigliata (però i mattoni refrattari che ho nel gavone di prua una scaldatina l’avrebbero accettata volentieri) ripiego su una pasta e fagioli (ovviamente liofilizzata) ed invece della solita salama provo un “lonzo” acquistato in Corsica .
La routine notturna quando tutto fila liscio diventa pesante, preferisco un mare agitato (ovviamente entro certi limiti) ed un vento teso a questa tranquillità. Conto le stelle, cerco di capirci qualcosa (dovrò decidermi ad imparare un minimo di nozioni di astronomia), mi sgranchisco le gambe in coperta, regolo le vele, parlo con Asdrubale ma lui non fa una piega, evito il conforto di qualsiasi evaporazione (devo rimanere concentrato, il mare va rispettato).
La notte si fa più fredda, bisogna coprirsi.
Scruto a lungo il mare, nessuna luce, niente luna, solo il riflesso delle onde create da Camilla illuminato dalle luci di via, il rumore delle onde, qualche piccola cresta bianca nel buio, che proprio buio poi non è: infatti con le luci degli strumenti attenuate gli occhi si abituano all’oscurità, ma dove, oltre alle onde, non c’è nulla di visibile non serve a molto. L’immensità del mare, la mancanza di qualsiasi riferimento terrestre, l’isolamento, il cerchio entro cui ti muovi ti fanno sentire un insieme unico con la tua barca, ti muovi all’unisono con il moto delle onde, un fruscio tra le vele, uno scricchiolio delle cime rimbombano dentro di te, qualsiasi variazione del vento l’avverti sulla pelle, la mancanza dei suoni abituali sono tutte sensazioni nuove e nello stesso tempo antiche.
Porto in pozzetto un paio di cuscini, piazzo due sveglie sul cellulare, tento un pisolino: niente da fare, di giorno ogni tanto mi riesce, di notte resto ad occhi chiusi ma il sonno proprio non arriva, solo un leggero torpore ma a nervi tesi.
Verso le tre noto una luce dritta a prua, controllo il Gps, mancano 25 miglia, potrebbe essere il Giglio: finalmente un punto di riferimento, mi piace rimanere assolutamente isolato ma alla fine sento la necessità di contatti con la realtà abituale, anche se impersonali come una luce nel buio.
Poi emergono altre luci più lontane, la costa toscana indubbiamente, seguite dalle luci di un paio di navi che mi aiutano a passare il tempo fantasticando: da dove arrivano?, dove andranno?, come sarà la vita a bordo?.
Il colore del cielo e del mare cambiano di colpo, sia per le nuvole che si stanno accumulando sia per la luce incerta dell’alba, l’isola emerge dal buio, i gabbiani fanno sentire i loro versi striduli: è finito il mondo un po’ irreale della notte, si torna in quello reale.
Doppio il capo a sud, uno scroscio di pioggia mi arriva addosso inaspettato, cambio bordo puntando sul porto, ammaino le vele, sono quasi le sette ed entro nel piccolo porto ancora addormentato: è tutto pieno, il molo a sinistra deserto per lavori in corso, un traghetto agganciato al molo di destra.
Non mi hanno assicurato la disponibilità di posti, l’ormeggiatore arriverà alle otto: me ne vado a Porto Ercole o mi fermo da qualche parte? Piove, non ho fatto in tempo a mettere la cerata ma indosso solo un leggero key way, decido di attraccare in andana all’ultima barca (perpendicolare al pontile): preparo le cime, porto tutti i parabordi a sinistra, accosto di poppa, solita corsa a prua per una prima cima (riesco a farla passare in doppio alla galloccia dell’altra barca), di corsa al motore per un colpetto indietro, altra cima a poppa, sorrido in modo che ritengo disarmante (più realisticamente in modo un po’ ebete) a due facce spaventate che emergono dal tambucio della barca vicina: è finita la seconda traversata lunga della crociera.
Ho dormito un paio d’ore, poi, visto che è uscito il sole, mi sono fatto una scarpinata per l’isola fino al Castello (interessante e caratteristico il borgo entro le mura) e poi a Campese, è un’isola molto bella, con scorci di paesaggio notevoli. Ritorno in autobus (matto si, ma con sprazzi di buon senso).
