CIABATTA
di Nunzio Platania




Era il suo soprannome e ogni volta che gli capitava di declinare le sue generalità gli veniva proprio male a dare il suo vero nome… Glielo avevano affibbiato quando era un ragazzino per via del fatto che durante le torridi estati si trascinava per le strade del suo polveroso quartiere con un paio di ciabatte di legno il cui rumore annunciava a chilometri di distanza la sua comparsa. Ma col tempo il riferimento a ciò che gli stava sotto i piedi si era perso e il significato di " ciabatta" si era spostato verso ciò che gli stava in testa, alludendo di volta in volta alla sua aria svagata, alla sua andatura strascinata e floscia, alla indolenza che metteva nel suo lavorare; alla fine tutto quello che faceva o diceva si unificò in quel nome che riassumeva quel suo essere trasandato e sciatto che l'aveva da sempre accompagnato. Ciabatta, appunto…

Viveva in un piccolo paese del meridione e faceva l'aiutante carrozziere. Il suo datore di lavoro era un suo amico più anziano di lui che lo usava come jolly per le parti più umili e noiose che il mestiere esigeva. Giornate intere con la carta abrasiva bagnata a levigare fiancate di auto, per un misero stipendio settimanale dato sempre col solito lamentoso riferimento al fatto che non se l'era affatto guadagnato e che erano soldi rubati.
Ma Piero, il suo principale, in fondo lo voleva bene, anche se aveva profetizzato per lui una vita senza significato, insulsa e assolutamente priva di ambizioni di ogni genere. A 28 anni, infatti, Ciabatta viveva alla giornata, anzi viveva per finire la giornata lavorativa e andarsi a ficcare nel bar del quartiere a farsi sfottere dai suoi amici. I quali gli volevano sì bene, ma come se ne vuole a uno che è fuori concorso, fuori gara, insomma a uno che non è pericoloso in nessuno degli ambiti concorrenziali su cui loro si disputavano quotidianamente una qualche posizione di supremazia. I temi erano sempre i soliti: se, parlando di ragazze, qualcuno si faceva bello raccontando di maliziosi incontri, di fantastiche prospettive di divertimenti amorosi, veniva interrotto da altri che inevitabilmente rintuzzavano la vanagloria del dongiovanni di turno, minimizzandone le virtù amatorie; e poi si passava alle auto che attizzavano gare di saccenza sulle prestazioni dei motori, ognuno diceva la sua con l'intento di guadagnare almeno un punto su quello che asseriva l'altro e poi a dissertare sulla formidabile potenza degli impianti stereo che venivano montate sulle vetture o su quello o quell'altro gruppo musicale che faceva il concerto in città. Insomma era un continuo confrontarsi per concorrere a quella spartizione di credito sociale che la competizione della vita esigeva e che nei nostri giovanottoni, confinati in quel buco di paese senza grandi prospettive, dava luogo a un perenne apprendistato in attesa di potersi cimentare un giorno con l'ardua battaglia della vita.
Ciabatta era escluso. Lui ascoltava sempre in silenzio e le rare volte che metteva il becco in qualcosa in cui si azzardava a reclamare un minimo di conoscenza, un coro di sfottò gli ricordava che se voleva continuare a essere benvoluto da tutti, doveva continuare a stare con tutti e due piedi in una scarpa, o meglio in una ciabatta.
La cosa poteva andare avanti così per tutta la durata dell'eternità, sennonché un giorno accadde qualcosa che fece girare le palle a Ciabatta.
La solita discussione sulle fantastiche automobili e sugli optional più recenti di cui favoleggiavano le riviste, si era spostata sui sistemi di sicurezza e di li era passata alle novità sulle carrozzerie, alle solide lamiere di una volta, alle tendenze a passare alla più economica plastica e naturalmente per spirito di contraddizione si erano formati i due soliti partiti antagonisti. Era la prima volta che si toccava così vivacemente il suo settore e Ciabatta pensò bene che fosse venuto il suo momento: chi più di lui sapeva tutto sulle lamiere, lui che passava la sua vita a raddrizzarle, a lucidarle ed accarezzarle.
Accennò quindi ad una sua opinione circa la robustezza della carrozzeria di alcuni modelli che gli erano passate tra le mani e stava per dare un giudizio quasi professionale sull'argomento, quando Ettore, il caposquadra dei modernisti afflitti da abbaglio ipertecnologico, gli molla il classico scappellotto sulla nuca, nel tipico gesto con cui dalle loro parti si fa rientrare nei ranghi il ragazzino impertinente che si mischia nei discorsi degli adulti e col solito tono di sufficienza con cui si pavoneggiava in simili tornei, gli spara un: "Ma che ne vuoi capire tu di macchine, solo perché fai l'aiutante carrozziere”.
Ciabatta ci rimase proprio male, non solo per il rinnovato invito a considerarsi meno che niente, ma per la totale indifferenza dell'intero branco a quel trattamento che sentiva di disonorarlo oltre il consueto limite che lui si era rassegnato a sopportare.
Umiliato e frustrato si allontanò dal gruppo e andò a rifugiarsi nell'angusto garage-cortile che stava dietro la casa in cui abitava.
Di colpo gli era apparsa tutta l’inconsistenza della vita che stava vivendo, tutta l’ingiustizia di quel essere stato marchiato a vita da una profezia malaugurata che aveva decretato la sua inettitudine e il suo essere fatiscente, tracciando il solco che condizionava pesantemente le sue aspirazioni ad essere riconosciuto e trattato da adulto.
Come una ciabatta…faceva comodo sotto i piedi di tutti…a patto che non si considerasse una vera calzatura… Gli balenò vivida in testa l'idea di una possibile ribellione.
L'avrebbe dimostrato a quel branco di fanfaroni che lui valeva qualcosa, che negli otto anni passati a lucidare lamiere aveva imparato un mestiere su cui aveva il diritto di erigere il suo personale prestigio sociale. Che lui oltre che Ciabatta aveva un nome e un cognome e che dietro quella pacata rassegnazione, sapeva anche far nascere delle ambizioni in grado di portarlo fuori da quella miseria di esistenza in cui tutti volevano che si perdesse.

