IL SIG. Scidà
di Nunzio Platania




Il sig. Scidà invece la barca ce l’aveva...
Dico invece perché vantandosene con i suoi colleghi di ufficio di quel felice acquisto che era anche risultato un affare, non aveva mai mancato di far risaltare quello ”invece” dato che, come in altre circostanze simili, era la sua espressione preferita, tanto che qualcuno di nascosto lo aveva soprannominato il sig. “invece io ce l’ho”. L’aveva comunicato a tutti i suoi colleghi invidiosi e da quel giorno non faceva che parlarne in continuazione, descrivendo con minuzie mirabolanti veleggiate che faceva ogni domenica, di regate ,di campionati che lo vedevano sempre tra le prime posizioni e di ogni altra vanteria immaginabile.
I suoi colleghi erano digiuni di queste cose e quindi bevevano di tutto convinti che l’amico fosse un vero privilegiato. D’altronde il sig. Scidà si era da sempre guadagnato la fama di essere un po’ speciale, un pò snob ; già nel vestire era sempre un pò ricercato e siccome lo stipendio che prendeva era cosa notoria, si era naturalmente fatta strada la convinzione che fosse benestante in proprio.
Insomma il sig.” invece io ce l’ho “,godeva di una immeritata reputazione di collega un tantino facoltoso che si concedeva delle estrosità di solito estranee alla classe impiegatizia. Nessuno si era mai sognato di chiedergli di partecipare, di essere coinvolto in una delle sue tante spacconerie. Nessuno era mai stato a casa sua, a vedere il fantastico stereo quadrifonico con lettore al laser, nessuno aveva mai potuto vedere il cavallo che aveva acquistato qualche anno prima e che doveva trovarsi in un maneggio esclusivo da qualche parte e nessuno osò mai chiedere neanche stavolta di poter partecipare alle ebbrezze tanto decantate della vela, candidandosi come eventuale ospite.
E per fortuna del sig. Scidà perché con la fama di snob geloso ed esclusivo era riuscito durante tutti quegli anni a nascondere il fatto che quelle da lui raccontate erano tutte frottole. In realtà viveva molto modestamente in una vecchia abitazione frutto di un lascito, senza figli, con una moglie senza pretese e vivacchiava di queste gratificazioni vanagloriose, conducendo una vita tutt’altro che esclusiva.

Niente impianto megasonoro, niente cavallo e adesso niente barca.
O per meglio dire niente che corrispondesse a quel popò di veliero che il sig. Scidà aveva fatto credere di aver acquistato.
Era invece accaduto, a differenza delle volte precedenti, che al sig.Scidà era capitato una volta di inoltrarsi in quella zona del porto dove stavano i cantieri di alaggio delle barche da pesca e mentre gironzolava da quelle parti il suo occhio era caduto su un misero relitto, una vecchia costruzione in legno realizzata almeno trent’anni prima da dilettanti armata a vela latina, andata in malora già da un decennio, che giaceva ammucchiato assieme a un cumulo di legna pronta da far ardere.
Al sig Scidà quella volta era venuta un’idea luminosa.
Per aggiornare il suo repertorio di vanterie l’occasione di fregiarsi di armatore gli era passata altre volte per la testa, ma lui era cosi tanto bravo a raccontarle le frottole che di solito si era inventato tutto di sana piante.
Quella volta però commise lo sbaglio di voler dare un minimo di fondamento alla sua nuova vanteria e quindi andò ad informarsi se per caso quel rottame era in vendita.
Al cantiere scossero la testa e gli dissero subito che quel coso era buono ormai soltanto come legna da ardere e che mai avrebbe potuto galleggiare nello stato in cui si trovava.
Ma il sig. Scidà tirò fuori la sua arte di millantatore e spacciandosi per un estimatore, collezionista di antiche tecniche di costruzione, insistette per l’acquisto.
I tali a cui si era rivolto lo presero comunque per scemo e ad un prezzo totalmente simbolico consentirono che vuotasse la pattumiera.
Cosa che Scidà fece, facendo venire un furgoncino con gru che gli costo più del bene appena acquistato e lo fece trasportare dentro il giardinetto della modestissima sua abitazione.
Forte stavolta del conforto morale di questo parziale verità aveva poi tessuto quelle frottole in ufficio, di cui si diceva. La storia continuava così da qualche mese, quando un bel giorno fece la sua prima apparizione nella azienda privata in cui lavorava, nientepopodimenochè il rampollo del titolare, spedito li dal papà dopo il diploma per farsi le ossa e prepararsi per continuare in futuro la redditizia attività paterna.