Cena in un locale discreto e poi… mi attende la solita routine serale: evaporazione sotto le stelle, notte….., qualcuno russa, domani è un altro giorno.

Dal Giglio all’Elba, alla Corsica, alla Liguria (29/4 – 6/5): il 30 lascio il Giglio e punto su Porto Azzurro, rigorosamente a vela, poco vento ma quanto basta per arrivare a destinazione in dieci ore. Giornata tranquilla, niente di particolare.
Porto Azzurro è un misto tra un paese di mare che vive arroccato sul suo porto ed una cittadina di provincia con supermercati, ampi parcheggi, palazzoni nuovi alle spalle. Ho un problema al collegamento Internet, cerco la mitica Tabaccheria Stortini che è poi un giovanotto aitante e robusto dotato di una bella moto, chiedo informazioni su un negozio di informatica, me le da in modo un po’ anonimo, saluto e me ne vado. Arrivo al luogo indicato e mi ritrovo la Tabaccheria Stortini parcheggiato ad attendermi: l’ho giudicato troppo in fretta, mi da altre informazioni, si vede che è disponibile a modo suo, in modo poco appariscente ma molto pratico.
Non trovo la scheda Internet, penso un attimo al problema, telefono a mio figlio che mi suggerisce un dubbio: per Microsoft (e per l’ineffabile Bill) ogni problema si risolve spegnendo e riaccendendo il Pc, cosa che ho fatto, ma il cellulare? Sempre dotato di software è, torno in barca, spengo e riaccendo il cellulare, tutto risolto: mannaggia alla maiella, sono un informatico ed ho prodotto software per una vita, se i miei prodotti avessero funzionato in questo modo mi sarei ritrovato in mezzo ad una strada, o tempora o mores, sono diventato vecchio (meglio in età matura), concedetemi di pensare a come tutto una volta era bello e funzionale.
Cena notevole in un ristorante dal nome strano (ai Quattro Gatti) ma di ottimo livello, prezzi assolutamente ragionevoli con unica pecca il prezzo dei vini: solo bottiglie intere (ed io anche se passo per un robusto bevitore in realtà non supero mai la mezza bottiglia), vino decente dell’Elba (buono ma niente di eccezionale) a 24 Euro: mah!
Il primo maggio lascio Porto Azzurro, vado un po’ a zonzo poi trovo sul pc l’invito di un velista (Cataldo..) ad aggregarmi ad una brigata di dieci barche dello Yacht Club Piombino, appuntamento a Marciana Marina. Veleggiata senza storia, le coste dell’Elba non ti annoiano mai, nel pomeriggio arrivo a Marciana, trovo già qualche barca di Piombino, sono simpatici ma diffidenti, nessuno dei già arrivati conosce Cataldo (che infatti non ha poi partecipato alla crociera, ma la sua mail di spiegazioni l’ho letta solo la sera), ma alla fine mi accettano nell’area di porto loro riservata. Marciana è un porto unico, l’ormeggio è gratuito (gratisse direbbero a Napoli), ma non ci sono i corpi morti, è previsto ormeggiare di poppa e calare l’ancora. Preparo la manovra, retro leggera, corsa a prua, calo l’ancora con un po’ più di dieci metri di catena, c’è vento al traverso devo sbrigarmi, lancio una cima a terra e mi fisso, colpetto di motore in avanti, la prua segue il vento se ne va verso destra, corro a prua e nell’acqua limpida scopro l’ancora a pennello: ma quanta acqua c’è in questo porto? “Almeno dieci metri” mi risponde ridendo il piombinese della barca a sinistra a cui lancio una cima e risolvo il problema con un traversino ed uno spring.
Il due maggio si veleggia fino a Bastia, sole, poco vento, resisto a vela ed ormeggio alle sette di sera a Port Toga.
Il tre maggio è senza storia, soliti giri turistico/gastronomici per la città, cena disastrosa in un ristorante del porto, una bouillabaisse servita dopo un’ora e mezza di attesa, abbiamo ordinato per dieci ne portano per sei, nessun sapore, solo lische: da dimenticare. I piombinesi mugugnano (qualcuno è veramente incazzato), torniamo verso le barche, davanti al pontile c’è un bar già chiuso ma con tavolini e sedie, uno propone di sedersi e va a prendere una bottiglia di grappa in barca, io zitto zitto saccheggio (meglio scalfisco) la mia cambusa e torno con salama assortita, formaggio, pane, vino, bicchieri e i due strumenti base: coltello e cavatappi. Ne è uscita una serata notevole.
