DESTINO
di Nunzio Platania




PROLOGO
Non era stato sempre un asociale.
Benché nei rimproveri che da piccolo riceveva da suo padre tale velata profezia fosse spesso presente, fino all'età di sedici anni il suo caratteraccio era passato quasi inosservato.
Giunto però alle scuole superiori la sua tendenza anarchica e il suo non sapersi assoggettare alle imposizioni che la vita gli chiedeva, si delinearono chiaramente come caratteri dominanti della sua personalità. Con grande disappunto dei suoi genitori abbandonò gli studi e per un paio di anni girovagò da un lavoro all'altro senza convinzione alcuna, tanto che suo padre precisò la sua profezia aggiungendo al suo destino la variante di scapestrato, buono a nulla e in odor di delinquere.
Fu nel corso di una delle sue tante scomparse da casa che vide per la prima volta il mare. Il paese dove aveva passato la sua vita ne era molto lontano e pur avendo avuto da bambino qualche rara occasione di lambirne le rive, in realtà era come se lo vedesse per la prima volta.
Era una tiepida giornata di aprile e il sole faceva scintillare la superficie quieta del mare con piccoli spezzati bagliori che gli ricordavano le pietre con i chicchi di quarzo incastonati che tanto lo incantavano da bambino.
Rimase lungamente a guardare, poi il mare si corrucciò e una nuvola scura alzò un refolo, l'acqua divenne color argento e le crestine bianche che apparivano di tanto in tanto sulla sua superficie gli fecero venire in mente le margherite sui prati della sua infanzia.
Poi si fece rapidamente buio e quel tratto di costa, lontano dalle luci dell'abitato, si rivestì di una oscura misteriosa presenza. Sentiva in quella frusciante melodia notturna come un accordo con quella parte inquieta del suo essere che lo accompagnava da sempre. Nell'ordinato rumoreggiare della risacca sugli scogli gli parve di udire per la prima volta una voce che gli indicava il suo destino.
L'insofferenza che da sempre lo assaliva tutte le volte che le ingiunzioni del fare provenienti dall'esterno, scatenando quasi sempre in lui un istintivo moto di ribellione, lasciava adesso il posto ad un quieto sottomettersi come ad un ordine; non era un ordine a fare, non invitava ad essere, era come un segnale di direzione, netto, perentorio però: verso il mare.
Molto tempo dopo nella vita si era chiesto più volte che cosa aveva udito quella notte fatata in cui il suo percorso si era incamminato con tale caparbietà in quella direzione.
Del mare non sapeva molto, anzi lo angustiava il pensiero di essere stato escluso per tutto quel tempo da un sapere che ora gli appariva chiaramente come il filo conduttore della sua futura esistenza.
Non ebbe neppure la necessità di decidere quello che doveva fare, si accorse nei giorni successivi di agire come comandato da un imperioso volere che lo accompagnava e lo dirigeva per colmare quel vuoto di conoscenze e di esperienza che sentiva dentro.
Si mise quindi a cercare un qualche lavoro che lo mettesse a contatto col mare. Lo assunsero quasi subito come uomo di fatica nel grande mercato ittico della città. Era un lavoro massacrante che svolgeva prevalentemente di notte, ma gli permise di aggirarsi nei momenti liberi nell'ambiente dei commercianti di pesce e attraverso loro di fare conoscenze con qualche pescatore e anche a frequentare le loro cooperative.
Attaccava bottone con chiunque glielo permettesse e da ognuno cercava di spillare qualcosa.di saperne di più su quel mare che gli sembrava avere un messaggio nascosto riservato tutto per lui. Finchè s'imbattè in un giovane della sua età con cui s'instaurò un rapporto di amicizia e da quello qualche tempo dopo l'occasione di conoscere un ufficiale di macchina che lavorava sui traghetti. Costui lo prese in simpatia e di lì a poco gli procurò un ingaggio su uno dei battelli della Compagnia. Si imbarcò quindi: lo presero come aiutante cuoco su un malandato traghetto che faceva la spola tra le isole della sua isola. Era un lavoro insignificante e faticoso, ma, a differenza del primo gli forniva l'occasione di conoscerlo da vicino quel suo nuovo padrone da cui gli sembrava di dovere ancora attendere degli ordini.
Durante le notti stava affacciato alla battagliola della nave a scrutare, ad interrogare quel nero abisso che frusciava sulle fiancate, oppure quando corrucciandosi imponeva al traghetto quei precisi movimenti gli veniva da pensare che fossero delle leggi imperiose, degli ordini che venivano imposti dal mare, eterni e giusti, come nulla di ciò che accade sulla terra sa raccontare.
Lo aveva pensato fin da quella prima rivelazione come un inflessibile padrone, come un indomabile fiero padrone di se stesso, capace solo di dettare le sue leggi e di respingere ogni sforzo di corruzione della propria inflessibile volontà.
Per questo lo sentiva fortemente come lui, anzi per questo era pronto a sottomettersi a lui, come dopo la zuffa aveva visto gli animali lottare e alla fine il capobranco dominare i concorrenti e sottometterli alla legge del più forte.
Ma lui non si voleva azzuffare col mare. Aveva compreso fin dal primo istante chi doveva comandare e adesso aspettava di potersi sottomettere obbedendo a quei medesimi ordini che adesso erano imposte al traghetto.

Che vennero un giorno...




Voleva ordini o non ne voleva? Sta di fatto che gli ordini vennero, eccome.
La busta era inequivocabile come il suo contenuto. La girò e rigirò più volte tra le mani. Non che ci fosse qualcosa da capire, ma sicuramente questa era una nuova svolta alla sua vita : Chiamata alle armi.
Appoggiò pensoso i gomiti al corrimano di legno della balaustra del traghetto guardando fisso l'orizzonte.
Non c'era nulla da vedere la, in un turbinio di sensazioni nuove, cercava di scorgere una soluzione, come a voler penetrare le nebbie che avvolgono il futuro.

Andare alle armi. Proprio lui, che non sapeva neanche bene l'inno nazionale.
E poi mica alle armi per difendere i proprio confini, no. Missione "di pace" in un paese straniero. Che vuol dire "di pace" con le armi?
Come spesso succede, i pensieri ed i dubbi sul proprio futuro si mescolano con i ricordi.
Gli tornò alla mente quella tiepida giornata di aprile, i bagliori spezzati dei riflessi... ma comparvero anche vite spezzate dalle bombe... sabbia di chicchi di quarzo tra le dita dei piedi e mine antiuomo nascoste tra i bellissimi chicchi di quarzo.
Tentava di vedersi in file ordinate con la mitraglietta in mano. Obbedire ad ordini, magari anche giusti. Ma indiscutibili ed inalienabili.
Scosse la testa. Tutto ciò era assolutamente assurdo. La cosa non ci stava proprio. Era mille anni luce dalla sua immaginazione.
E lui che sognava gli orizzonti aperti del mare!

L'amico lo vede, ancora appoggiato sui gomiti, con lo sguardo fisso nel vuoto, scuotere la testa.
"Che ti succede?" chiese. Senza neanche degnarlo di uno sguardo, gli porge la lettera.
"Ah ... ora capisco quella faccia da funerale. Non ci voleva, eh? Vabbé, intanto presentati al comando, magari ti trovano qualche difetto fisico e non vai".
Lo diceva perché non voleva che, conoscendolo, lui pensasse di disertare.
Il fornire qualche speranza di scappatoia spostava in avanti di qualche giorno la forca caudina del dover prendere una decisione drastica ed immediata.
Certo che la vita è strana, con tutte le persone che sarebbero state felicissime di andare sotto le armi, proprio un anarcoide ...

La terapia aveva funzionato, la possibilità di avere un pò di tempo per pensarci su, lo aveva rinfrancato. Quel giorno passò senza altri scossoni.
Ma la notte no.
La notte sognò di tutto. Sognò di essere dentro un baracca e sentire tuoni di bombe in lontananza. Sentì suoni di allarmi. Si immaginò di saltare su una barca a vela, una specie di feluca del Nilo e prendere il largo. Ma il vento lo ributtava a terra, spiaggiato.
Si svegliò in un bagno di sudore. Più stanco di quando era andato a dormire.
Una doccia veloce, talvolta lava via anche i pensieri. Si incammina verso il comando. Ci sono altri ragazzi come lui fuori da portone. Non sono molti, forse cinque o sei. Troppi.
Si siede in disparte, su un muretto di pietra lavica, non vuole correre il rischio che qualcuno cerchi di attaccare bottone. Non è proprio aria.

Con lo sguardo fisso per terra, vede i solchi sulle grosse pietre del selciato scavati dai miniscoli rivoli di pioggia. Vede come ogni rivolo non segue una line retta. Talvolta si dividono. Vede come una scelta già tracciata, quasi ovvia, può essere abbandonata per un'altra.
Vede che, qualsiasi scelta il rivolo possa fare, il suo destino è quello di finire, prima o poi, al mare.
È di fronte all'ufficiale ora. Deve dire qualcosa, non può lasciarsi trascinare dall'ovvio...
"C'é posto in marina?" Chiede.
L'ufficiale alza la testa, lo guarda, stupito. " Ma come? Se quelli destinati in marina, fanno carte false per farsi spedire nelle truppe di terra!"
"Bene, allora vuol dire che avete posti disponibili in marina"
"Ragazzo, sei sicuro di quello che dici? Con le truppe di terra si sale sull'aereo e in mezza giornata sei al tuo campo. In marina, solo a spostare una nave da un luogo di missione ad un altro, sono giorni di navigazione senza toccare mai terra"
"È esattamente quello che cerco".

"Se un'insofferente alle imposizioni deve imparare ad ubbidire alle dure leggi del mare, è meglio che prima impari ad ubbidire agli uomini"
Giura a se stesso che questa frase se la ripeterà ogni volta che un ordine gli farà ribollire il sangue, urla alla luna che ce la farà, a costo di morirne.
Tutto sommato ha già avuto a che fare con gli ordini, nel traghetto. È vero, era un capitano all'acqua di rose e l'amico ufficiale ha contribuito non poco a fare da "cuscinetto" tra i due, ma già li ha imparato dove trovare un pò di saliva per ingoiare il rospo. Deve fare in modo che il suo essere razionale prevalga sull'istinto.
La lotta tra istinto e ragione ... e perché mai? Perché deve lottare contro se stesso? Chi glie lo fa fare?
Se lo chiede anche lungo la scaletta che lo conduce alla "sua nave". Ma le gambe lo conducono inesorabilmente su. Obbediscono ad ordini reconditi. Il mare lo chiama inesorabilmente attraverso un futuro irto di difficoltà.

Prima adunata sul ponte. L'ufficiale incaricato passa in rassegna le reclute sotto il sole cocente.
"Non è prassi, ma non c'é tempo per il CAR, riceverete istruzioni molto rapidamente. Poche settimane, forse giorni e poi salperemo. Chi non sarà in grado di stare alle regole verrà rimandato alle truppe di terra"
Che significa? Cos'é quel certo astio che percepisce in quelle parole? Sembra quasi fossero dirette proprio a lui. C'é gente che farebbe carte false per essere sbarcato. Ma lui no, non ne ha la minima intenzione. Sembra quasi che l'ufficiale lo sapesse. Possibile?
Sta diventando pazzo. Si sta facendo troppe domande. D'altronde è comprensibile. La sua vita si è stravolta in un attimo. Solo pochi giorni fa era un cuoco-sguattero dentro la pancia di un traghetto ed ora è imprigionato dentro un vestito da marinaio inquadrato davanti ad un insulso ufficialetto che vomita spocchia. Gli sta montando la rabbia, sta per lanciare la sua sacca in faccia all'ufficiale e mandare tutti al diavolo quando uno dei ragazzi crolla a terra.
Forse il caldo asfissiante sul ponte, forse la parole dure dell'ufficiale. Tra gli sguardi attoniti di tutti, senza pensarci un attimo si getta su di lui.
Sembrava che avesse fatto chissà cosa. In fondo gli aveva solo aperto il colletto della divisa, alzato le gambe e il ragazzo si era ripreso subito, poi il medico di bordo aveva fatto il resto. Niente di eroico insomma.
Magli altri non sembravano d'accordo con questa sua visione. Ora era diventato improvvisamente la star della nave. Tutta questa pubblicità non ci voleva, ci mancava solo questo, ma poteva certo lasciare quel poveraccio svenuto lì. Poi pensa che lo svenimento è stato, in fondo provvidenziale.
Comincia a vedere le cose con un prospettiva diversa. Se non fosse successo tutto sto trambusto, ora l'ufficiale avrebbe un occhio pesto e lui sarebbe agli arresti dopo neanche mezza giornata dal primo passo sulla scaletta.

Quando salpano c’è sulla banchina una folla di genitori, parenti e amici. Lui non ha nessuno, la frattura con suo padre si è sanata ma nessuno dei due ha avuto il coraggio di fare la prima mossa. Forse intravede l’ufficiale di macchina del traghetto, forse è solo la sua testa che vorrebbe aver visto qualcuno da salutare.

I giorni seguenti trascorrono senza scosse, il suo intervento ha contribuito a rendere tutti più indulgenti verso i suoi modi bruschi e lui, furbescamente ha pensato bene di sfruttare la situazione imboscandosi nelle cucine. Questo ruolo gli permette di vivere l'ambiente militare senza subirne le asperità peggiori. In fondo c'é sempre da cucinare qualcosa a qualsiasi ora del giorno o, quando si vedono le brutte, mettersi in disparte a pelar patate.