Era costui un bel giovanotto, esuberante, disinvolto, estroverso, disinibito e per disgrazia del sig.Scidà sportivo in tutti gli sport, compresa la vela che aveva provato durante un suo soggiorno in un villaggio turistico qualche tempo prima. E siccome era anche sciolto di lingua aveva già dai primi giorni della sua permanenza in ufficio fatto amicizia con gli altri impiegati e parlando parlando venne fuori che anche il sig. Scidà era uno sportivo amante della vela, dei cavalli eccetera.
Al rampollo non parve vero di avere in ditta qualcuno con cui poter parlare di queste cose per cui si fece indicare l’ufficio del sig. Scidà che non aveva ancora conosciuto e alla prima occasione lo arpionò ben bene.
Quando al sig. Scidà apparve chiara la situazione in cui stava per essere cacciato si senti perduto. Capì subito che l’arrivo del rampollo avrebbe costituito per lui la decadenza di quell’impero di frottole con cui aveva foraggiato per tanto tempo la sua vanità.
E infatti il rampollo non perse tempo a chiedergli di poter uscire per fare un bel giretto a vela sul suo favoloso cabinato di 10 metri di cui aveva sentito favoleggiare.
Al sig. Scida mancò il terreno sotto i piedi, non si poteva certo negare al figlio del titolare una cosa simile e con quale pretesto poi.
Il primo assalto riuscì comunque a pararlo scusandosi perché la successiva domenica aveva già assunto un improrogabile impegno con la famiglia ma che comunque più avanti... non mancherà l’occasione, certamente...
Quando tornò a casa il sig. Scidà era caduto nella più cupa delle disperazioni.
Andò a visitare il suo relitto che giaceva miseramente di sbieco ormai circondato da sterpaglie varie e vedendolo scacciò subito l’idea che potesse in alcun modo contribuire a levarlo dai guai in virtù della sua odierna galleggiabilità. Salvo che... poteva invece servire per prendere tempo.
Si diresse di filato nella zona dei cantieri: la sua idea era quella di accampare come pretesto quello di una grave avaria che l’aveva costretto ad un improvviso ricovero della barca per le cure del caso e che avrebbero richiesto certamente tempi lunghissimi.
Nel cantiere dove l’aveva comprato l’avrebbero certamente deriso per cui si rivolse ad altro cantiere dove raccontò la vecchia frottola di lui amante di cose antiche che aveva in animo di restaurare una vecchia imbarcazione a cui era tanto affezionato.
Il tale con cui parlò non fece una piega e naturalmente offrì la sua disponibilità per l’operazione. Naturalmente un preventivo spesa lo si poteva fare solo dopo una accurata ispezione della barca.
Sollevato il sig. Scidà, ricontattò il trasportatore con camion e gru e riportò il rudere a poche decine di metri da dove l’aveva prelevato alcuni mesi prima.
Il titolare del cantiere alla vista del relitto, che certamente conosceva già, non spostò un muscolo del volto e con fare molto professionale non si pronunciò in alcun modo circa l’assurdità dell’operazione. Promise di li a qualche giorno di redigere un progetto di intervento con relativo preventivo spesa.
Il sig Scidà se ne torno a casa un pò fiducioso che la scappatoia che aveva escogitato potesse toglierlo dai guai, anche se la faccenda in cui si stava imbarcando cominciava a assumere i contorni di una catastrofe economica.
Ma certamente salvava la sua reputazione e forse lo stesso posto di lavoro.
Rimaneva il problema dei restanti tre metri della differenza tra il millantato veliero di 10 metri e il misero trabiccolo che non arrivava neppure a sette. Ma a questo si poteva provvedere dicendo che i colleghi avevano capito male. Appena in ufficio raccontò al suo futuro principale di quella improvvisa via d’acqua che si era aperta costringendolo ad un affannoso ricovero in cantiere.
La notizia oltre che essere vissuta con costernazione da tutti i colleghi, aumentò enormemente la curiosità degli astanti che, forti della presenza imperatrice del loro giovane quasi padrone, si misero tutti in lista di attesa per fare una doverosa visita collegiale alla malcapitata imbarcazione. Tutti fremevano nel volerla vedere... il sig. Scidà fremeva per altre ragioni, ma dovette piegarsi alla insistenza del principale e si fissò la domenica successiva alla prossima per la visita.
Mancavano 10 giorni...
Dopo due giorni il nostro millantatore si recò al cantiere e il titolare del medesimo senza fare una piega gli mise sotto il naso un puntigliosissimo foglio di carta intestata in cui erano elencati trecento voci corrispondenti ai trecento pezzi di cui era fatta la barca e che erano da rifare nuovi.