Il 4 maggio gli amici partono presto destinazione Piombino, io mi alzo tardi, veleggio in una patana con qualche refolo fino a Macinaggio, dove decido di entrare per fare gasolio (ho gli strumenti del motore in tilt, va bene andare a vela ma se resto in mezzo al mare senza gasolio è da pirla). Il distributore è appena entrati a sinistra, mi tengo al centro dello stretto canale, uno dal distributore mi urla di stare vicino al semaforo rosso, ma ormai è tardi e mi pianto esattamente all’altezza del faro: l’ingresso è insabbiato, mi spiega il comandante del porto, tutti lo sanno ed entrano ed escono sfiorando il molo, prima o poi dragheremo il canale. Fortunatamente è sabbia, un po’ di forzatura a motore ed attracco al distributore. Arriva un’altra vela, un charter di 52 piedi targa Roma ma con equipaggio inglese, deve pescare ben più dei miei due metri ed entra piuttosto veloce piantandosi di botto. Mi spiace di non conoscere l’inglese, avrei sicuramente imparato qualche termine nuovo, comunque che gli inglesi siano flemmatici è una leggenda: un venti minuti di tentativi con urla che fortunatamente le mie caste orecchie non hanno decifrato e se ne sono andati in retro, uno da prua doveva avere un qualche fastidio al braccio (non posso pensare che gli inglesi facciano il gesto dell’ombrello).
Rifiuto l’invito del comandante ad ormeggiare e passo la notte in rada.
Il 5 le previsioni danno poco vento sulla Corsica Nord, patana nel tardo pomeriggio, vento discreto da ovest nella notte.
Con tutta calma lascio la rada e faticosamente risalgo bordeggiando con vento leggero sul muso verso la Giraglia: il programma è di trovare una baietta verso Centuri ed al calar della sera partire per la Liguria. Finalmente ho visto la Giraglia di giorno, verso l’una sono passato tra l’isoletta e la costa, ho virato per fare il periplo dell’isola e mi sono trovato con oltre dieci nodi di vento da nord est, un invito che non potevo rifiutare, bolina con prua su Marina Aregai e vaiii!
Verso le 18 ho già percorso 25 miglia quando il vento cala a zero, arrotolo il genoa, calcolo che sono fuori da qualsiasi rotta, il mare è deserto, mi rifiuto di andare a motore, lascio la barca libera di fare quello che vuole e tento inutilmente di dormire. Fortunatamente arrivano inaspettati due uccellini strani, cinguettano girandomi intorno, si posano sulle sartie, poi uno scende in esplorazione sulla coperta: è strano, giallo canarino con il dorso e le ali da passero. Analizza a passettini leggeri ogni angolo della barca, gli butto delle briciole che non degna della minima attenzione, non mi sembra il caso di dargli una fetta di salame, mi avvicino e lui non fa una piega, semplicemente mi ignora imitato dal compagno che lo raggiunge in coperta.
Passano così un paio d’ore, arriva il vento da ovest, altra bolina questa volta mura a sinistra e si riparte. Verso le dieci scendo in quadrato per un panino, accendo la luce, sento un cinguettio e vedo un clandestino tranquillamente accucciato su un cuscino, decido di offrirgli un passaggio e gli preparo una cuccetta con un giornale nel gavone aperto dove tengo il vino (non so perché ma ora lo spazio abbonda), si lascia prendere e collocare nella nuova casa, è molto strano, sembra un uccellino domestico, non ha fatto una piega nemmeno al lampo del flash, una star abituata evidentemente.
Solita nottata di vela a vento costante come intensità e direzione, 7 nodi fissi di velocità, mare deserto, nessuna voglia di dormire.
