Generalità

Nunzio Platania & Anonimo velista

Art director Sergio Polini

Supervisione alla produzione Ugo Marinelli

Distribuzione Mauro Fornasari

Edizioni VeLista Corporation

20 ottobre 2001

Tonino era nato in quello stesso quartiere una quarantina d'anni prima. Allora abitava qualche centinaio di metri più in là, alla case popolari. Un padre, una madre, una sorella di tre anni più grande. Papà lavorava alla SNIA, quella grossa fabbrica in fondo al vialone, tutta circondata da un lunghissimo muro e dal quale si vedeva soltanto qualche tetto di capannoni e delle altissime ciminiere.

Quando era piccolo il quartiere non era neanche una periferia, era una specie di città a sé. Per arrivare alla città, quella vera, bisognava attraversare un bel pezzo di campagna. Invece adesso la città l'aveva raggiunti e superati, ma il quartiere era rimasto una cosa a sé, isolato pur essendo totalmente immerso nella grande città. Per un certo periodo le cose erano andate abbastanza bene. Papà usciva dalla fabbrica verso le sei e si fermava all'osteria fino a ora di cena. Lui, come sua sorella, andava a scuola dalle monache, dall'altra parte del viale e mamma mandava avanti la casa. Poi, quando aveva circa dodici anni le cose cominciarono a cambiare. Papà ebbe un incidente alla fabbrica e rimase invalido ad una gamba. Non poteva più lavorare e gli diedero la pensione. Ma passava le giornate all'osteria e si ubriacava di brutto. La vita in casa era diventata difficile e quando papà tornava erano spesso furibonde litigate e mamma spesso le prendeva...Sempre peggio di giorno in giorno, sempre peggio. Mamma aveva cominciato a fare le pulizie alla Standa per tirare avanti ma le cose andavano sempre peggio. Per la mamma specialmente che stava fuori tutto il giorno a lavorare e quando tornava spesso prendeva anche le botte. Accade tutto in poco tempo, forse tre, forse quattro mesi: mamma se ne va con uno che portava il camion per la Standa, papà va in ospedale, poi esce, poi torna in ospedale e poi al cimitero.

Caterina, la sorella, aveva già sedici anni e aveva imparato a tirare avanti la casa. Di andare a scuola non se ne parlava più e Tonino cominciò a lavorare dal sor Ignazio che faceva il carrozziere e tutti lo chiamavano Zagaja perché balbettava.

Vennero altri giorni difficili. Caterina, che era rimasta incinta, se ne andò a vivere al Nord con uno più grande di lei. L'istituto volle indietro la casa e Tonino cominciò a dormire a bottega. Ma i soldi che prendeva gli bastavano appena per vivere anche se ogni tanto Mamma gli mandava qualche cosa alla posta.

Fu facile imparare a aprire le Mercedes. Con uno spadino, delicatamente, fino che sentivi un piccolo scatto. E poi via... via a tutta velocità ...di corsa allo sfascio. In quindici minuti la macchina era tagliata. Quaranta, cinquanta e qualche volta anche centomila lire a sera. Ernesto portava la lambretta e si prendeva una piccola parte. Aveva ventun anni, due camere al palazzo vicino alla posta e girava con la Giulia. La domenica con Ernesto, la cugina e altri tre o quattro sbandati come loro andavano al mare e poi al ristorante. Poi vennero quattordici mesi di carcere per aver mandato fuori strada una pantera della polizia che lo inseguiva.


La vita in carcere non era facile ma Tonino aveva imparato a usare bene il coltello e poi era uno che si faceva gli affari suoi. Quel giorno che quello zozzone del barese fece la festa a Santino che aveva appena diciott'anni Tonino imparò che non era difficile aprire qualcuno. Bisognava affondare bene il coltello e tirare su. Il barese non riusciva a vederlo perché era buio alle lavanderie e perché aveva gli occhi coperti di sangue, ma lui stette per diverso tempo a fissarlo che si reggeva la budella. E come provava a gridare gli dava un calcio sulla faccia. Il Barese non parlò, meglio per lui... Tonino finiti i due anni tornò al suo quartiere. Mercedes, qualche Alfa e una volta una Maserati. Ma quella Maserati era sfortunata e lui era ubriaco: gli dettero due anni.

Poi venne il periodo delle BMW. Quelle non le tagliavano perché c'era uno che gli rifaceva i numeri. E le pagavano bene. Ma bisognava portarle lontano e la strada era pericolosa e spesso incontrava la polizia. Fu così che con Salvo, il figlio di Zagaja, si fecero un rappresentate di gioielli. Non fu facile perché quello non mollava la valigia. Dovettero trascinarlo quasi duecento metri. Ma per fortuna quello sbatte conto il marciapiedi e molla la valigia. Ma parecchi li avevano visti e anche il rappresentante sarebbe stato capace di riconoscerli. Per un bel periodo stette senza lavorare anche perché la valigia era piena e aveva fruttato bene.

Al ristorante dello stabilimento dove andava la domenica aveva conosciuto Marisa, una che lavorava per uno. Ma questo era balordo, un mezzo drogato e Marisa alla fine andò a stare da lui. La sera l'accompagnava in fondo al vialone, dietro la Snia, dove c'era il piazzale dei camion e si metteva dietro la cabina dell'elettricità a controllare che tutto andasse bene. Marisa stava laggiù, si vedeva appena. Montava sulle macchine e andavano sul pratone.