Ma quando tutto fila liscio, evitando accuratamente l'ufficialetto dispotico, sgattaiola in plancia. È lassù, che lo si vede più spesso.
Dalle stalle alle stelle, seppur clandestinamente, fianco a fianco con il collega "salvato", vede i primi sonar, ruba con gli occhi i metodi di rilevamento classici, riconosce le prime costellazioni. Per uno che vorrà navigare su ben altre barche, se il destino glielo permetterà, tutto ciò che sta imparando è manna dal cielo.
Ora la sua paura è che tutto ciò finisca. Cosa succederà alla prima terra in vista? E l'arrivo nel porto straniero?

Mah, vedremo, è presto per pensarci. L'arrivo è ancora lontano. C'é da attraversare il Mediterraneo, attraverso il Canale di Suez, poi giù nel Mar Rosso, il periplo della Penisola Arabica, il Golfo Persico ... Tutti nomi noti, ma un tempo erano solo parole stampate sugli Atlanti, ora ci sarà dentro. Finirà dentro le asettiche parole dei libri di scuola.

Sono prossimi al traverso dell'isola di Creta, gli archi di cerchio che descrivono i mestoli appesi aumenta di momento in momento. Sembra proprio che il mare si stia incazzando. È la sua prima burrasca. Sul traghetto non aveva mai preso "bastonate" serie, quando il tempo era cattivo si rimaneva in porto. Viene chiamato in plancia. "L'ufficialetto avrà bisogno di un brodino", pensa sarcastico, tra sé mentre si avvia. Sbattendo ritmicamente ora la spalla destra, ora la spalla sinistra su pareti, balaustre, argani, raggiunge la plancia.
L'ufficialetto è li, che scruta l'orizzonte attraverso gli ampi finestroni della plancia che, nonostante siano alti sul mare, vengono raggiunti da secchiate di acqua salata.
Giù sotto, tra i corridoi stretti si ha una percezione diversa del moto ondoso. Dalla plancia il mare sembra meno grosso, ma mostra i denti bianchi e fa più paura.
"Ehi recluta, sveglia" Ringhia l'ufficiale.
"Si .." ... si blocca.
"Sissign .." non gli viene. I suoi occhi si incrociano con quelli, imploranti, di "salvato" che sembra volergli dire "dai, fai un piccolo sforzo".
Inghiotte, "ssignore" termina a occhi bassi e lo stomaco che urla vendetta.
"Le ho detto di prendere il timone, maledizione! Sta dormendo?" Gli urla sputacchiando rabbia l'ufficiale ad un palmo dal viso.
"Ma io ... non l'ho mai fatto .." risponde attonito guardandosi intorno alla ricerca di comprensione tra gli altri occupanti della plancia. Nessuno sembra badare a lui.
"E allora? Cosa aspetta ad imparare, che ci troviamo in mezzo ad una burrasca?".
"Perché, questa cos'é?".
Un boato di risate lo sommerge. I disgraziati dei suoi colleghi, quando vogliono sono ben attenti ...
"Vorresti dire che scambi un pò di vento forte e mare lungo per una burrasca" (pausa) "Marinaio?".
L'ufficiale è passato dal lei al tu, sembra cresciuto di un palmo di statura, e lui si sente piccolo piccolo. Deriso.
Purtroppo è vero. Tutta la sua baldanza e la sua straffotenza sta crollando come un castello di carte.
L'ufficiale si riporta verso la finestra.
"Ti ho chiamato perché, uno che riesce a far da mangiare dentro la pancia di una nave, significa che non soffre di cinetosi"
Cinetosi?
"Mal di mare, marinaio, mal di mare". Alzando gli occhi al cielo, l'ufficiale continua la spiegazione. "In caso di burrasca molti stanno male e le persone per i turni si diradano, è bene avere qualcuno che almeno sappia dove girare la ruota in caso di necessità".
"Salvato" gli fa un cenno di ok. Quando l'ufficiale si dilunga in così tante spiegazioni, vuol dire che ha in buona luce chi gli sta di fronte.

L'isola di Creta scorre velocemente lontana all'orizzonte sulla sinistra. Ma il vento forte da all'aria una limpidezza così elevata che sembra di toccarla.

Lui, al timone si sente quasi Magellano. Sta governando quel bestione in modo abbastanza preciso lungo la rotta che gli hanno indicato, ma che fatica! Non c’è il servosterzo su sta carretta?
"Salvato" gli si avvicina. "Bene. Ora che hai imparato ad andare diritto, che ne diresti se impari anche a non farci cadere dentro le onde?"
Altra lezione di umiltà. Si credeva già chissà chi, invece è solo un povero pivello. Ma quante lezioni dovrà ricevere? Ce la farà a sopportarle tutte, prima di sentirsi una merda e mollare tutto?

Al timone si ha molto tempo per pensare. Scorrono brandelli di vita davanti ai suoi occhi. Le urla di suo padre che cercavano di riportare alle buone maniere il figlio scapestrato, il sonoro vaffanculo alla sua professoressa di Lettere e l’abbandono della scuola, il mercato del pesce e la faccia dell’ufficialetto spocchioso durante la prima adunata.
Spocchioso un corno. Dentro la plancia quello li sembra un altro. Con due urla lo aveva messo in riga ed era diventato un Ufficiale i cui ordini non si discutono.
Ordini che non si discutono? E quando mai? Non esistono ordini indiscutibili porca misera. Si, vabbé, ci sono ordini giusti che …
“Ordini giusti” …
Cos’è giusto? Cos’ésbagliato? Chi lo decide?
Rimugina sulla figuraccia in plancia. La rabbia gli arrossa di nuovo le gote e pensa che se quell’ufficiale gli si rivolge di nuovo in quel modo lo butterà a mare.

I giorni trascorrono, verrà effettuato un breve scalo tecnico nel porto di Port Said, prima di immettersi nel Canale di Suez. C’è frenesia a bordo. I marinai non vedono l’ora di scendere a terra, chi a telefonare alle morose, chi a casa, chi niente di tutto questo e racconta di essere già stato lì e vuole tornare da una certa ragazza che …
Il nostro si sente invece a disagio. Vorrebbe che questa traversata non finisse mai. Aveva fatto l’abitudine all’orizzonte vuoto, senza uno scalo prossimo a prua. Non scenderà a terra.

Port Said è passata, come il Canale e Suez. Lui, come da promessa a se stesso, non è mai sceso. Ha guardato lungamente dalla murata la vita che formicolava la sotto. Da bordo i porti sembrano tutti uguali ma qui gli uomini di fatica affaccendati sui moli non hanno tute blu, vestono lunghi camicioni logori e sudici. Il caldo umido porta alle narici un misto di odori di sudore e di spezie mentre alle orecchie arrivano le nenie arabe.

La prima notte nel Mar Rosso, gli sovviene di essere in quel mare che la bibbia vorrebbe esser stato attraversato a piedi da un popolo in fuga. La cabina è asfissiante. Esce in coperta. Qui l’aria della notte diventa più respirabile e il cielo qui è bellissimo. Sembra più nero del solito e le stelle sembrano brillare più forte. Cominciano a scorrere una lunga sequela di piattaforme petrolifere. Mostri di acciaio che sputano fuoco mentre succhiano il loro nero nutrimento dalle viscere della terra.
"Sono inquietanti, vero?"
Soprassale. Non si era accorto di avere l’ufficiale alle spalle.
"Questa è la terza volta che navigo qui e ogni volta la notte vengo in coperta a vederle. Mettono i brividi" lo dice mentre gli si affianca e si mette a guardare anche lui lo spettacolo.
"È strano che, a una persona fredda e razionale come lei, facciano questo effetto. In fondo sono solo dei tubi di acciaio saldati insieme"
L’ufficiale non replica. Lo guarda fisso negli occhi per pochi secondi ma lascia cadere la cosa mentre gli si accende un sorrisino beffardo sulle labbra.
Mentre guardano sfilare l’ultima piattaforma l’ufficiale riprende:
"Ho visto che non sei sceso a terra"
"Che scendevo a fare?" Taglia corto.
"Mmm, abbiamo un orso a bordo. Dovremo stare attenti"
Stavolta il tono di voce dell’ufficiale non è odioso. Lo sta prendendo in giro, è indubbio, ma non riesce ad arrabbiarsi. Quasi quasi l’appellativo di “orso” non gli dispiace. Se si spargesse la voce gli altri capirebbero che a lui le smancerie non piacciono e non gli si deve gironzolare troppo intorno.
"Sei uno a cui le smancerie non piacciono e preferisce stare da solo vero?"
Ma come cavolo … che razza di bestia è questo che gli sta affianco? è dal primo incontro che sembra leggergli dentro il cervello. Lui odia sentirsi un libro aperto. Questo qua lo fa sentire peggio, si sente nudo di fronte a lui.
"Giochi a scacchi?" Chiede l’ufficiale.
"So solo le mosse. Non so giocare". Non è vero, un po’ sa giocare, ma non ha nessuna intenzione di dargliela vinta.
"Bene. Se hai voglia, uno di questi giorni ci facciamo una partita a scacchi. Ora vado a dormire. Domani la navigazione potrebbe essere più impegnativa".

Maledizione, è la persona che odia di più a bordo, lo fa sentire di merda ogni volta che gli rivolge la parola e si ritrova che questo qua lo tratta come un amico. Al diavolo. Peggio per lui, “orso” non ti darà un minimo di soddisfazione maledetto ufficialetto sputaordini. Lui è li per il mare, non certo per fare il militare o per fare la guerra. Ah, no, non guerra, “missione di pace” come la chiamano.
Ma in che diavolo di guaio si è cacciato? Perché non ha disertato maledizione? Dà un calcio all’argano della scialuppa di salvataggio. Prendersela con la nave non lo fa sentire meglio. La rabbia che ogni tanto gli monta è incontenibile ma, si rende conto, gli viene sempre quando è da solo e rimugina troppo sulle cose. Ora si sente quasi un vile. Uno che non è in grado di ribattere vis-a-vis le cose che non gli vanno giù.

Il giorno seguente hanno doppiato il capo Muhammad, vicino Sharm el Sheik per immettersi nel vero mar Rosso. Dov’erano prima era semplicemente il Golfo di Suez, quello che divide l’Egitto dalla penisola del Sinai.
Il mare cambia ancora colore, è ora di una trasparenza eccezionale. Vero cristallo liquido. è già felice così, ma sogna di navigarlo da solo quel mare, finalmente libero da imposizioni di qualsiasi sorta. Senza nessun comando, senza ordini da svolgere. Quasi a rafforzare questo suo desiderio, la nave incrocia una barca a vela battente bandiera Italiana. Sta faticosamente sta risalendo il vento percorrendo in senso inverso la rotta da loro appena seguita. Salvato gli dice che si sono sentiti via radio. è una barca che sta rientrando in Mediterraneo per tornare in patria dopo tre anni intorno al mondo.
Il resto del viaggio Orso lo passerà a sognare rotte attraverso oceani, in paradisi tropicali e col vento tra i capelli e sulle vele della sua immaginaria futura barca a vela. Ha già deciso, le metterà di nome Regni Libera. Se la immagina grande e bellissima, dalle forme molto simili alla barca che hanno incrociato.


È nel quadrato ufficiali quella sera per giocare una partita a scacchi.
Alla quarta mossa l’ufficiale dice ad alta voce : "Sono fortunato che Orso non sappia giocare. Se fosse stato bravo sarei già fottuto"
Eccolo che ci rifà, rimugina Orso tra se pensando alle capacità dell’ufficiale di leggergli nel cervello.
Poi le discussioni nel quadrato vanno alla barca a vela incrociata. Alcuni raccontano l’incrocio entusiasti Uno si mostra invece stupito che delle persone, non obbligate da nulla si debbano sottoporre a torture del genere quando ci sono tante comode navi da crociera. Un altro dice che, manco su una nave da crociera, ne ha già abbastanza della vita che fa e appena torna a casa scappa in montagna.
Orso si lasci sfuggire un "Io no. Io ci vivrei".
Un paio di risatine ironiche. "See", dice un tenente, "dici così perché non hai beccato mai una burrasca seria. C’è da cagarsi addosso a bordo di questa nave, figurati dentro un guscio di noce come quello"
L’ufficiale esordisce : " Pensate che Orso l’ha chiesto lui di venire in Marina"
Non ama che qualcuno metta in piazza gli affari suoi. Tra i denti dichiara "Bisognava scegliere. Meglio qui". La solita risposta ermetica e parole misurate col contagocce. Ormai a bordo ci avevano fatto l’abitudine. Perché mai l’ufficiale avrà preso a ben volere quel riottoso piantagrane è un mistero per tutti.
L’ufficiale tra una mossa a scacchi e l’altra, allenta la presa dei pensieri di tutti tornando sull’argomento barca.
"Quella barca non era poi un guscio di noce. Era molto marina. è una barca da giro del mondo"
"A me piacciono i multiscafi" Fa un altro.
E la discussione si avvita in infinite eccezioni per cui una tipo di barca è meglio di un’altra.
Orso ascolta con attenzione. Cerca di carpire da quelle discussioni oziose segreti di come dovrà essere la sua barca futura.
"Scacco matto. Bravo Orso, hai durato più del previsto"
Ma a Orso della partita a scacchi non importava più da un po’. Era ormai immerso in un dedalo di forme di carena, una, due, tre carene, alberi di fogge strane, fissi, rotanti, passanti …

Scorrono le miglia sotto la chiglia, scorre la costa, scorre la vita.
Passano Djibuti, girano intorno la Penisola Arabica, si inoltrano in quello che viene ancora chiamato Golfo Persico, ma da molto tempo più propriamente Golfo Arabico. Poco dopo lo Stretto di Ormutz, la nave si dirige verso l’ultimo scalo tecnico, il porto di Al Jubail, prima di giungere alla meta della missione.