Un po’ dopo mezzanotte vedo le prime della Liguria, altre trenta miglia e sono arrivato. Passo il tempo osservando le luci che aumentano impercettibilmente di intensità, più tardi individuo il faro di Capo Mele, mi sembra di sentire aria di terra. Con base Capo Mele cerco di individuare le singole città, a sinistra San Remo e più lontano Montecarlo, di fronte Imperia, a destra un susseguirsi di paesi più o meno illuminati, uno più lucente degli altri, mentre tento di capire qual è questo paese così luminoso mi rendo conto che non riesco più a vedere il faro. Scendo in quadrato per prendere il cannocchiale, il pagliolato è pieno di escrementi (ma cosa avrà mangiato questa specie di passero che mi guarda da un angolo?). Incazzato lo prendo, lui non protesta, esco fuori e lo lancio in aria, ora sì protesta, ma poi sparisce nella notte, lo intravedo un’ultima volta davanti alle luci di prua mentre vola verso terra. Cazzarola, ora il paese mi sembra più luminoso e più vicino, controllo con il cannocchiale e sudo freddo: scrutando con il cannocchiale faccio un’altra scoperta strana, ha gli occhi, uno rosso alla mia destra ed uno verde dall’altra parte, non è un paese, è una maledetta ed enorme nave da crociera mimetizzata in mezzo alle luci della costa. Cerco di determinarne la distanza, qualche miglio indubbiamente ma non molti, Imperia è a dodici miglia, questa bestiaccia per coprirmi il faro arrivando da Savona (mi sono ricordato di averne visto altre provenire dalla stessa direzione, erano della compagnia Costa che ora ha base a Savona) è a meno di dieci, se va a trenta nodi (sarà vero?) ho un quarto d’ora prima della scelta da operare. Non so cosa fare, se mi hanno individuato e cambio rotta rischio di prenderli in contropiede e non dargli possibilità di agire, meglio verificare ed aspettare. Strano, ma perché questa cazzo di nave mi mostra entrambe le luci di via? Provo a verificare con il cannocchiale con bussola incorporata se l’angolo varia ma non vedo variazioni, il festone di luci che queste navi hanno in alto per tutta la loro lunghezza è per me un unico grande punto luminoso, la distanza da questo dell’occhio rosso è maggiore rispetto a quella del verde, merda potrei essere in rotta di collisione: prendo una torcia da 2000 Watt e provo a puntarla, ho il riflettore radar ma due segnalazioni valgono più di una. Decido di aspettare ancora prima di virare, controllo i due occhi, mi sembra che il rosso si avvicini al punto luminoso centrale, passa qualche minuto, sì ora vedo meglio il verde, il rosso a poco a poco scompare, “verde al verde la nave non si perde” recito come un automa rinco, il vento è dalla direzione opposta ma il rumore dei motori è assordante, il mare è illuminato, ma perché questa incredibile luminaria alle due di notte? La bestia mi sfila a poppa, valuto tre massimo quattrocento metri, vedo tra le luci il fumaiolo giallo con la grande C della Costa Crociere: la mia velocità era fortunatamente costante, la rotta affidata all'instancabile e fido Asdrubale pure, non hanno fatto una piega, dalla scia lunghissima non vedo deviazioni, o dormono (non lo posso credere), o hanno radar e computer come si deve. Arrivano quasi subito le onde sollevate dal mostro, ma sono quasi di poppa, nessun problema, Camilla sculetta sdegnosa.
Sono nel porto, ormeggio senza problemi, pulisco il pagliolato dagli escrementi, vado a prendere il giornale dal gavone cantina e trovo un altro clandestino che dorme beato: non l’ho pensato prima, erano una coppia, mi sento un barbaro, li ho divisi. Lo prendo delicatamente, mi guarda con tranquillità, lo porto in coperta e lo lancio in aria, vola in tondo intorno alla barca con stridii acuti, sembra che mescoli i richiami per il compagno a note di dolore.
Sono le 4 di mattina, non ho sonno, faccio un minimo di ordine, vuoto il frigo e me ne torno a Milano. La sensazione più strana me la propina il box doccia, quando chiudo gli occhi (lo shampoo irrita) dondolo come un pendolo, mi devo appoggiare per non cadere. E’ stato un bel giro, ho trovato quasi sempre vento, ho incontrato persone simpatiche e disponibili, ho imparato parecchio sul mare, sul vento, sulla barca e su me stesso: è “fornuta”, alla prossima.
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