Anche lui era andato sul pratone da ragazzo. Parecchie volte. Prima con Firmina che era una che andava con tutti ma era una mezza matta. Poi con la moglie del macellaio, la cugina di Ernesto e tante altre...

Adesso il pratone lo frequentavano le puttane e c'era proprio un bel movimento...

Quando Marisa si ammalò gli dette un pò di soldi e la rimandò al paese suo. Con quei quaranta milioni Marisa si comprò una frutteria e qualche volta gli scriveva.

Coi soldi che gli erano rimasti comprò due ucraine da uno zingaro. Le ucraine sono brave, sanno il mestiere e sono pulite. Anche la casa era pulita. Ma qualche volta aveva dovuto picchiarle di brutto perché volevano andarsene. Che stronze!, lui le teneva come due regine, non gli faceva mancare niente e quelle se ne volevano andare... Stavano bene le negre che ogni tanto ne trovavano una bruciata!

Maria non si chiamava Maria, ma aveva un nome russo, difficile. Era molto bella e gli costò parecchio. Maria aveva un figlio in Russia e ogni mese gli mandava un assegno e ogni tanto un pacco coi giocattoli che si trovano da noi e che da loro non c'erano.


Il ragazzo stava con la nonna e tutti e due abitavano in una casa vicino Kiev che Maria si era comprata dallo stato e che pagava un tanto ogni sei mesi.

Maria non voleva tornare, ma qualche volta piangeva. Si era affezionato a Maria e qualche volta gli era dispiaciuto accompagnarla al lavoro. Anche le due ucraine andavano d'accordo con Maria e quando la domenica andavano al mare sembravano una bella comitiva.

Adesso abitava in un appartamento a piano terra con un pezzetto di giardino e il posto per la Mercedes. Maria aveva piantato le rose e le curava e queste quando fiorivano erano un spettacolo.

Un'estate partirono tutti e quattro e andarono in Ucraina. Tonino aveva paura che le due galline sarebbero volute rimanere al paese loro, ma dopo sei giorni di caldo e zanzare furono loro a fare i bagagli per prime.

Adesso al piazzale c'erano anche le negre e tre quattro travestiti. Ma l'aria si era fatta pesante. Un albanese aveva provato a stringerlo con la macchina ma lui l'aveva mandato fuori strada. La sapeva guidare bene la macchina e poi l'albanese non era madama con la Giulia...

Ma quella sera c'era qualcosa che non andava.

Maria era rimasta a casa e dopo aver accompagnato le galline al lavoro Tonino decide di andare da Ernesto per prenderlo e portarselo con lui. Ernesto adesso faceva l'elettrauto, ma sapeva usare bene il coltello e era sveglio. E poi era un amico, forse l'unico e quindi il migliore. Mettendo in moto si accorge dallo specchietto che una macchina dal pratone parte insieme a lui. Imbocca il vialone e quello dietro. Accelera e quello accelera. Allora gira per il ponte e prende per la tangenziale e quello sempre dietro.

Sulla tangenziale la Bmw che lo inseguiva gli si avvicina. C'erano diverse macchine sulla tangenziale e non poteva correre. E poi quella Bmw camminava come un'addannata.

All' imboccatura della prima galleria gli sta a cento metri, ma ecco che quelli cominciano a sparare.

In mezzo alle macchine, come nei film. Tonino ce la mette tutta, ma la machina sua è molto più pesante e lenta. L'uscita per la statale la imbocca a quasi duecento all'ora e la Mercedes sbanda e quasi si traversa. Ma Tonino la riprende e imbocca la statale che a quell'ora era sgombra. Le curve della statale le conosce bene e riesce a prendere parecchia distanza dagli albanesi che però non lo mollano.

- ``Ma certo! Mi stanno facendo perdere tempo!''

- ``Che fesso non c'ho pensato...!''

Tonino entra al piazzale della Esso, inchioda e con un testacoda riparte a tutta velocità nell'altra direzione. Mentre esce dalla Esso arriva la Bmw degli albanesi, ma quelli sono lenti e non fanno in tempo a frenare e lo prendono di striscio sulla coda. Tonino sbanda ma poi regge la macchina; gli albanesi no. Vanno dritti, entrano alla Esso. Prima prendono di fianco l'insegna e poi in pieno, dritto per dritto contro il ponte del lavaggio. Ok, il gioco è finito.

Tonino corre a mille verso casa.


La luce lampeggiante blu dei pompieri la vede da lontano, appena girato dalla piazza.

Lascia la macchina a duecento metri e corre verso casa dove si vedeva il fumo e c'era il camion del pompieri. La gente stava intorno, sul marciapiedi, molti affacciati alle finestre, qualcuno gridava qualcosa. Gianni il barbiere lo prende per un braccio.

- ``Maria l'hanno portata via con l'ambulanza proprio adesso...''

- ``Che gli hanno fatto?''

- ``Pezzi di merda, sono entrati e hanno cominciato a picchiare ma Maria urlava e il muratore, Gino, ha sentito e ha preso il piccone e uno l'ha preso su una spalla e gli ha fatto un buco così. L'altro bastardo è scappato ma prima ha buttato la benzina e ha acceso...''

- ``Ma Maria...''

- ``Maria era piena di benzina ma Gino e il cognato l'hanno presa e sono riusciti e spegnerla... è ridotta male, però...''

- ``Bastardi, pezzi di merda...''

- ``Sono quegli albanesi, Ginko... sì! