STORIA E LEGGENDE DELLA REPUBBLICA DEI MASOCHISTI
di Nunzio Platania




C’era una volta…
Veramente c’è stata sempre, tuttavia il revisionismo storico dilagante considera la nobile genìa ormai del tutto scomparsa e quindi s’impone l’uso dei verbi al passato.
Quindi, si diceva, c’era una volta la repubblica dei Masochisti.
Non si può dire che si trattava di una vera Repubblica, piuttosto di un modesto staterello dall’incerto regime giacchè, era pur vero che i titoli nobiliari non mancavano e ciò faceva propendere quindi per una classificazione di tipo monarchico, vista peraltro la presenza furtiva di una Regina, che però non regnava come tutte le regine con il suo regale consorte, accollandosi, come vuole la tradizione monarchica, la regale fatica di provvedere alla regale discendenza, anzi di essa si vociferava che fosse aliena da regali connubi e giacché la sua monastica esistenza lasciava intuire una qual vocazione contemplativa invalse l’usanza di chiamarla Madre Sissiperiora. Ciò tuttavia avrebbe ingenerato in incauti osservatori l’impressione che si trattasse di uno staterello di tipo conventuale, in un certo senso dedito a sereni misticismi di tipo sedentario, e tale falsa impressione avrebbe potuto stravolgere la caratteristica fondamentale di tale comunità che invero era piuttosto dedita ad alacri, faticosi impegni quotidiani che alla rude loro esistenza veniva imposta dalla loro religiosa fedeltà all’agire “ cum manu labor”, come direbbero gli antichi.

Ma di questo parleremo in seguito…

Insomma l’incerta qualificazione istituzionale era,almeno quella, palese e da essa derivava forse la cauta attribuzione di taluni aspiranti Presidenti la cui vistosa e onnipresente presenza lasciava presagire una ambigua prospettazione di tipo repubblicano.
Infatti per parlare di Repubblica bisognerebbe sincerarsi sugli essenziali attributi attribuibili ad un eventuale suo rappresentante istituzionale, il quale, trattandosi di un presidente della repubblica dei Masochisti, avrebbe dovuto ben evidenziare nella sua persona i requisiti tipici del cittadino da lui rappresentato.
Per cui i candidati ad una eventuale presidenza, per dare il buon esempio ai loro sudditi,che sudditi però non erano, dovevano simulare un poco di ritrosia ad accettare simili onerosi titoli ed esibire di proposito una notevole sfiducia sulle validità effettiva del loro mandato, tanto che andando in giro per il regno, che regno non era, ai fini di notificare ai loro elettori la propria candidatura, dovevano manifestare la sua totale sfiducia nel buon esito della loro campagna elettorale.
Tale manifestazione di eccellente virtù pessimistica meglio di ogni altra avrebbe potuto far eccellere il candidato eccellente.
E i sudditi, occupati di solito nelle loro sudditanze private, gradivano di buon grado, quella originale forma di propaganda elettorale e dediti alle loro costumanze che appresso indicheremo, trascuravano di buon grado di porre conclusioni alla elezione definitiva del loro rappresentante, giacchè, come si dice, facevano di necessità virtù e si accontentavano di ciò che passava il convento, che però convento proprio non era.
Insomma era una Repubblica, un poco anarchica nei costumi e nella nomenclatura istituzionale e, dato che per natura, fin dalla sua fondazione era incline a bearsi di se stessa, non faceva nulla per allargare i confini del proprio territorio, propagandando, diciamo così all’estero, l’insolito loro modo di vivere come novella parola atta a rinnovellare lo spirito ammosciato delle popolazioni limitrofe.
Certo l’impegno che tal obiettivo poteva riservare, invero poteva veramente essere faticoso e indi adatto alla filosofia di quella rude gente, ma un poco per la pinguetudine genetica della stirpe, un poco per una certa opacità dell’Atto Costitutivo, un poco a causa della vaghezza dei poteri effettivi dei suoi rappresentanti, se ne parlava vagamente in certe assemblee, ma poi si conveniva che era meglio starsene quieti ad aspettare che magari sprovveduti viandanti bussassero alle porte del reame, che reame non era, per pietire una loro eventuale ammissione nella loro laboriosa comunità.
A dire il vero non c’era neanche la porta che avrebbe prodotto una qualche pur comodità nel distinguere il dentro dal fuori, ma in una repubblica di gente rude, si sa, le comodità sono un pò come il pelo nell’occhio e quindi nella totale assenza di porte, l’eventuale sprovveduto viandante in cerca di ristoro dalle fatiche della comodità doveva arrangiarsi alla meglio.
Si era quindi diffusa l’abitudine,per chiunque avesse voluto annunciarsi dalla periferia del reame, di battere fortemente le nocche della mano sul proprio cranio, e in tal guisa produrre contemporaneamente almeno tre effetti giacchè, manifestando con tal gesto di essere dotato di buona volontà nella sopportazione del dolore e al tempo stesso rivelando da esso medesimo una discreta attitudine ad essere ammesso dentro, esonerava i custodi dei confini del regno, che peraltro non c’erano, da fastidiosi esami probatori che li avrebbero distolti dalle loro dilettevoli fatiche private.
Venendo a queste ultime, esporremo adesso lo svolgimento di una giornata tipo del suddito tipo, che suddito però non era, dal momento in cui, appena sceso dal letto, che però non c’era, si accinge a dedicarsi al suo diletto preferito, fino alla fine della giornata tipo, a conclusione della quale si chiudeva verticalmente nello stipo, per prepararsi, costipaticamente, ad un’altra giornata tipo…
La quale cominciava di solito in orari antelucani con avvio, dei primitivi strumenti che consentivano una rarefatta comunicazione con i propri simili.
Erano per lo più arnesi pesanti e rumorosi, costruiti rozzamente con le proprie mani utilizzando perlopiù scarti preindustriali e datosi che la loro forma doveva riflettere giocoforza la funzione per cui venivano adoperati, il modello ispiratore comune non poteve essere assai lontano dall'onesto tamburo dei loro progenitori.
Anche se i più istruiti si erano ingegnosamente profusi di dotarlo di lampadine che luccicavano ad intermittenza.Ma per questo venivano guardati storto dai puristi della tradizione, i quali vedevano in queste diavolerie il pericolo di sovvertimenti alla filosofia della sofferenza e della fatica che accomunava gli alacri sudditi.