L'indomani, dopo una notte passata a rimuginare propositi bellicosi, si presentò davanti agli occhi di uno stupito Piero e sciorinò, con un tono che non lasciava spazio a repliche, la lunga lista delle sue pretese. In primo luogo era pronto a licenziarsi se non avesse ricevuto un congruo compenso per il suo lavoro, poi era stanco di lucidare lamiere e che d'ora in avanti avrebbe preteso di mettere mano per intero alla ricostruzione delle vetture danneggiate, dalla saldatura delle parti, fino alla verniciatura, sotto sua piena responsabilità, e senza indicazioni superflue su come fare perché lui il lavoro lo conosceva benissimo e forse meglio del suo principale e in più…
C'era nell'officina una meravigliosa decappottabile che Piero aveva rilevato dopo un pauroso incidente accaduto al suo proprietario, con l'idea che prima o poi avrebbe potuto ricostruirla. Era un vecchio e glorioso modella di Alfa Romeo degli anni sessanta cui mancavano però buona parte dei pezzi, ormai introvabili e su cui lo stesso Piero aveva dubitato di poter mai mettere mano.…
in più voleva comprare quella carcassa ormai abbandonata e negli orari liberi avere a disposizione l'officina per tentare l'impresa della sua ricostruzione.
Piero lo ascoltò sbigottito e poi forse nella vaga certezza che quell'alzata di capo si sarebbe presto rivelata fasulla e magari si sarebbe presto trasformata in una bella occasione per sottometterlo ancora di più, gli accordò tutto quello che gli veniva richiesto…compreso l'aumento dello stipendio.
Da quel giorno cominciò l'opera di redenzione di Ciabatta.

Innanzitutto non lo si vide al bar per dei mesi interi. I suoi amici per nulla inclini a considerare la sua assenza come effetto di quell'ultima umiliazione che aveva ricevuto, furono più portati ad interpretare la sua scomparsa con dei lavoretti che sicuramente lo impegnavano a casa. Ma poi si era sparsa la notizia che il loro amico passava le serate e le domeniche chiuso dentro l'officina a trafficare sulle carrozzerie e quindi si chiuse la curiosità con qualche sarcastica battuta sul fatto che la riconosciuta indolenza e pigrizia di Ciabatta aveva dovuto lasciare il passo alla necessità di fare del lavoro straordinario certamente per raggranellare qualche soldarello in più.
Frattanto Ciabatta si era trasformato nel più solerte e accurato lavoratore che mai s'era visto: era il primo a spuntare all'apertura, lavorava senza un minuto di tregua, con una precisione e una cura dei dettagli che fugò definitivamente la speranza di Piero sul profetizzato bluff, anzi il suo principale cominciò pure a guadagnarci perché, a dire il vero, in pochi mesi l'immagine dell'azienda aveva avuto un guizzo in avanti di pubblico riconoscimento circa le prestazioni fornite.
E Ciabatta si stava mostrando un vulcano di iniziative geniali anche in quella difficilissima impresa di restauro della Alfa Romeo... Aveva trovato dei pezzi che se lavorati a dovere potevano essere adattati al modello della splendida vettura; aveva anche trovato la vernice giusta ed era financo riuscito a far partire quel motore che da anni stava arrugginendo dentro la carcassa.
Insomma erano passati oltre tre mesi e più nessuno dei suoi amici si chiedeva che fine avesse fatto Ciabatta, quando in un soleggiatissimo mattino domenicale, quando tutti i maschi dai quindici ai settant'anni si danno appuntamento nella piazza centrale del paese, mentre le loro consorti e sorelle stanno intanate nella chiesa per ascoltare messa, si ode un rombar di motore e una fiammeggiante vettura rossa si presenta all'imbocco della strada principale e tra un luccichio di cromature e uno stridere di copertoni nuovi di zecca, decappottata come una bella signora dagli abiti succinti, un elegantissimo Ciabatta con tanto di raffinati guanti d'autista, poggiati signorilmente su un volante dal levigato legno di radica, circondato da un’odorosa tappezzeria di cuoio, sfila a fronte alta su due lati di intimiditi ex amici che non credono ai loro occhi.…e quando qualcuno tra di loro, anticipando altri potenziali concorrenti nell’appropriarsi di una qualche briciola di quel prestigio che la scena sprizzava ai quattro angoli della piazza, ravvisa le tracce della vecchia amicizia e abbozzando un cenno di amicale confidenza azzarda un: "Ma sei proprio tu, Ciabatta", il nostro, scendendo dalla vettura e mostrando le sue firmatissime calzature in tinta con la tappezzeria, sciabola uno sguardo di soave fermezza tutt'intorno e risponde:
"No, sono Carmelo Passalacqua, carrozziere specializzato".
Il soprannome di Carmelo passò alla categoria superiore: ora, solo i più intimi, lo chiamano "Mister ". Ma è solo perché non si sanno spiegare il misterioso potere dell'orgoglio ferito



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