Al Jubail, dal mare sembra un enorme polo industriale con il nulla intorno. Sabbia a perdita d’occhio. Un piccolo villaggio arabo diventato città troppo rapidamente intorno all’industria del petrolio. La nave attracca. Di nuovo, dalla murata della nave, Orso scruta in basso. Qui i lavoratori sono quasi tutti con gli occhi a mandorla. Alcuni, ma pochi, con tratti indo-pachistani. Di Arabi Sauditi non ce n’è l’ombra.
Molti marinai stavolta preferiscono non scendere. Il posto non gode di buona fama.
"Invece stavolta tu scendi. Vatti a prendere un paio di pantaloncini corti, il passaporto e seguimi" Gli dice l’ufficiale.
Mentre prende le sue cose si chiede cosa avrà in mente.
Un taxi li porta fuori dall’area portuale, verso nord. L’ufficiale sembra cavarsela con la lingua. "Macché. Solo poche parole da usare con i tassisti".
La meta non era molto lontana. Arrivano di fronte a delle case basse e ben tenute simili a minuscole villette. L’ufficiale scende e dice a Orso : "torno subito, aspetta qui nel taxi". Si avvia e bussa ad una porta. Apre una donna sulla quarantina con viso da Americana. Si abbracciano, poi lei urla in casa un nome Italiano. Dovrebbe essere il nome di battesimo dell’ufficiale. Orso non lo sapeva. Non ce n’era bisogno a bordo e lui non se ne era mai interessato. Ora sulla porta compare un energumeno rosso di capelli altro un palmo più dell’ufficiale con, se possibile, la faccia da americano ancora più marcata di quella della donna. Altro abbraccio, poi l’uomo gli consegna un sacco blu. Si stanno dicendo qualcosa in Inglese, ma Orso non capisce niente se non poche semplici parole. Non riesce a carpire il significato della frase e, per la prima volta, si rammarica di aver abbandonato la scuola troppo presto.
L’ufficiale rientra in auto.
"Sono miei amici. Lui lavora qui in Arabia Saudita come consulente in una delle raffinerie che vedi laggiù. Stasera sarò a cena da loro"
"Consulente … di cosa?" chiede Orso che è la prima volta che sente dell’esistenza di un lavoro del genere.
"Non te lo so dire di preciso neanche io. Me l’ha spiegato un sacco di volte ma non ci ho mica capito. Ha qualcosa a che fare con la chimica. Comunque, per starsene all’estero, lo pagano bene. Molto meglio che a noi". Orso guada la sacca con occhi interrogativi. Dalla consistenza, sembra piena di panni sporchi.
Arrivano in una specie di piccola baia. Scendono, l’ufficiale congeda il taxi e fa cenno di seguirlo verso una specie di casetta. Li dentro consegnano i loro passaporti ad un poliziotto male in arnese seduto dietro un tavolo di formica rossa con striature giallastre un tempo bianche.
"E adesso?" Chiede Orso per nulla contento di aver lasciato il suo passaporto a quel tipo.
"Adesso? Adesso usciamo in barca. Guarda là" Indicando un coso con due scafi a banana ed una alberetto ridicolo.
"Cos’è?"
"Un Hobie Cat 16. è il catamarano del mio amico Americano. E queste sono le vele" Dice alzando il sacco blu. Orso non sta più nella pelle, ha quasi paura di sfiorare quegli scafi bianchi.
"Ma io ... io, non l'ho mai fatto .."
"Uff, ancora con questa storia del “io non l’ho mai fatto”? E chi aspetti? Vuoi vivere a bordo di una barca a vela senza mai esserci salito su?
Il discorso non fa una piega.
Mentre l’ufficiale arma la barca orso si lancia finalmente in una domanda:
"Ma tu … Lei … si chiama Antonio?" chiede vergognosamente.
L’ufficiale ride fragorosamente.
"Si certo, mi chiamo Antonio. Vuoi dire che ancora non lo sapevi?"
Orso scuote la testa in senso di negazione.
"Incredibile. Sei ben peggio di come mi avevano raccontato"
"Raccontato … chi?" Chiede stupito.
"Sono cugino del tuo ex ufficiale di macchina del traghetto. Il giorno prima dell’arruolamento a bordo è vento a raccontarmi un po’ di cose di te"
"Almeno ora si spiegano parecchie cose. Ero arrivato a pensare che lei leggesse dentro la testa della gente" Borbotta.
"No, ma quasi. La storia della barca a vela non me l’aveva mica detta"
Risponde strizzando un occhio.
"Guarda, Orso. Davanti alla baia c’è un’isola di sabbia. Non è un ‘isola vera, è artificiale, sono i residui dragaggio del porto. Gli giriamo intorno un paio di volte poi rientriamo alla base"
Via, si parte. Antonio fa tutto lui o quasi. Gli ha dato da tenere in mano una corda, che inspiegabilmente ha un altro nome, che deve mollare al comando di Antonio e poi deve prendere quella che sta dall’altro lato. "Questa è una virata di prua".
Poi arrivano le virate di poppa, e anche qualche craniata su un bastone orizzontale.
L’acqua è orribilmente calda, non rinfresca neanche un po’ e il sole è cocente, ma correre così col vento è emozionante, ha i brividi addosso. L’adrenalina scorre a fiumi. Molta più di quando si sente ribollire il sangue per quelle che lui sente come “costrizioni”.
Quel giro in barca è stato maledettamente bello ed eccitante. Se prima pensava di vivere in mare per sentirsi libero, ora sta diventando un sogno impellente e devastante.
"Allora? Ce la fai a dire qualcosa? Come ti è sembrato?> Chiede Antonio mentre tirano in secca il cat.
"Si, bello". Risponde asettico.
Antonio scuote la testa sorridendo. Ci caverà mai nulla da quell’ostrica lì?

Appena prima di salpare da Al Jubail accade una cosa inaspettata per Orso. Forse la cosa era nota, ma lui, che sta sempre in disparte e non bada a nulla, non ne sapeva niente. A bordo c’e un cambio di consegne. Il comando della nave passa ad Antonio. Il comandante precedente sbarca e rientra in Italia.
"Ti va di fare una partita a scacchi stasera?" Chiede Antonio appena lo incrocia.
"Si, ma …io … Lei …adesso" è in imbarazzo, sta parlando con il Comandante di una nave ora.
"Cos’è questa storia? I comandanti non possono giocare a scacchi?"
Arieccolo che legge dentro la testa della gente, ma allora è un vizio!
"Si, … volevo dire no, cioé … ok, vengo"

Ennesima partita a scacchi, ennesima batosta. Antonio gioca troppo bene per lui.
Che divertimento ci sarà a giocare contro una schiappa?
"Sai Orso, andare in barca a vela, sia per una regata, sia per fare il giro del modo, credo che assomigli molto ad una partita a scacchi. Una partita dove l’avversario è imbattibile. Si chiama Mare"
Si, di questo Orso se ne era reso conto già dalla nave. Il mare puoi solo assecondarlo. Mai andargli contro o sentirsi superiori. Chi comanda è lui.
E Antonio è un maestro. Ben diverso dai professori di scuola. Questo è un maestro di vita. Si vergogna di averlo giudicato così male per tutta la prima parte del viaggio. Stava ricevendo da lui lezioni su lezioni e non se ne era neanche accorto.

"Hai visto com’è diventato docile Orso adesso che è amico del Comandante?". "Giuro che se si mette a fare lo spocchioso lo caccio in mare". "Secondo me si amano" Risatine.
Coglie al volo queste parole, prima di entrare nella saletta TV. Entra, sente sguardi gelidi su di lui. Nessuno dice niente. La rabbia gli monta dentro ma non può farci nulla. Anche Salvato sembra non essere più riconoscente come prima. Il clima a bordo è cambiato e non per la temperatura.

Non è ostilità nei suoi confronti quella che prova, ma freddezza e distacco, come se non si fidassero più di lui. Era ormai considerato una potenziale spia del comandante. L’eroe dei primi giorni è ora un “nemico” dai cui guardarsi.

Intanto la rotta si allunga sotto la carena della nave. Un senso di smarrimento percorre Orso. Molte sono le cose che lo rendono inquieto. Il rapporto con i commilitoni deteriorato, il conflitto interiore tra la sua indole disubbidiente contro la capacità di Antonio a farsi ubbidire, la voglia di prendere il mare per suo conto mentre è dentro la pancia di una nave militare diretta verso una missione che, in fondo, non condivide.
Il paesaggio non aiuta. Piattaforme petrolifere a perdita d’occhio sfilano inesorabili ai lati della nave. Man mano che si avvicinano alla meta, sono sempre più malandate. Segni evidenti di un’incuria dovuta ad un abbandono della manutenzione. Sembrano alberi lasciati avvizzire che implorano un po’ di cura al viandante che passa nelle loro vicinanze.
Per la prima volta si sente triste e prova nostalgia dei genitori, anche loro alberi abbandonati ad avvizzire, muti, ma sicuramente bisognosi dell’affetto di un figlio. Ribelle, ma pur sempre un figlio.

"Cos’hai? Hai una brutta cera"
Soprassale. Antonio lo aveva di nuovo sorpreso alle spalle.
"Ah, è lei. Niente di particolare, pensavo ai miei genitori"
"Già nostalgia di casa? Guarda che la missione è appena cominciata. Comunque questa cosa mi stupisce, pensavo quasi che tu fossi orfano. Non ti ho mai visto né scrivere né correre a telefonare quando arriviamo nei porti" "Semplicemente non andiamo d’accordo"
"E ci credo. Col caratteraccio che ti ritrovi …"
"Ci si mette anche lei ad avercela con me ora?"
"Come “anche”? Oltre a me chi è che ce l’avrebbe con te?"
"Il mondo intero"
Si morde le labbra. Capisce di aver detto una parola di troppo.
Antonio come al solito sembra leggergli nel pensiero.
"Se ce l’hai con i tuoi compagni, non ti preoccupare. Un po’ di sana invidia tiene sveglio l’ambiente. Tra poco avrete tutti modo di incontrare gente che vi odierà davvero. Non ci pensare e leggiti questi, prendi, te li regalo"
Gli allunga due libri e si allontana. Uno sembra un manualetto, ha per titolo : “Questa è la vela” con disegnino sulla copertina quasi infantili.
"Cos’è, roba per bambini?" Urla dietro ad Antonio che è ancora a portata di voce.
"In barca sei ancora un bambino. Hai tutto da imparare. Leggi, che ti fa bene". Risponde di rimando Antonio voltandosi appena.
Orso si rigira tra le mani i due libri. Il secondo, con la copertina azzurrina, s’intitola “Tamata, e l’alleanza”. Non sembra un libro di mare.

Superano le isole, dove c’è il tristemente famoso terminale petrolifero del Kargh, poi, di fronte a Bashra, l’ancora esce dalla sua sede e col clangore della catena che scorre nell’occhio di cubia si tuffa nell’acqua color marrone.
Sono arrivati a destinazione. Sono in porto, ma nessuno si affanna per prepararsi a scendere. Il panorama è desolante. Oltre alla navi militari ci sono una serie impressionante di carrette semiaffondate. Lamiere contorte affiorano dal mare melmoso.

Un’imbarcazione in legno a vela si avvicina lentamente alla nave condotta da un vecchio arabo. è un’imbarcazione ben diversa da quella incrociata nel Mar Rosso, niente a che vedere con le barche che ha potuto vedere sulle foto del manualetto di Antonio.
Orso la guarda ammirato. è vecchia e malandata, ma éelegante. A bordo, sul ponte frutta e verdura dall’aspetto non certo rigoglioso, ma roba fresca. Dopo una lunga navigazione, nonostante i frigoriferi di bordo, la merce fresca fa venire l’acquolina in bocca.
"Controllate che intenzioni ha. Tenetelo comunque distante dalla nave" ordina Antonio al corpo di guardia. Urlano un altolà dalla murata della nave.
Dalla barca, il vecchio alza appena lo sguardo verso le guardie armate, molto in alto rispetto alla sua imbarcazione molto bassa sull’acqua per in grosso carico. Sembra non aver capito. La barca procede come se volesse accostarsi. Dalla nave parte una raffica di mitra verso la vecchia barca. Il vecchio si accascia, ferito.
Orso si scaglia verso la guardia. Strappandogli la mitraglietta dalle mani.
"Che fai, pezzo di un imbecille? Non vedi che è solo un povero vecchio?"
Da terra parte un gommone militare inglese verso la barca del vecchio.
A bordo "Bloccate Orso!" ordina Antonio. Mentre Orso cerca di interpretare quell’ordine, assurdo ai suoi orecchi, viene placcato e reso inoffensivo.
"Mettetelo agli arresti nella sua cabina per grave insubordinazione"
Orso è attonito, non si aspettava una reazione del genere da Antonio.
"SIETE DEI PAZZI" Sbraita orso mentre viene portato via. "Alla prima persona che vedete diversa da voi, non siete capaci di fare altro che ammazzarlo! Cosa volete che poteva farci? Ci avrebbe forse ammazzato tirandoci addosso le carote?? Mi fate schifo! E tu mi fai schifo più degli altri" Rivolto ad Antonio dardeggia odio dagli occhi.
Antonio non fa una piega e passa subito ad altri ordini:
"Appena sarà possibile, interrogate quel vecchio e perquisite la sua barca. E chi sta di guardia tenga qualsiasi cosa che si muove ad almeno 20 metri dalla nostra nave. Signori, qui non si scherza"

Orso, seduto sul letto schiuma dia rabbia. Non riesce a capacitarsi di tutto il nervosismo mostrato dai suoi colleghi e da Antonio.
Sente bussare alla porta della cabina. "Visto che io non posso uscire … entra pure" risponde acido. è Salvato. "Ciao. Come stai?"
"Sto seduto, non vedi? Se sei venuto per fare domande imbecilli, potevi farne a meno"
"Anche tu non eccelli in intelligenza nelle risposte, Non ti chiedi come mai io sia qui?"
"No. Non me ne frega niente"
"Orso, hanno perquisito quella barca. Era imbottita di esplosivo. Volevano darci subito il benvenuto. Ho la sensazione che il tuo intervento verrà giudicato molto male"
Orso sprofonda il viso nelle mani. Ha sbagliato ancora, mentre Antonio, il Comandante ha indovinato per l’ennesima volta.
"E adesso?" Chiede Orso.
"Adesso le cose sono due. O ci sarà un processo per verificare un eventuale tuo coinvolgimento nella faccenda …" "Ma che cavolo vuoi che c’entri io?" Urla.
" Calmati e fammi finire. Oppure il Comandante mette tutto a tacere per evitare il processo. Ma tu non dovresti più essere dell’equipaggio …"
"Potresti dire una cosa al comandante per mio conto?"
"Certo che si"
"Allora digli che se mi vuole sbarcare come indesiderabile, sono pronto. Mi invii pure alle truppe di terra. Se lo ritiene giusto"
"Finalmente usi un po’ di cervello. Lo farò subito. Ma tu promettimi di non fare altre pazzie, ok?" "Cosa vuoi che faccia qui dentro?"
"Intendo quando sarai fuori di qui. A terra"
"Dai già per scontato molte cose …".
Salvato non risponde, si alza e bussa alla porta della cabina. Il piantone di guardia gli apre, lo fa uscire e poi chiude di nuovo la porta.