Al sig. Scidà non mancavano le arti per simulare, lui amatore di imbarcazioni d’epoca, le cognizioni tecniche per sapere cos’era il trincarino, il bottazzo, la trave, le serrette e via discutendo, ma mancarono invece le gambe quando arrivo alla lapidaria cifra che sintetizzava il coronamento dell’impresa. Diciottomilioni.
Si mostrò soltanto un poco contrariato sulla cifra e il titolare gli venne incontro dicendogli che comunque era la cifra bastante per un lavoro che avrebbe potuto cominciare di li a quattro mesi e che avrebbe richiesto non meno di un anno.
“Non è possibile bisogna metterci su mano adesso”- replica il nostro ormai sconvolto sig. Scidà.
“Allora si deve aggiungere un 30% in più”.
Stecchito, Scidà da il suo assenso e il suo primo assegno.
“Purchè si cominci domani” - disse simulando un’aria da gran signore esigente.
“Sa, devono venire dei miei amici e non voglio che la vedano così mal ridotta”.
“Sarà fatto” - rispose al gran signore il gran furbastro che aveva capito tutto.
Il giorno dopo Scidà torna al cantiere; adesso c’è solo lo scheletro, le tavole che costituivano il fasciame marcio tolte, le costole rivelavano anni di incuria e apparivano rinsecchite e fragili. Anche il ponte era scomparso con l’albero e l’attrezzatura tutta. Solo una striminzita ma ancora in buono stato ruota di timone se ne stava sconsolatamente in piedi attaccata ad un ammasso di ferraglia arrugginita ad indicare una parvenza di barca.
“Come procede?”
“Bene qualcosa forse riusciremo a recuperarla” - fa il carpentiere che ci stava lavorando indicando la ruota. Il sig. Scidà ripensò per un istante alla rinuncia che aveva mentalmente fatto di dare una sistematina alla casa nonché al mutuo che aveva contratto e si chiese se veramente ne valeva la pena... ”Ma certamente, quando si tratta di salvare la faccia bisogna non badare alle spese !” - si rispose.
Inoltre in futuro non avrebbe più dovuto mentire, perché dopo sarebbe stato veramente un armatore.
Ogni giorno il sig. Scidà faceva una visita al cantiere e fece una discreta amicizia con i carpentieri i quali, facendo finta di parlare ad uno che se ne intendeva ogni tanto gli chiedevano un parere o gli sottoponevano una opzione. Questo continuo essere al centro di certe questioni che riguardavano le barche convinse il nostro sulla opportunità di saperne di più. Sempre per salvare la faccia s’intende, il nostro si convinse a comprare un libro che trattava simili argomenti, di linee d’acqua, di portanza, di dislocamento, di manovre, tutte cose che Scidà cominciò a trovare interessanti e sulla quali prendeva sempre più gusto.
Più l’apprendistato che riusciva a ricavare dalla conversazioni coi carpentieri, si accorgeva giorno dopo giorno di stare accumulando una discreta competenza di cui cominciava ad andare orgoglioso, per la prima volta nella sua vita, senza doverla millantare.

Dopo un paio di settimane di rinvii, a causa di un provvidenziale periodo di maltempo, della visita dei suoi colleghi, venne il giorno in cui non si potette più rimandare, e infatti l’intera delegazione della azienda si presentò al cantiere per ammirare finalmente il bene del collega. Che si fece trovare in divisa di operaio a lavorare alacremente alla stuccatura del fasciame odoroso e saldamente fissato alle nuove ordinate.
I complimenti fioccarono da tutti i lati, nessuno fece caso al fatto che la barca era più piccola degli inventati dieci metri ; il sig. Scidà in un ultimo guizzo di millanteria comunicò che una volta in cantiere aveva deciso di fare degli interventi più radicali del previsto e che c’era voluto molto coraggio ad avventurarsi in quell’impresa di tale mole, ma che a lui, come era noto, il coraggio non era mai mancato, per cui...
Insomma un trionfo, mai più nessuno avrebbe più avuto un seppur minimo sospetto che il sig. Scidà forse esagerava nel raccontare le sue esclusività.
Carriera di millantatore salvata?
Macchè, al sig.Scidà era accaduto ben altro: si era veramente infettato di quel virus che ben sappiamo e adesso, dopo cinque anni naviga, assieme alla sua rifiorita signora, sul suo sempre fiammante legno e viene additato reverenzialmente come uno che ha saputo caparbiamente riportare agli antichi splendori una abbandonata gloriosa imbarcazione.
E lo fa con competenza e con cognizione.
Lui se ne vanta un pò.
Ma stavolta non è vanagloria.
Fabula docet : può accadere che mentre uno cerca soltanto di salvare la faccia, si salva invece l’anima.



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