Sovente a causa di infliltrazioni malaugurate di germi patogeni occorreva procedere lestamente ad una disinfestazione del proprio tamburo infettato, giacchè la dissonanza del suono che ne usciva, aizzava l'ira funesta del capomandria con conseguenze a dir poco letali per il malcapitato che aveva lasciato privo di disinfettanti il suo strumento percussorio.
Cominciava dipoi la giornaliera rovistatura negli scarti epistolari che rimbalzavano a loro piacimento sui pendii della comune valle, dando luogo ad un conciliabolo difficilmente decodificabile dagli abitanti di altri valli e che finiva al calar delle tenebre a causa dello sfinimento dei mittenti, e della necessità di provvedere ad un giusto riposo al fine di consentire l'indomani di ricominciare quell'inutile chiacchericcio che ormai era diventato una droga.
Ma si sa i masochisti si prestavano lietamente a quella massacrante fatica.
E furono financo lieti quando, a causa del frastuono giornaliero del loro tam-tam, si accorsero di suscitare quella malsana curiosità degli altri valliggiani, i quali, giorno dopo giorno presero l'abitudine in gran massa a chiedere asilo con la tracotante domanda di avere un posto anche loro.L'effetto fù l'avvio di quel funesto processo migratorio da cui comincio la decadenza della purezza della stirpe.

I primi segnali si ebbero con le crisi metaboliche dell'addetto all'anagrafe. Infatti costui, che doveva tenere in ordine il registro dei nuovi arrivi, non riusciva più a contenere,con l'asfittico armamentario di cui era dotato, l'incalzare delle ondate migratorie; per cui ogni due o tre anni gli scoppiava la macchinetta-megafono tra le mani e tutto l'archivio andava in fumo. La disperazione adombrava allora l'animo dei cittadini,giacche nessun suono si propagava lungo la valle, e il silenzio che raggelava i loro cuori suonava come un terribile monito di astinenza perpetua.
Inutile furono gli alibi che accollavano ogni volta tali defaillances alla donna delle pulizie,anche perchè era noto a tutti che non c'erano donne pulitrici e che quello era invece l'unico sistema per fare pulizia che la natura aveva escogitato per frenare l'imbarbarimento che stava avvenendo.
La scusa fù però buona per infoltire la schiera dei tecknocrati che videro in tali crisi periodiche l'occasione ghiotta per fomentare disordini e pretendere ad uno svecchiamento delle vecchie e millennarie usanze.