Ora è in fondo alla scaletta. La sua sacca in spalla. Due militari Inglese lo prendono in consegna. Si volta per guardare quella che, per settimane, è stata la “sua nave”. Gli era sembrato ci fosse stato Antonio lassù, a vederlo andare via invece, ancora una volta, non c’è nessuno a salutarlo.

Uno dei due militari si affanna a parlargli e si sforza per farsi capire, ma Orso non capisce una parola. E in fondo non gliene importa a nulla. Nella sua mente è altrove.
Rimugina di aver avuto un’opportunità immensa per navigare quel mare che di giorno in giorno stava diventando più importante della vita stessa, aveva avuto la fortuna di trovare un amico ed un maestro.
Tutto bruciato a causa del suo caratteraccio.
Pensa di non saper interpretare correttamente gli eventi, né governare a dovere la sua vita. Come potrà mai governare una barca in mezzo all’oceano?

Viene condotto allo Sheraton Hotel, di fronte allo Shat al Arab requisito dai militari Inglesi. Li sono sistemate un po’ di truppe in attesa di smistamento e le frotte di giornalisti venuti a pasteggiare del sangue di poveracci ignari di quello che sta succedendo sulle loro teste.
È ufficialmente in stato di “fermo precauzionale”. è un modo elegante per non dire che agli Inglesi che lui è agli arresti, forse in attesa di una nuova destinazione, forse più a nord, dove ci sono i reparti di terra delle truppe Italiane.

L’ingresso dell’Hotel è protetto da un muro di sacchetti di sabbia pudicamente ricoperti da un enorme drappo con la grande “S” del logo che campeggia sopra. è una precauzione antica, retaggio della guerra Iran-Iraq svoltasi con ferocia proprio lì davanti, in mezzo alle paludi. A Orso quelle paludi fanno paura. Antonio gli ha raccontato che quelle terre hanno inghiottito migliaia di corpi di soldati-bambino, spediti dagli Ayatollah a farsi massacrare dalle mitragliatrici Irachene. Molti di loro sono ancora la sotto, con la loro bella chiave di cartone al collo, convinti dai loro superiori, che con quella si sarebbero potuti aprire le porte del paradiso. Sembra che sia usanza dei potenti di tutto il mondo quella di credere di essere in missione per conto di dio. Del loro dio, ovviamente. Ognuno il suo.
"È comodo avere ognuno il proprio dio, così hai sempre ragione" Pensa Orso mentre guarda quel fiume limaccioso, figlio del matrimonio, poche miglia più a nord, del Tigri e dell’Eufrate … altri nomi che riemergono sbocconcellati dalle nebbie delle reminiscenze scolastiche. Ah, se avesse studiato meglio! Ora si ricorderebbe cosa successe, li migliaia di anni fa.
Ma in fondo … che importa? Sarà successa un’altra guerra. Solo un’altra delle infinite guerre tra altri poveracci, voluta da altri potenti, anche loro, ciascuno a braccetto di propri dei benevolenti.

Non essendo un vero e proprio prigioniero, all’interno dell’Hotel gode di una certa libertà di movimento che sfrutta piazzandosi nella hall a leggere i libri di Antonio.
"Posso sedermi? Disturbo?"
Orso alza gli occhi verso una voce femminile. è una ragazza in piedi davanti a lui, mora, sui 25-30 anni, col classico vestito da araba ma senza il velo. Anche le fattezze del viso sono arabe. Le fa cenno con la mano di sedersi.
"Certo, il divano non è mica mio" Si rende conto di essere stato sgarbato come suo solito, quindi per rimediare continua. "Lei non è Italiana, vero?".
"No, sono Irachena, ma parlo italiano perché sono tanti anni che lavoro per voi"
"E lei come ha fatto a capire che io sono Italiano visto che sto in abiti civili?"
"Ah, lei è un militare? Pensavo fosse un giornalista! Comunque l’ho capito perché sta leggendo un libro scritto in Italiano".
"Giornalista io? Guardi che la prendo quasi come un’offesa!" Dice ridendo.
"In effetti, tra giornalisti e militari non si sa chi stia facendo più danni quaggiù"
"Ora non esageriamo, dai, in fondo siamo qui in missione di pace e vi abbiamo tolto dai piedi Saddam Hussein" dice un po’ scocciato.
Che buffo, prima di partire, e forse sino a 10 minuti prima non si sarebbe mai sognato di difendere in quel modo il mondo militare a cui volente o nolente, apparteneva. Era andato solo per poter navigare, a lui di armi ed affini non importava nulla, piuttosto preferiva pelare quintali di patate in cucina.
"Voi non siete qui in missione di pace, sono altri i tuoi connazionali che sono qui in vera missione di pace. Da quasi dieci anni"
Orso la guarda imbarazzato. Si rende conto che lei parla si Italiano, ma è pur sempre un’Irachena e lui un militare alleato ad una forza che occupa il suo paese.
"E chi sarebbero?"
"Quelli di Emergency. E adesso lavoro per loro anche io"
"Ah si, ne ho sentito parlare. Mi piace quello che fate"
"Mi suona un po’ strano che un’organizzazione anti-militarista come la nostra piaccia ad un militare"
"Che c’entra? Fate del bene e questo mi piace. A modo nostro cerchiamo anche noi di farne"
"Buttando bombe?"
"Senta, Prima di tutto noi Italiani di bombe non ne abbiamo tirata neanche una, anzi, ce le tirano addosso, e poi io non so chi sia lei. Se è venuta qui per attaccare briga, sappia che ha trovato la persona sbagliata. Sono qui agli arresti per aver difeso un Iracheno che ci stava per far saltare in aria, ok? Vada pure a prendersela in quel posto e mi lasci in pace. Anzi, la lascio in pace io, me ne vado".
Chiude il libro stizzito, si alza, prende la chiave della camera alla reception e se ne va, lasciando la ragazza attonita sul divano.

Povero Orso, sembra proprio che non gliene vada una giusta. Stava difendendo uno che lo avrebbe fatto saltare in aria, e ora ha preso a male parole una ragazza. Era pure carina, maledizione. E quando la rivedrà più ora?
Si sciacqua il viso con l’acqua che non ne vuol sapere di scendere fredda dal rubinetto, come a lavarsi via la figuraccia. Mentre le mani scorrono giù lungo il viso, scopre gli occhi, si guarda allo specchio. Non lo fa spesso. Si guarda. E parla allo specchio come se parlasse ad un altro.
"Ma sei proprio un coglione …". Si asciuga il viso in fretta, prende la chiave della camera dal letto e si riprecipita giù nella hall. Appena le porte dell’ascensore si aprono, vede la ragazza, la vede che si alza dal divano, abbraccia con forza un uomo, i due si cingono la vita e si allontanano.
Orso attonito, non è neanche uscito dall’ascensore. Preme il bottone N°6. Torna in stanza.

Quella mattina stava ciondolando come al solito nella hall dell’albergo con i suoi due libri in mano. Era ormai un’abitudine. Di solito si piazzava a leggere sul divano, sperando quasi che quella cosa potesse rievocare la magia dell’incontro con la ragazza Irachena. Oggi non era riuscito ad aprirne neanche uno dei due. Eppure quei libri per lui significano molto. Sono prima del loro contenuto, il ricordo della persona che lo ha guidato, accompagnato per mano nei momenti più importanti del trasferimento dall’Italia. Antonio, ora che è lontano, diventa quasi una figura quasi mitica e quei libri sono come il cordone ombelicale che tiene in vita l’astronauta nei voli extraveicolari.

Mente passeggia su e giù, gli si avvicina il ragazzo della reception e, gli porge una busta anonima. C’è il suo nome in indirizzo. La apre.
È di Antonio, ma non è una lettera ufficiale. Dice che un tizio non ben identificato lo vorrebbe incontrare la sera stessa a cena, per proporgli un’occupazione previo accordo con il Ministero della Difesa. Antonio chiude precisando che, a suo parere, sarebbe una soluzione ideale per toglierlo dagli impicci e quindi di non emettere giudizi impulsivi “come al solito”.

La sera, mentre aspetta nella hall, ha un tuffo al cuore. Vede arrivare la ragazza araba con il tizio con ci l’ha vista andare via. Lei indica Orso e si avvicinano.
"Piacere, è lei Orso?"
"Si, sono io".
"Selima mi ha raccontato la sua storia. Mi sono permesso di controllare ed ho scoperto che effettivamente c’era stato un tentativo di attacco fallito ad una nave militare Italiana. Ho poi parlato col Comandante"
"Ok Sherlok Holmes, ma lei chi è e da me che vuole?"
"Mi chiamo Luca, piacere" risponde tendendo la mano, "Collaboro anch’io per Emergency, dobbiamo stare un po’ di tempo qua a Bassora e ci servirebbe protezione. Un militare con noi ci farebbe molto comodo e lei uscirebbe da questa situazione imbarazzante per tutti"
"Fare la guardia armata? Ma io … non l’ho mai fatto ... Non ho mai sparato un colpo in vita mia. Io sulla nave facevo il cuoco"
Selima e Luca si guardano e sorridono.
"Lo so, lo so, il Comandante mi ha detto un po’ di cose su cosa sa fare ed alcune “raccomandazioni”".
"Raccomandazioni … di che genere?" Chiede Orso con già la pressione sanguigna in crescita. Non sopporta che altri decidano su come debba comportarsi lui.
"Tranquillo, tranquillo, diciamo che ci ha dato raccomandazioni di carattere “tecnico”. E poi qualcuno che dia una mano in cucina ci fa altrettanto comodo. Che ne dice? Ci vuole pensare su?".
"E a cosa dovrei pensare? Avete già deciso tutto voi …"
Selima gli prende il polso e, fissandolo intensamente, interviene:
"Calmati. Noi non abbiamo deciso un bel niente. Fare lo scontroso non ti aiuta. Il destino è nelle mani di Allah, ma ci da sempre la possibilità di scegliere. In questo momento sei ad un bivio. Una delle strade potrebbe tirarti fuori da qui"
Orso sprofonda dentro quegli occhi neri come la pece. Non aveva mai visto occhi come quelli. Sono grandi e così neri che non si distingue la pupilla.
Mentre lui la guarda, lei continua a stringerli dolcemente il polso.
"Ehmm … scusate, disturbo? ". Luca, con un sorrisino beffardo, interviene.
"Domattina passiamo di nuovo di qua. Pensaci su stanotte. Se accetti la nostra proposta fatti trovare per le sei con tutte le tue cose pronte"
"Alle sei? Così presto?".
"Al mattino presto si viaggia meglio, poi il sole picchia troppo forte e noi non abbiamo l’aria condizionata". "Se è per questo non c’era neanche nelle cucine della nave e ci stavo dentro 24 ore su 24". Borbotta Orso.
"Meglio così" ribatte Luca, "almeno non soffrirai i disagi del clima. Qui è micidiale". Si alzano per andarsene. Selima lo saluta "A domattina, allora", sorride, non aggiunge altro e, coprendosi i lunghi capelli neri con un fazzoletto bianco, si avvia all’uscita verso il grande muro di sabbia dell’ingresso.
"Beh, spero che questo sia un arrivederci" Luca gli stringe vigorosamente la mano e si avvia ad inseguire la sua compagna.
Orso guarda allontanarsi quel corpo femminile, coperto da una lunga, informe, tunica nera e nota che, camminando, le forme di Selima si muovono sinuosamente e lentamente dentro il vestito, come un serpente si arrotola tra le sue spire dentro un sacco.
Seppure sia una visione ben diversa dai leggeri vestiti occidentali, dove tutto è ben visibile ed inequivocabile, Orso ne è affascinato.
Quell’incedere sinuoso lo porta, attraverso istinti primordiali, poi verso l’immaginario, verso la mimica dell’atto sessuale, la ritmicità ondulatoria, l’analogia tra sessualità e il mare.
Già, il mare.
Come sembrano lontani i giorni del trasferimento attraverso il Mediterraneo. E come si sente diverso dall’orso sguattero sul traghetto. Si sente molto più maturo, gli eventi lo stano aiutando a forgiarsi per affrontare, un giorno, il mare. Paradossalmente, gli stessi eventi, sembrano portarlo sempre più lontano dall’agognato giorno. Anche nell’immediato, accettare la proposta di Luca, significherebbe azzerare le opportunità di navigare.
Vorrebbe passare la notte a valutare bene la proposta, invece appena il sonno prende il sopravvento, sprofonda dentro enormi occhi neri, per essere poi catapultato dentro un vortice luminoso ad inseguire un’eterea silouette in controluce, che si allontana danzante.
All’improvviso si desta angosciato, con il cuore a mille. Sembra ancora buio fuori, nessuna luce trafila dalle pesanti tende, poste in modo stabile per via del coprifuoco, sulle finestre.
A volte è difficile, vivendo dentro quella prigione dorata, rendersi conto che fuori c’è ancora una guerra in corso, che la fuori c’è chi muore.
È ancora molto presto, si rigira per godersi le ultime comodità. C’è da giurarci che al campo sarà certamente una solfa diversa.
Alle sei, puntuale, è giù nell’atrio. Dopo una decina di minuti arriva Luca.
"Bravo, vedo che siamo puntuali".
"IO, sono puntuale, tu sei arrivato dopo"
"Uff, come sei fiscale, sono solo pochi minuti. E siccome siamo in una paese Arabo, è come se fossi in anticipo. Inoltre ho già sbrigato tutte le pratiche necessarie per portarti con noi"
"Hai già dato per scontato di trovarmi qui. E se mi fossi rifiutato di accettare la vostra proposta?"
"A dire la verità è quello che pensavo anch’io. È stata Selima ad insistere, era sicurissima che avresti accettato. L’avevi già informata della tua decisione?"
"E come avrei fatto? Con i piccioni viaggiatori? Dov’è ora? Al campo?"
"See … al campo … è qui fuori, in macchina che ci aspetta. è voluta venire per forza, con la scusa di aiutarmi a sbrigare le pratiche"
"Con la scusa?"
"Mamma mia che testone che sei, non capisci che è venuta per te?"
"Ma che dici? Io non ti voglio mica rubare la donna!".
"Ma che dici tu! Cosa ti sei messo in testa? Sono felicemente sposato, non sono più un ragazzino in cerca di sbarbatelle per il mondo. Tu piuttosto, datti da fare, che li, sfondi una porta aperta" Mentre dice questo Luca gli strizza l’occhio e lo spinge fuori. I due militari di guardia salutano Luca e li lasciano allontanare senza alcuna formalità.
"Proprio tutto pronto, eh?" Dice Orso. Luca sorride.
Mentre si avvicinano all’auto lei è seduta nei sedili posteriori. Non fa il minimo cenno di voltarsi.
Orso entra in macchina, anch’egli posteriormente, e le si affianca. Selima non fa una mossa. "Ciao". Saluta Orso. "Sabah qir" risponde fredda Selima "significa 'buongiorno' in Arabo".
"Si, ok, Sabbalì anche da parte mia". Risponde scocciato ed anche un po’ disorientato dal comportamento freddo di lei.
"Orso siediti davanti, non sono mica un tassista"
"Fai sedere davanti lei"
"Meglio di no, in Iraq sono di mentalità molto aperta, ma è bene che Selima stia seduta dietro".
"Andiamo bene" Commenta Orso mentre si trasferisce nei sedili anteriori.
"Non prenderla cosi. Andando in un qualsiasi paese straniero con cultura diversa dalla nostra e, a maggior ragione se si va per aiutarli, è bene comportarsi in modo da non creare il benché minimo disagio. Nel nostro lavoro di medici dobbiamo essere stimati al massimo e la stima prima di tutto rispettando le persone, il loro pensiero e poi con il lavoro svolto"
"Anche se le usanze sono abominevoli nei confronti delle donne?"
"In “questo” caso, saresti stato seduto dietro tu. Non mi pare una cosa abominevole. Capisci cosa intendo?". "Boh, si, può darsi"
Lungo il tragitto vede povere case di fango, bambini più piccoli con il moccio al naso che guardano le poche auto passare, i fratellini più grandi giocano correndo qual e la tra le macerie e la polvere. Tutti rigorosamente a piedi nudi.
"Non si feriscono i piedi?"Chiede Orso.
Interviene Selima che era stata silenziosa sino a quel momento.
"Essere scalzi o meno non fa molta differenza quando saltano sopra le mine"
"Succede spesso?"
"Lo vedrai al nostro campo, sono le prime vittime di tutte le guerre"
Continua Luca:
"Le mine sono odiose. Le più micidiali erano quelle Italiane della Valsella, per fortuna sembra che ora non le producano più. Le persone camminando incocciano in un filo teso che innesca una piccola carica per sollevare al mina da terra di circa un metro, a questa altezza la mina scoppia. Falciano le persone al petto ed agli occhi. Ma la cosa più vomitevole è che la carica è studiata non per uccidere ma per mutilare. Un ferito urlante per un esercito sia una piaga più terribile che la perdita in battaglia di uomini e mezzi. Queste mine colpiscono in prevalenza adulti che cercano di lavorare i campi. I bambini oltre ad essere vittime delle mine vengono falcidiati da una crudeltà ancora più subdola. Le varie guerre che si sono succedute hanno lasciato sul campo moltissime bombe inesplose. Per recuperare l'alluminio ed il rame che contengono i bambini cercano di disinnescarle. Quando va storto qualcosa saltano in aria, quando va bene il risultato del loro lavoro viene pagato al mercato nero 2 dollari"
Orso si trova immediatamente catapultato in una dimensione nuova, dove la vita umana vale meno di due dollari. è in quella dimensione che andrà ad aiutare coloro che lavorano cercando di ricomporre poveri esseri umani ridotti a carne da macello.
Il campo dove lavorano Selima e Luca si presenta ad orso come una baraccopoli polverosa formata da container aventi ognuno una sua funzione specifica.
La giornata scorre velocemente per Orso, accompagnato dalla premurosa Selima che gli spiega come funziona l’organizzazione del campo.
Orso è frastornato sia dalla presenza di lei che della quantità di gente sofferente in attesa di cure. Si sente un pesce fuor d’acqua con la sua tuta militare ed il mitra a tracolla. Per tutto il giorno non dovrà fare altro che gironzolare per il campo per farsi vedere e controllare che non ci siano movimenti sospetti. Luca gli spiega che la sola presenza di un militare, è un forte deterrente e non ci saranno problemi. Verso l’ora di cena Orso lascia Selima e si avvia verso la cucina dicendo "Vado a dare una mano. Li mi trovo più a mio agio".
Il momento di aggregazione dei volontari è la sera, unico momento in cui tutti riescono a tirare un po’ d fiato e scambiarsi le impressioni della giornata. Stasera, invece delle suture, è Orso l’argomento principe.
Gli si avvicina un tizio barbuto con un faccia accigliata che sembra quasi volerlo rimproverare. Invece dice: "Piacere, mi chiamo Gino, abbiamo apprezzato molto il tuo arrivo. Ora siamo un po’ più tranquilli e, cosa non secondaria, abbiamo mangiato da leccarci i baffi. Dal mio punto di vista ritengo abbiamo fatto un’ottimo acquisto. Confido che questa soluzione possa essere buona anche per te"
"È solo il primo giorno, ma credo di aver fatto bene a scegliere di venire. Grazie anche per i complimenti ma le assicuro che preparare il pasto in una cucina che non dondola e le cose non scappano di qua e di la, è stato un gioco da ragazzi"
"Sarà come tu dici. Evidentemente il nostro cuoco, sta cucina non riesce a tenerla ferma" Risata generale. "E mi raccomando, dammi del tu, sennò mi fai sentire vecchio. Ora scusatemi, sono stanco, vado a dormire"
Dopo Gino, ad uno ad uno sia accomiatano tutti i presenti. Solo Selima sembra non volersene andare e Orso è fermamente deciso a non muoversi di lì finché non lo farà anche lei. Rimangono soli.
"Non è un problema che siamo qui da soli?". Chiede Orso.
"No, non c’e problema, non ci vede nessuno. Eppoi è Luca che è un po’ troppo fissato con il metodo "politically correct". Con il fatto di non creare problemi, sta diventando più integralista di un mussulmano sciita".
"Meno male, ero un po’ a disagio …".
"Mi è piaciuto quello che hai detto stamattina"
"Cos’ho detto di particolare?"
"Quella cosa sul rispetto delle donne. Lo pensi davvero?"
"Certo che lo penso, non vado mica in giro a dire cazzate".
"Non dico questo. Ho visto molti dire una cosa e, alla prova dei fatti, comportarsi in modo completamente diverso"
"Di solito mi metto nei guai perché parlo ed agisco allo stesso modo …"
Orso diventa serio. Selima nota il velo di tristezza e cambia discorso.
" Piacciono anche a te i libri vero? Io ne vado pazza, appena ho un po’ di tempo libero, sto sempre a leggere" Orso arrossisce ancora. "No, ho studiato poco ed ho lasciato la scuola presto".
"Ma cosa c’entra? Molti qui lasciano la scuola presto per andare a lavorare, ma in tanti amano i libri. E poi, ti ho conosciuto perché stavi leggendo dei libri scritti in Italiano, non ricordi?"
"Si, è vero sto leggendo il primo libro della mia vita, parla di un tizio che nella su vita non ha fatto altro che navigare di qua e di la. E me lo ha regalato Antonio, il mio Capitano. Anzi, il mio ex Capitano"
"Non capisco, prima ti fa i regali e poi ti caccia via?"
"Fai poco la spiritosa, devo ringraziarlo di molte cose"
"Quando parli di lui ti si accendono gli occhi, ne sei innamorato?"
"Ti ci metti anche tu ora? Anche sulla nave stavano cominciando a prendermi in giro con questa storia, maledizione! Antonio per me è stato un maestro, ficcatelo bene in testa. Mi ha insegnato più cose lui in poche settimane che mio padre in tutta la vita. Io amo il mare, ho fatto di tutto per imbarcarmi e questo lui l’ha capito subito, mi ha condotto passo passo a scoprirne il fascino. Come potrei non essere eternamente riconoscente ad uno come lui?"
"Si può essere eternamente riconoscenti solo ad Allah. è Lui che te lo ha fatto conoscere, e che ci ha fatti incontrare. Tutto sta scritto".
"No, no, scusa, ma io sono Ateo"
"Non credi neanche al Destino?"
"L’unico Destino sicuro è quello dell’acqua che scava la pietra e poi finisce al mare"
"Non capisco ma è bello quello che dici. Il mare ti piace così tanto? Il mare è cattivo"
"Ma cosa dici? Il mare non è cattivo, ma va vissuto, va rispettarlo e non va sfidato mai, perché è un giocatore troppo forte. Un giorno mi costruirò una barca tutta mia e me ne andrò in giro per il mondo. Vivo solo per questo"
Selima abbassa gli occhi e, con voce triste dice:
"Pensavo che per te ci fossero cose più importanti per cui vivere"
"Più importanti del mare? E cosa mai ci può essere?"
Selima si alza di scatto, e mentre si avvia, dice:
"È tardissimo, vado a dormire, domattina ho un sacco di persone da curare"
"Buonanotte" gli urla dietro Orso, ma lei non gli risponde. Esce anche lui dalla stanza e vede la figura di lei che si allontana velocemente. Ha la sensazione che lei stia piangendo.
La mattina dopo Selima non si vede al campo. Orso non è tranquillo. "Luca, hai visto Selima? Hai un’idea di dove sia?"
"No, non lo so. O meglio, ogni tanto, quando sparisce dal campo va a trovare della gente vicino al porto, c’e una specie di piccolo squero dove costruiscono barche in legno. Hai presente i “dhow”?"
"Certo che ce l’ho presente, è con uno di quelli che il vecchietto ha tentato di farci saltare in aria. Vado giù a vedere, ti dispiace?"
"Vai pure, così controlli che non le succeda nulla"