Fu in quel periodo infatti che, così come avviene nelle società man mano che diventano più complesse,cominciarono a fiorire le specializzazioni nelle arti e nei mestieri.
Chi si dedicava alle problematiche idrauliche sviluppò una spiccata predilezione per i tubi dei cessi, altri si ingegnavano ad abbozzare una sorta di Ufficio turistico proponendo faticosi trasferimenti a coloro che abitavano ai margini del territorio in occasione di raduni e tornei vari. Non furono rare in tali occasioni gli episodi di corruzione che videro incensurati e ritenuti anche intransigenti burocrati trafficare per loro tornaconto attorno a barattoli di marmellata.
Cominciarono a fiorire sottotribalità locali che organizzavano sibariche adunaze fittizziamente contrabbandate come esperimenti scientifici tesi a studiare il fenomeno dell'evaporazione degli alcoli aromatici e non.
Alcuni, col raffinarsi dei costumi, allestirono veri e propri cabaret per allietare la giornata agli altri e si sviluppò di conseguenza a macchia d'olio l'arte del riso, dello sberleffo, della beffa, del chiosare irriverente e altre amenità che indebolivano sempre di più i sobri costrumi di un tempo e iniziarono quel lento ma inesorabile decadimento dei costumi.
A nulla valsero i deboli tentativi della classe dei potenti per arginare tale declino morale.
Inutili furono gli inviti a tornare alla sobrietà della comunicazione. Ormai la ridondanza aveva assunto la forma di una Babele e così avvenne che dopo svariati anni di torpore legislativo e istituzionale,la comunità convenne che le forme di governo fino allora tollerate non fossero più idonee ad affrontare i perigliosi quanto anarchici episodi che si verificavano puntuamente nel popolo. Non che prima ci riuscissero,ma almeno fino a quel momento si era potuto contare sulla ferma ma arrugginita mano ferrea del Principe,che adesso logorato dal pigolante potere, emise finalmente un editto nel quale sostanzialmente annunciava il suo anticipato pensionamento.
Ci furono brevi ma intensi conciliaboli nell'ambito della zona dei cortigiani di periferia, e alla fine si convenne appunto di affidare il comando ad una sorta di triunvirato.Ma la ricerca dei viri risultòalquanto laboriosa per via del fatto che i soliti burloni fingevano di non capire che si trattava di cosa diversa dalla semplice virata. Alcuni frange di fanatici masochisti addirittuta accennarono ad un possibile rovesciamento istituzionale basato su una complessa manovra di strambata con doppio carpiato, ma furono messi a tacere dal neonato partito degli innovatori che si ispirava invece alla comodità della vita moderna e considerava anacronistico ogni singolo movimento muscolare non supportato da adeguata protesi elettronicoindustrializzata.
Ormai era definitivamente finita l'era primordiale in cui il masochismo univa come patto di sangue i valliggiani, che adesso amavano pavoneggiarsi l'un l'altro per l'acquisto dei più innovativi strumenti di semplificazione della vita. Anzi per la maggioranza appariva ovvio che i problemi nati in quel lontano tempo erano frutto di un mancato ammodernamento della comunità, la quale adesso esigeva sistemi più flessibili e democraticamente più impersonali per potere prosperare e vivere nell'era moderna e che i pochi che invece erano contrari potevano essere ancora tollerati, tanto si prospettava per loro una fisiologica e fatale disparizione a causa degli acchiacchi di cui facevano abbondante confessione durante i loro mugugnamenti.
Insomma dopo un poco di solita ammuina furono estratti a sorte i nomi di coloro che meglio impersonavano le due anime del popolino e così nacque la Seconda Repubblica.
Abbandonata la vecchia denominazione di Repubblica dei masochisti a gran voce si propose quella di Megavillaggio global-liberista, ove tutto è permesso salvo che sia stato sconsigliato, ma in casi estremi può anche essere consentito a patto che ne derivi un bene comune, previo doveroso accertamento delle Autorità competenti.

Ai fini di un vero cambiamento non cambiò quindi proprio nulla, la genetica anarchia che era ormai dominante rimase come sempre in vigore, semmai si assistette ad una silenziosa e discreta rarefazione di quei tali a cui non andò giù la perdita del divertimento di tramare contro il potere del tirannello, ne si poteva pensare a complottare contro una compagine gestoriale dal volto trino e ubiquo che mal si prestava a essere presa di mira con la sufficiente approssimazione di prima.
Insomma mentre le nuove generazioni si approssimavano a diventare i futuri dirigenti, costoro, consci della graduale ma inesosabile perdita della memoria storica di ciò che fù, pensarono bene di costituirsi come Accademia della Cricca e redigere questo scarno documento a testimonianza imperitura dei travagli dal cui ventre è sortita la robusta e testarda creatura che viene oggi spupazzata da tutti.



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