Mentre si appresta ad arrivare al cantiere, la vede camminare intorno ad un relitto di un dhow sfiorandolo dolcemente con le punta delle dita. Lei lo vede, abbassa la testa e se ne va.
Orso va verso il relitto, si avvicina, lo scruta. Seduto sui talloni, a pochi passi c’è un vecchio dall’età indefinita. Forse 60 anni, forse 50. Oppure soli 40 anni, bruciati dal sole cocente. L’arabo lo guarda e in Italiano stentato dice:
"Selima, da quando ha perso suo padre e due suoi fratelli dentro burrasca, viene sempre a trovarci. È come sorella per noi. Questa è barca che abbiamo costruito per suoi parenti. è buona barca, guarda. Tempesta buttata a terra ma scheletro essere tutto buono. Solo poco legno fuori rotto. Era buona barca. Tempesta troppo cattiva, spostato carico, rovesciato barca e poi buttata a riva. Abu, Esham e Mohammad niente più. Che Allah guardi le loro anime"
Orso rincorre Selima. Quando le è vicino, con il fiato grosso non riesce subito a parlarle. è lei che prende la parola.
"Capisci ora perché odio il mare? Mi ha portato via le persone che amavo di più ed ora... ora che ho trovato un’altra persona da amare, il maledetto vuole portarmi via anche questa".
Una lacrima le riga la guancia. Orso con il dito indice le solleva il volto, la costringe a guardarlo negli occhi.
"Vorresti dire che ti sei innamorata di me? Santo cielo, Selima, ma possibile che di tutto il personale di Emergency, proprio di me?
Luca, ad esempio, è un bravo ragazzo no? Non ha grilli per la testa, precisino. NO, lui è sposato... aspetta ... l’altro là, come si chiama ... Yussuf. è pure Iracheno come te... l’ho visto sai come ti sbava dietro!"
"Possibile che devi dare in escandescenze anche quando ti dicono delle cose belle?"
Selima ha gli occhi gonfi di lacrime che scendono a fiumi. Vorrebbe urlare, ma non ce la fa.
Orso la guarda, si siede pesantemente a terra alzando una nuvola di polvere.
"Beh, anch’io sono innamorato di te"
Selima esterrefatta ribatte "Ma allora perché mi vuoi scaricare ad altri?"
"Ma in vita mia ho solo combinato dei grandi casini! Come puoi solo pensare a me?Tu sai fare il tuo lavoro, sei brava, sei buona, i pazienti ti adorano, io non merito una come te. Io non sono neanche capace di fare il soldato ... il mestiere più stupido del mondo. E poi, porca puttana, non riesco ad andare d’accordo neanche con me stesso, come credi che possa..."
"E con il tuo mare allora? Come penserai di andarci d’accordo? Lo sai cosa fa? Con quello non si può discutere, ti ammazza e basta!"
"Senti, non esagerare. Ok, ti è successa una disgrazia terribile e ti capisco, ma i marinai mica muoiono tutti in mare!"
"Ma possibile che non capisci che ho paura che succeda anche a te?" Adesso Selima grida tutta la sua disperazione. Orso nota che alcune persone li stanno guardando.
"Selima, copriti il capo e andiamo al campo".
"Lasciami stare!"
"Per favore, calmati, andiamo al campo, poi la mi prenderai a calci, pugni, tutto quello che vuoi, Ok? Credo che sia meglio smammare da qui alla svelta"
Dice questo mentre vede tre ragazzi robusti venire verso di loro. L’aria non è delle più tranquille.
"Selima, non andiamo in cerca di guai, Non farebbe bene al lavoro dell’ospedale".
"Si, hai ragione. Intanto tu incamminati, ci parlo io con loro"
Orso si avvia mentre Selima li aspetta. Orso li sente parlare animatamente. Uno dei tre ragazzi una volta raggiunta Selima, la strattona ed un’altro le molla un ceffone. Orso si blocca, fa per tornare indietro. Il terzo ragazzo se ne accorge, ferma gli altri due. Urla qualcosa in arabo a Selima, come per intimarla di andarsene alla svelta. Cosa che lei fa immediatamente. "Cammina due passi avanti a me, Orso. Non voltarti, io ti seguo" Mentre dice questo si alza il velo sui capelli.

Quando Luca li vede arrivare, si precipita da loro. "Cos’è successo?"
"Niente" Lo stoppa seccamente Selima.
"Siete sicuri?" Chiede Luca rivolto ad Orso. "Sicuramente lei ha pianto, ma non è questo che mi preoccupa, avete per caso avuto una discussione con qualcuno?"
Selima ed Orso si guardano. Non sanno se vale la pena di far preoccupare Luca raccontandogli la verità.
"Ragazzi, state attenti. Sembra che la situazione stia peggiorando maledettamente. abbiamo appena ricevuto voce di alcuni occidentali presi in ostaggio, forse anche italiani".
"Vabbé, ma noi stiamo qui con un ospedale. Siamo qui per far loro del bene" Tenta timidamente Orso "Non tutti sono d’accordo che gli iracheni siano felici e contenti".
"Ma che stai dicendo Luca?"
"La politica è una brutta bestia, ragazzi..."
Passano i giorni. Selima e Orso, su pressione di Luca, si incontrano pochissimo e solo in presenza di altre persone.
Orso, per ingannare il tempo libero, nelle ore in cui è certo di non incontrare nessuno, si dirige sempre più spesso verso il cantiere. Ogni tanto incontra il tizio dall’età indefinita che sembra contento si parlare con lui mentre sbriga i lavori del cantiere. è un Iracheno Cristiano. Con la scusa di rinfrescare il suo Italiano imparato lavorando sulle navi, costringe Orso ad imparare alcune parole di Arabo. Intanto Orso guarda e scruta il lavoro. Quasi tutto svolto a mani nude, con raspe che sembrano uscite dal museo di Baghdad, maceti e pialle e fuoco e bitume. Gocce di sudore cadono ininterrottamente dalla fronte sulle assi, l’odore del bitume tenuto liquido da una fiamma acre di rifiuti messi a bruciare si mescola col tanfo dello sporco intriso dei corpi dei lavoratori sotto un sole cocente per nulla mitigato da diaframmi di canne intrecciate a forma di stuoia messe alla bell’e meglio per creare un po’ di ombra.
L’arie è quasi irrespirabile, ma la magia di vedere crescere giorno dopo giorno da pezzi informi, uno scheletro e poi via, via come un puzzle senza istruzioni, uno scafo, ed ancora, pezzi su pezzi, la coperta, le attrezzature ed infine un vero dhow, rapisce completamente Orso ed i suoi pensieri.
Il giorno del varo, negli occhi di ognuno di quei uomini, Orso sembrava quasi a scorgere la commozione di un parto, la commozione della nascita di un figlio.
Si, una barca costruita così è un figlio. è una cosa viva, con una sua anima. Forse anche con un suo carattere. Un dhow è costruito per essere docile, va domato solo quando serve. Chissà, forse come un figlio va capito ed assecondato.
Va aiutato a trovare il suo Destino...

La situazione si complica. La madre di Selima è incappata su una mina. Ha bisogno di cure. Sicuramente di una protesi.
"Ho un po’ di soldi guadagnati qui. A te faranno comodo"
"Ma figurati se accetto soldi in regalo. Non se ne parla nemmeno"
"Ok, allora ti compero la barca. Vendimela"
"Non te la posso vendere. Quella barca è maledetta. Non la venderei a nessuno che io voglia bene e d’altronde nessuno la vorrebbe"
"Non dire stupidaggini. Le maledizioni non esistono"
Orso capisce che la discussione su questa strada non lo porterà a nulla. Selima è troppo orgogliosa per accettare soldi e troppo impaurita per dare la barca proprio a lui. Allora cambia registro e passa all’attacco:
"Senti, visto che credi al destino, ti dico che quella barca ha già avuto il suo tributo di sangue. Non succederà più nulla a coloro che la rimetteranno in mare"
"E da quando credi nel disegno di Allah?" Chiede sarcastica Selima.
"Lascia stare gli altolocati. Chiamiamolo Destino e basta. Ti faccio una proposta..."
"Sentiamo"
"Se arrivasse qui uno sconosciuto, una persona con cui non hai legami di nessun tipo, interessato alla barca, mi prometti che gliela venderai?"
Selima lo guarda attonita. Era convinta che Orso volesse quella barca a tutti i costi.
Ancora con lo stupore nella mente, annuisce con il capo. Orso la bacia in fronte e scappa.
Corre Orso, corre a più non posso, giù al cantiere. Chiama a gran voce ancor prima di arrivare.
Sbuca la testa dell’ometto del cantiere da una finestra. "Ah, sei tu" dice. "no fa casino, qui pericoloso per te" "Come sarebbe “pericoloso”?" ansima Orso "sino a ieri andava tutto bene no?"
"Cose cambiano. Quelo buono oggi no buono domani, quelo no buono oggi, buono domani"
"Dai, Filosofo, fammi entrare, ho da dirti una cosa".

"Selima, c’è un uomo che ti deve parlare" dice Luca.
"Cosa vuole?"
"Non saprei, chiede di te. Rimani in vista, mi raccomando, così possiamo controllare che non succeda nulla"
"Ok, grazie. Sei sempre molto caro".
"Dovere, Madama" Risponde Luca mimando un inchino. Poi chiama "Orso, vieni qui per favore, ho bisogno di aiuto". Orso si avvicina "cosa devo fare?".
Luca lancia gli occhi verso Selima che si allontana e gli dice sottovoce "niente, in caso avessimo problemi, siamo pronti ad intervenire entrambi".
Orso si volge verso la ragazza che si sta allontanando.
"Ah, capisco. Ma stai tranquillo, non le succederà nulla".
"Come col vecchietto che vi voleva far saltare in aria?".
"Non ti facevo così stronzo. Guarda che non ci metto molto a farti la faccia come un pallone".
"Ssstt … non fare casino. Non ti ho chiamato qui per azzuffarci tra noi, ma per difendere lei in caso di bisogno" "Ti dico che non ci sarà bisogno di nulla. Io so perché quell’uomo è qui"
"Uh, va bene, va bene, non ti scaldare. Tié, fa finta almeno di aiutarmi, così non diamo nell’occhio"
"Vedrai, tra poco tornerà sana e salva e con un bel pacco di soldi"
"Cos’hai combinato, Orso?" chiede Luca.
"Adesso lo saprai, sta tornando"
Selima arriva e si siede con la faccia sconvolta.
Luca la guarda e con fare apprensivo la interroga "Che ti ha detto?"
"Ha detto che mi vuole sposare"
"Cosa ti ha detto?" Salta su Orso.
"Ha detto di avere molti soldi per curare mia madre. Ma solo se lo sposo"
"Ahi Ahi … " esclama Luca, guardando in basso, evitando di incrociare gli occhi di Orso, il quale nel frattempo è diventato rosso paonazzo "Maledetti bastardi, figli di puttane … non era questo che ti …non ti ha detto nient’altro?"
"No, che altro avrebbe dovuto dirmi?"
"Ti doveva dire solo che voleva comperare la tua barca" urla Orso sbracciando "ho dato tutti i miei soldi al Filosofo del cantiere perché organizzasse tutto"
"Cos’hai fatto, tu?"
"Si insomma, Quell’energumeno avrebbe comperato la barca con la metà dei miei soldi. L’accordo era che loro si sarebbero divisi il 50% della somma restante e mi avrebbero passato la barca dopo averla riparata, ma senza farti sapere nulla"
"Voglio sperare che tu i soldi non glieli abbia già dati …vero?" Interviene Luca.
"Speri male" Risponde orso dandosi brevi ritmici pugni sulla fronte.
"Non ci posso credere" Dice Selima scuotendo la testa "È proprio vero che non ne combini una giusta" "Si. Una ne combino. Adesso vado giù e li ammazzo".
"Tombola" Esclama Luca. "Senti, ora tu non vai proprio da nessuna parte. Se vai giù tu o ti ammazzano oppure fai casino e ci verranno a disfare l’ospedale. Quindi te ne stai buono qui. Andremo io e Yussuf" Appena finisce la frase si allontana lasciandoli soli.
"Ma cosa ti è venuto in mente?" Chiede Selima"Non so che somma tu possa aver dato loro, ma con la disperazione e la miseria che c’è quaggiù, anche una sola tua paga mensile farebbe andare via di testa chiunque …"
"Li giustifichi anche?"
"Non li giustifico, ma li capisco. Tieni inoltre conto che non hanno nessuna remora morale contro nei tuoi confronti. Nei nostri, in quanto operatori in un ospedale si, ma tu sei un militare, un militare straniero ed infedele che occupa la nostra terra e che vuole portarsi via una delle loro donne …" un attimo di silenzio Selima abbassa gli occhi e poi con un groppo in gola, termina "o meglio, pensano che tu voglia".
Volge lo sguardo verso il muro e scoppia a piangere.
"Ma che piangi? Cosa piangi eh? Per un cretino?"
Selima si butta su di lui e lo abbraccia forte tra i singhiozzi.
"Vuoi capirlo o no che non sono l’uomo giusto per te?"
"Permetti che questo sia io a deciderlo? So benissimo che un giorno il tuo turno qui finirà e te ne andrai. Ma almeno lasciami vivere bene questi momenti. Finché sei qui. Ne ho davvero bisogno ora"
"Sei pazza"
"Non dire così, mi fa male"
"E perché? A me i pazzi piacciono da morire"
Le prende i viso tra le mani e la bacia.

Luca e Yussuf rientrano a ora di cena.
"Dove eravate finiti?" Chiede Gino con tono misto tra il preoccupato, arrabbiato e contento di rivederli. Luca si volta vero Orso e gli indirizza un fortuito cenno di pollice alzato sinonimo di “ok” seguito da un roteare dell’indice da "parliamo dopo" e si siede al tavolo di Gino.
Orso li osserva con trepidazione. Parlottano a bassa voce, Gino non alza lo sguardo dal piatto. Mai un mutamento di espressione se non alcuni aggrottamenti delle sopraciglia.
Quando Gino se ne va, finalmente Luca si avvicina al loro tavolo.
"Ho una buona notizia ed una cattiva" dice.
"Ok, comincia da quella cattiva"
"Invece inizio da quella buona. È andata meglio del previsto. Il Filosofo del cantiere deve averti preso a ben volere e non aveva ancora dato i soldi a quel delinquente. Quando ha saputo la storia, ha detto che se fosse venuto a reclamare i soldi l’avrebbe riempito di botte"
"Speriamo che non le prenda lui le botte. è vecchio e l’altro è un giovanotto"
"Il Filosofo, come lo chiami tu, non è uno sprovveduto. Essendo cristiano ha sempre dovuto difendersi, sin da bambino. Senti, non ho finito. Ha detto che se vai giù ti restituisce i soldi"
"Magnifico. Ma la cattiva notizia qual’è?"
"Gino non ha gradito il trambusto. Ha paura che ci vada di mezzo l’ospedale".
"Si, capisco. E pensare che io dovrai stare qui per difendervi"
"Non te la prendere troppo. La situazione non è facile per nessuno. Anche chi sta qui da anni, prima o poi commette errori"
"Hinsh-hallah, anche questa finirà bene. Ora scusatemi devo andare da mia madre"
Selima si commiata. Alzandosi dal tavolo sfiora la mano di Orso. I due si lanciano un’occhiata furtiva, ma non abbastanza breve per non ripassare nella mente il momento d’amore passato poche ore prima. Appena Selima si s’ allontanata, Orso interviene:
"Rimane il problema che Selima non ha i soldi per curare sua madre, Lei non vuole i miei ed io sono sempre senza barca"
"Gino sa anche questo. Della barca ovviamente non ce ne importa un fico secco, per la mamma di Selima invece ha suggerito, se sei d’accordo naturalmente, che tu faccia una donazione al nostro ospedale. Selima non ti può impedire questo. Siccome sua madre è in cura qui da noi ... due più due...".
"Quell’uomo è un genio!"
"Diciamo che sa sbrogliare le matasse" Luca gli strizza l’occhio. "Ora devi andare al cantiere a recuperare i tuoi soldi. Yussuf, accompagnalo. Prendete la macchina e non allontanatevi uno dall’altro. Fate presto, io vi aspetto qui. Se non vi vedo tornare entro mezzanotte vi vengo a cercare"
"Va bene" "Ok" Dicono in coro Orso e Yussuf.
Prima di uscire dalla porta Orso si ferma. Esita un attimo. Si volta : "Luca, sei un amico. Non so come ringraziarti"
"Oh, troverò il modo di fartela “pagare”, maledetto testone, non ci pensare" Risponde ridendo.

Yussuf ed Orso rientrano poco prima della mezzanotte. Hanno fatto tardi, Luca era preoccupatissimo e ormai pronto a muoversi. Ma non c’erano stati problemi. Orso si era messo a parlare dei suoi sogni di navigazione con il Filosofo.
Il Filosofo l’ha quasi convinto che il dhow di Selima è troppo grande per essere portato da una sola persona. Con i soldi che avanzavano dalla donazione all’ospedale, lui, il Filosofo, sarebbe stato in grado di costruirgli una barca più piccola. Nuova, tutta per lui, per essere portata da una sola persona ma in grado di solcare i grandi oceani. Oceani che il Filosofo non aveva mai visto, ma di cui aveva sentito tanto parlare dai pochi pescatori che avevano usato uscire dal loro Golfo Arabico.
Oceani che i suoi occhi disegnavano mentre parlava. Sembravano danzare dentro quelle onde. E sembrava quasi che vedesse già la barca di Orso disegnata dalle onde. Una barca fatta apposta per assecondarle, mai per attaccarle. Si, Filosofo sarebbe stato fiero che una sua barca, una creatura nata dalle sua mani, che avrebbe visto quei mari.
Orso era ora di nuovo sognante di grandi spazi, di orizzonti ben diversi da quello sabbioso del deserto Iracheno. Immerso in un sogno tanto bello. Troppo.
Intanto per lasciare il campo avrebbe dovuto aspettare il congedo. I tempi sarebbero stati compatibili con la costruzione della barca?
E come avrebbe fatto con Selima? Ora sarebbe stato davvero difficile lasciarla.
Tutta la notte Orso la passò immerso in questi pensieri.

La mattina seguente, durante la colazione lo raggiunge Selima. Sembra preoccupata.
"Come sta tua madre?" Chiede Orso.
"Le ferite stanno guarendo bene. I prossimi giorni dovrebbero essere già in grado di prendere le misure per la protesi. Mi hanno detto poco fa che dovrebbe arrivare una donazione al nostro ospedale"
"Davvero?" Risponde Orso cercando di fare il più stupito possibile. "Beh, questa è una buona cosa no? Cosa c’è che non va?"
"Sembra quasi che non sia più interessata alla vita. La sento spenta"
"Le passerà. Forse è ancora sotto shock. Piuttosto, dimmi, come è successo? Voglio dire, possibile che non sapesse di fare sempre la stessa strada? Di non lasciare il percorso sicuro?"
"Lo sapeva benissimo. Inoltre lei è molto metodica. Fa sempre la stessa strada"
"E allora?"
"Allora sembra che qualcuno abbia messo quella mina durante la notte"
"Non capisco a che pro"
"Neanche io. Sembra che questo paese stia impazzendo. Tutti contro tutti"
"E noi, anzi, voi, qui a curare tutti quanti. Siete magnifici. Se non ci fosse questo posto.."
"... cambierebbe poco. Quelli che salviamo sono una goccia dentro il mare"
"Non è vero. Quelli che vengono curati, porteranno sempre dentro di loro il ricordo della vostra abnegazione. E la insegneranno ai propri figli"
"Già, ma quanti invece, dopo aver visto morire i propri cari straziati da bombe e mine, ai propri figli trasmetteranno solo rancore? Ho paura che la bilancia sia a sfavore. Non so come usciremo da questa tragedia"

Passano alcuni giorni. Orso quando può scappa verso la squero, dove l’attende un Filosofo che sembra
ringiovanito. Ogni volta gli mostra con entusiasmo contagiante, un nuovo pezzo di legno del tutto grezzo talvolta con ancora su la corteccia, spiegandogli che quel pezzo lì è perfetto per la futura barca. Con fare fanciullesco Filosofo traccia disegni improbabili di barche sulla sabbia o tra i trucioli del tavolo, per spiegare ad Orso come verrà la creatura. Disegni che non spiegano nulla anzi, buttano sempre più nello sconforto Orso che, invece di leggerci ciò che agogna di più, ovvero una barca per solcare oceani, vede sono degli scarabocchi degni di un bambino della scuola materna.

Al rientro di una di queste passeggiate, c’e Luca ad aspettarlo con una faccia nerissima.
Orso lo previene : "Lo so, lo so, devo stare attento quando vado laggiù da solo, non farmi da papà per cortesia. Ho imparato la lezione .."
"Orso, non e per questo che ti stavo aspettando. è successa una cosa grave"
"Cosa?" Orso scruta dentro gli occhi di Luca per cercare di capire cosa sia successo in quelle poche ore di assenza dal campo.
"La mamma di Selima" Luca abbassa gli occhi.
"NO ... com’è possibile? Selima mi aveva detto che stava bene. Le ferite si erano rimarginate e non c’era più pericolo di infezione!"
"Sono le ferite che aveva dentro che non si erano rimarginate. Si è tagliata le vene"
Orso si prende il viso tra le mani. Luca lo abbraccia.
"Ora Selima non ha più nessuno su cui contare. I suoi sono morti tutti. Avrà bisogno di te, non la deludere" "Certo che no" Risponde un Orso frastornato.
"Se hai bisogno, per qualsiasi cosa. Non fare come al tuo solito, io sono qui. Ok?"
"Luca, sei impagabile. Sei sempre disponibile con tutti e non ti ho mai sentito chiedere nulla per te"
"Non sono così samaritano come mi dipingi. Adesso basta parlare di me. Va da lei"
Selima ha gli occhi gonfi ma non sembra affranta. La trova impegnata a preparare il funerale. Sembra essere la sua più grande preoccupazione al momento.
"Selima..."
"Ciao. Sto predisponendo tutto. I nostri funerali vanno fatti entro 24 ore. Non ho tempo ora per piangere" "Volevo vedere tua madre, si può?"
"No, non si può. Ora le sue amiche del villaggio la stanno lavando per purificare il corpo. Nessun uomo può essere presente"
"Posso almeno aiutarti in qualche modo?"
"Si, dimmi che mi vuoi bene"
"Io ti amo Selima"
"Anch’io..." Lei raccoglie da una borsa degli abiti colorati e si avvia verso la camera mortuaria dell’ospedale. " Ora scusami, sono di fretta"

Passano poche ore e tutto è pronto. La processione che accompagna alla tomba il feretro è veloce, ma c’è molta gente.
Luca, Orso e Yussuf seguono un po’ in disparte. Orso si stupisce un po’ di tutta quella partecipazione. "Nella vita del villaggio il funerale è un grande evento e nessuno, può mancare. Anche perché chi manca potrebbe essere accusato della morte"
"Yussuf, che c’entra? Lei si è suicidata ... "
"Ma qualcuno aveva spostato quella mina, durante la notte"
La lunga fila di persona procede lungo la strada sterrata e polverosa. Si odono dei lamenti di donne e una incomprensibile predica dell'imam. Arrivano in un luogo appartato e nascosto in mezzo ad un palmeto.
All’improvviso le donne si fermano ai margini del piccolo cimitero. Ci sono molte lapidi tutte allineate ma nessun monumento. "Sono tutte rivolte verso la Mecca" Chiarisce Yussuf, nell’intento di rendere comprensibile la cosa agli altri due. Tra le lapidi la fossa, molto profonda. Quasi due metri.
"Prima di sera deve essere richiusa. Non si può scavare una fossa e aspettare l'indomani per seppellirvi il cadavere: nella notte ne morrebbe un altro al villaggio"
Il feretro viene calato.
"E Selima e le altre donne? Perché stanno la?"
"Alle donne non è permesso, possono assistere, ma da lontano. Vieni, prendi un po’ di terra e buttala nella fossa come stanno facendo gli altri"
"Non ci penso neanche. Io sono Ateo. Non c’entro niente qui"
"Non lo fai per la religione, devi farlo per Selima. Tu sei la sua mano"
Orso si china. Prende una manciata di quella terra bollente, più simile a sabbia che a terreno. Ha un che di morto anch’essa. Si volta verso Selima, la vede ora si, distrutta, quasi in trance, sorretta da due donne del villaggio. Ha un braccio teso, come se stesse mimando la presa da terra della sabbia di Orso. è rimasto solo lui. Stanno tutti aspettando.
Orso guarda dentro la fossa e mentre fa lentamente scorrere via la sabbia dice a voce bassa ma comprensibile : "La guarderò io tua figlia, stai tranquilla, non l’abbandonerò mai"
L'interramento. viene eseguito velocemente, tutti i presenti aiutano a riempire la buca velocemente con la terra ammucchiata ai suoi lati.

Dopo il pranzo funebre, il giorno finisce, così come la cerimonia. Il paese torna alle sue povere attività.

Il mattino seguente Selima, con due occhi pesti da far paura, si avvicina ad Orso e gli sussurra con voce ferma : "Sono andata da Filosofo. Gli ho detto di smettere di perdere tempo dietro i suoi sogni di una barca che non costruirà mai e di mettersi ad aggiustare la mia barca"
"Cosa hai fatto? Perché gli impedisci di costruire la mia barca?"
"Perché la barca che ha in mente Filosofo non esiste. La tua barca è ora il mio dhow. L’ho detto a Filosofo" "La tua barca è troppo grossa, è inutilizzabile da una sola persona! Non potrei mai governarla" "E chi ti ha detto che ti lascerò andare da solo?"
"Che vuoi dire?"
"Bisogna sempre spiegarti tutto, tutto a te eh? Significa che partiremo insieme"
Orso è costernato.
"Insieme? Per dove?"
"Ce ne andiamo da qui. Non è forse il tuo sogno quello di girare il mondo in barca a vela?"
"Senti, ora tu sei più importante per me, questa è la tua terra, hai il tuo lavoro. Non ho nessuna intenzione di fare altri casini. Io resterò qui con te e .."
"E?"
"…e ti sposo. Dobbiamo eliminare tutti i problemi che ci circondano per vivere qui, insieme"
"Benissimo! Ma non vivremo qui. La navigazione sarà il nostro viaggio di nozze. Orso non ne posso più. Non sopporto più questo paese, non lo riconosco più. Non è più il paese di quando ero bambina, ora è tutto difficile. E poi non c’è più nulla che mi leghi qui"
"Come sarebbe a dire? L’ospedale cos’è? E i pazienti? Quando t’ho conosciuta vivevi solo per loro!"
"È vero. Ma c’era da organizzare tutto. Ho dato una mano a metter su la baracca, il fatto di essere Irachena ha dato la possibilità di fare da ponte, di creare fiducia nei dottori Italiani. Ora ci sono altri Iracheni che lavorano nella struttura. Io non servo più"
"Sai benissimo che non è vero. Ci sarebbe bisogno di 100-200-2000 Selima per questo paese martoriato"
"Ecco, appunto. Una sola Selima è una goccia nel mare. Non ce la faccio più, getto la spugna"
"Comprendo che questo è un momentaccio. Sei stravolta perché hai appena subito un grave lutto, non puoi per questo buttare all’aria tutta la tua vita"
"Orso, da quando sei arrivato qui, non sono più riuscita a pensare al mio lavoro. Ho pensato a te ogni solo istante, a come fuggire con te da questo inferno. La morte di mia madre è stata quasi una liberazione. Chissà, forse se ne era accorta e l’ha fatto per colpa mia"
"Si, mo’ ora ci manca pure che ti addossi la colpa che è finita sopra una mina"
"No, questo no, ma … Senti facciamola finita. Mettiamo in piedi questa barca e scappiamo"
"Ragiona un attimo, se scappiamo sarò considerato un disertore. Ci verranno a cercare e il tuo dhow, per quanto bello, non è certo un fulmine, ci riprenderanno nel giro di due-tre giorni"
"Si hai ragione. Intanto sposiamoci e prepariamo la barca. Vedrai, Allah verrà in nostro soccorso"
“Seee, buonanotte …” Pensa Orso tra se, ma non ha il coraggio di contraddirla, non è il momento.
Un’altra notte tormentata assale Orso. Da quando è arrivata sulle sue mani la cartolina di chiamata, è successo molte volte. Sembra diventato un tormento ciclico. La notte lo assale con incubi e speranze, con bivi solo apparenti, con sembianze di scelte da prendere, quasi che il Destino fosse nelle sue mani, consapevole però, che per quanto il tutto appaia pendente dalle sue decisioni, la via più logica è una sola, ed è già tracciata.
L’unica cosa che sa, rimembranza del rivolo sulla pietra lavica, è che l’acqua, dopo tortuosi giri, finirà sempre in mare.

Il matrimonio tra Orso e Selima è stato celebrato con rito cristiano, in quanto il matrimonio mussulmano prevede che l’uomo debba essere obbligatoriamente mussulmano. La festa si è svolta tutta dentro la mensa dell’ospedale di Emergency. Orso ha scelto Luca come testimone e Selima Filosofo, unici due che potevano capire le loro scelta ed intuirne le future intenzioni.

I giorni passano e Filosofo sta facendo un gran lavoro. Il relitto abbandonato sulla spiaggia di fianco al cantiere piano piano ritrova la sua dignità di scafo, poi di imbarcazione, di fiero Dhow ed infine il giorno del varo.
Il più eccitato di tutti sembra essere proprio Filosofo, Selima è rimane in disparte, quasi come la cosa non le appartenga, non ci fossero state perse le vite dei suoi cari, li sopra.
Orso è li, travolto dagli eventi. Né felice né distaccato. Semplicemente preoccupato, essendo la sua prima barca ed enorme. Non sa come potrà cavarsela. I libri donati da Antonio sono ormai consumati a furia di essere letti e studiati ma, ovviamente, non c’è neanche una pagina su come si arma un dhow. Filosofo si è più volte offerto di mostrargli lui come si fa. Toccherà per forza accettare le sue offerte.
Viene fatto saltare il cuneo a poppa. Una corda di canapa, avvolta intorno ad un argano di legno, tendendosi scricchiola, ma trattiene ancora l’imbarcazione sullo scalo. La barca sembra essere impaziente di scendere nuovamente in acqua.
Filosofo fa un cenno con la testa ad un moccioso aggrappato all’argano. Lentamente la corda perde tensione e lo scafo comincia a scendere lungo il breve scivolo fatto di palanche unte di una sorta di sego puzzolente posate sulla sabbia. La poppa si immerge.
Quando la barca ha più di metà scafo in acqua, la barca rallenta la sua discesa, la corda non la trattiene più. Filosofo le dà un’ultima spinta, quasi a convincerla a spiccare il volo. La prua scende malamente da una palanca come da un gradino, segnale che la poppa sta galleggiando e tutto peso “terrestre” grava ormai solo sotto la ruota. Ancora un colpo di reni di Filosofo, l’ultimo gradino e la barca galleggia completamente. Sale su per la bassa murata come un gatto, zompando a bordo a pié pari. Luca e Yussuf, unici presenti alla “cerimonia” applaudono.
Orso, mentre trattiene il capo della corda ormai libero dall’argano, lo guarda stupito e divertito. Quel vecchio rugoso ora sembra davvero ringiovanito.
Filosofo infila velocissimamente il timone sugli agugliotti e, mettendo barra a dritta, sfrutta l’abbrivo residuo per far accostare la poppa del dhow al molo.
Appena la barca è parallela lancia una cima di poppa a Selima che la raccoglie e la volta sull’unica bitta della banchina. Poi prende dalle mani di un Orso immobile, congelato, la cima di prora e la fissa sua volta. Sembra quasi che Selima non abbia fatto altro nella vita che prendere al volo le cime che Filosofo lancia a terra. "Allora? Non sali?" Fa lei.
"Eh? Si, certo .." Orso si sente preda di un sogno. Forse il caldo asfissiante contribuisce a rendere tutto più intenso, più vivido, mentre i suoni sembrano ovattati.
Dopo un rapido controllo sotto i paglioli. Filosofo esclama con voce squillante:
"Visto sadik (“amico” in arabo. n.d.a.)? Solo goccia di acqua. Poca acqua adesso con barca asciutta, mai più acqua dopo. Legno si gonfia con umidità. Domattina kalas moia. Finito gocce di acqua.
"Filosofo, come progettista sei un disastro, ma come costruttore sei un artista" esulta Orso.
"Domani chiediamo un permesso per uscire da qui e proviamo anche come va, che ne dici?"
"Si, si!" urla Filosofo.
Nel frattempo il moccioso torna con un capretto che viene scaraventato sulla barca. Compare un coltello affilato. "Ehi cosa volete fare sulla nostra barca?" urla Orso.
Selima lo trattiene.
"Bisogna fare un sacrificio, così il mare non chiederà altre vite in cambio della nostra intrusione"
"Ma no ci penso neanche. Portate a terra quella povera bestia. Se proprio lo volete sacrificare, fatelo a terra e lontano dalla barca- E anche lontano da me, grazie"
Filosofo guarda Selima che si stringe il collo nelle spalle con rassegnazione. Il capretto viene nuovamente sbarcato.

È il momento della prima uscita. Filosofo da poppa e Selima da prua mollano le rispettive cime e all’unisono, salendo con un piede, allontanano la barca dal molo, scostandola dal molo con l’altro piede, poi Filosofo passa ai remi per portare il grosso dhow in una zona con più spazio di manovra. Tutto senza dirsi una solo parola. "Ehi, ma tu non è la prima volta che sali su una barca!" Esclama Orso a Selima.
"Certo che no. Uscivo sempre con mio padre ed i miei fratelli finché non sono diventata donna. Dopo le prime mestruazioni non mi hanno più voluta a bordo. “Porta sfortuna” dicevano. Evidentemente avevano torto, visto la fine che hanno fatto senza di me"
"E tu, Filosofo, non hai paura ad avere una donna a bordo?"
"Poco poco. Ma sarà quelo che vuole Signore".
"Ah, già, che tu sei Cristiano. Facciamo proprio un bell’equipaggio. Una Mussulmana, un Cristiano ed un Ateo. Ci manca un Buddista poi siamo al completo"
Scoppiano tutti e tre a ridere.

Sono passati parecchi giorni dal varo. Ogni uscita Filosofo si è beccato raffiche di domande sulla conduzione della barca e, il poveretto, aveva cercato di rispondere al meglio possibile, col suo Italiano stentato. Orso si accorge ben presto che Filosofo è solo un povero carpentiere, non un navigatore e così, provando sull’acqua le manovre lette sui suoi libri e trovando le analogie tra le manovre delle barche moderne con le povere semplici manovre del dhow, prende piano piano coscienza della conduzione, fino a sentirsi molto più padrone della situazione di Filosofo. Un giorno Filosofo gli dice:
"Tu ora bravo. Bravo come padre di Selima. Io visto co miei occhi tutti e due. Tu più bravo. Ma ricorda, anche se tu bravo, mare sempre più bravo di te. Se tu scordi questo, tu muori come Abu, Esham e Muhammad"
"Grazie Filosofo, non me lo dimenticherò".

Il tempo passa velocemente. Una sera, Selima ripassa all’attacco:
"Orso, tra non molto tu avrai il congedo. Ti prego, portami via di qui. Prendiamo la barca e partiamo" "Ne sei proprio sicura? Per farlo davvero, bisognerà che io chieda il permesso di poter rientrare in Italia con mezzi propri e, se me lo concederanno, organizzare la cambusa e tutto il resto, visti, permessi..."
"Si. Basta sognare sulle carte nautiche, partiamo davvero"
"Allora si comincia?"
"Si comincia!".

Il grande giorno è arrivato, Il dhow è carico di ogni ben di dio, ma non sembra. Le sue forme svasate tengono bene il carico. Filosofo arriva con una carriola stracarica di sacchi di riso.
"E quelli dove li mettiamo?" protesta Orso.
"Non ti preoccupare, sapevo che avremmo dovuto caricare anche questi e ho lasciato molto posto qua sotto" Selima indica una tavola/botola all’estrema prua che chiude una specie di panca.
"Conosci fino all’ultimo buco di questa barca eh?"
Selima lo guarda e, sorridendo con fare misterioso, gli sussurra:
"Mi ci infilavo sempre, di nascosto a mio padre, quando non mi voleva più a bordo"
"Brutta canaglia che non sei altro ... mi sto per imbarcare con una piccola vipera e non lo sapevo!" ribatte Orso con fare divertito.
"Era ora che sapessi con chi avrai a che fare, no? Ora vai a prendere i nostri documenti, che è ora. Finiamo noi di caricare".

Quando Orso torna, sul molo c’è un sacco di gente, tutto il personale dell’ospedale al completo, la gente del villaggio ... Tutto è pronto, manca solo di mollare gli ormeggi.
"Dov’è Filosofo? Non lo vedo"
"Se ne è andato appena abbiamo finito di caricare. Poveretto, aveva le lacrime agli occhi. Se fosse rimasto qui gli sarebbe scoppiato il cuore"
Orso capiva perfettamente lo stato d’animo di Filosofo, lui stava coronando il suo sogno con la donna che ama, il mollare gli ormeggi, gesto ripetuto chissà quante volte dai tempi del traghetto, oggi, ora, in questo preciso istante assume un significato completamente differente.
Navigando verso l’oceano, ripercorrono a ritroso il percorso effettuato da Orso non molti mesi prima a bordo della nave militare. Le tappe nei porti sono fuggevoli. Nessuno dei due gradisce le soste, preferiscono la lunga navigazione, ma la necessità di approvvigionamento di roba fresca le rende inevitabili. Grazie alla conoscenza della lingua Araba, evitano i problemi ma le soste in paesi Arabi vengono comunque accuratamente centellinate. La loro prima vera tappa sarà le Maldive.

Prima di ripartire e lasciare il golfo di Oman verso l’Oceano Indiano Orso ripensa agli ultimi avvenimenti della sua vita. Sembra passato un secolo da quando è arrivata la chiamata alle armi, alla luce di tutte le cose che sono successe. E quanto è cambiato! Si sente dentro un’altra persona. Ben diverso dal riottoso sognatore. "Scriviamolo!" gli dice Selima "durante le tappe lunghe abbiamo così tanto tempo. Possiamo buttare giù un diario, in cui raccontiamo anche questo viaggio. Magari poi troviamo qualcuno che ce lo pubblica, come ha fatto il tizio del libro che ti porti sempre dietro"
"Ma dai, a chi vuoi che possa interessare?"
Ovviamente Selima ha la meglio e la sua idea, durante le lunghe ore di inattività, prende forma giorno per giorno. Le pagine vengono accuratamente stivate sotto prua, insieme al riso che le mantiene asciutte.

"Hai fatto il punto nave?" Chiede Selima.
"Si, siamo proprio sopra la dorsale di Murray, un basso fondale, ecco perché ieri abbiamo visto quei grossi pescherecci oceanici. Dovevano essere parecchio grandi. Molto più di noi"
Il dhow, quando Orso riesce a regolare bene le vele, è ben bilanciato e mantiene la rotta con pochissima attenzione sul timone.
"Stavo pensando a Filosofo" prosegue Orso sul filo dei suoi pensieri. "Ha fatto davvero un buon lavoro. Me lo ricordo la prima volta che lo incontrai, giù allo squero. Mi tesse subito le lodi di questa barca" "Ma va più diritta quando ci sono io al timone" Dice Selima con tono di sfida.
"Eh, si devo ammetterlo. Soprattutto di notte riesci a farla andare meglio. Me ne accorgo sai, che durante il tuo turno, mentre sono nel dormiveglia la barca sembra navigare meglio. Probabilmente usi l’istinto e la barca cammina meglio"
"Orso cos’è quello?" Selima interrompe Orso guardando l’orizzonte. Orso si volta, strizza gli occhi per vedere meglio.
"Non saprei. Sembra una riga scura, ma non è cattivo tempo"
"Orso si ingrandisce sempre più. Qualsiasi cosa sia, ci sta venendo incontro a velocità pazzesca …"
"Santo cielo, che diavolo è quella COSA?
Sono passati pochi minuti da quando Selima si è accorta di quel mostro.
Un muro di acqua sta venendo verso di loro con un frangente enorme sulla cima. Stavolta il mare sta mostrando davvero i denti ad Orso. Capiscono in un attimo che non c’è nulla da fare se non sperare in un colpo di fortuna. "Selima, sappi che ti ho amata davvero" Orso non riesce dire altro, impietrito.
"Orso, sappi che anche se la nostra storia finirà qui, sono contenta di essere arrivata sin qui con te. E lo rifarei anche lo avessi saputo prima"



La storia di Orso e Selima finisce qui. Ve l’ho potuta raccontare perché ero nascosto sottoprua, insieme ai sacchi di riso. Era la mia unica occasione di scappare dall’Iraq e di vedere il mare in prima persona e non dalle parole dei pescatori al loro rientro.
È grazie ai sacchi di riso che attutendo le innumerevoli capriole, hanno fatto si che non mi fracassassi la testa da qualche parte, la dentro il mio nascondiglio.
Non ricordo molto del tragico evento se non la sensazione che la prua puntasse verso l’alto. Poi ho perso il senso dell’orientamento ed il riso ha cominciato a girare vorticosamente intorno a me. Devo anche aver perso i sensi, perché quando uscii fuori, stordito, era già notte.
Sul ponte non c’era più nulla. Né cose né persone. Urlai a squarciagola chiamandoli nella vana speranza che fossero li attorno, ma non rispose nessuno.
Fui recuperato in fin di vita parecchi giorni più tardi da uno dei pescherecci oceanici che incrociavano nella zona.
Avevo giurato a me stesso che, se fossi sopravissuto, avrei fatto pubblicare quel diario infilato sottoprua perché non si sciupasse.


Moses Al Hammr
detto “Filosofo”



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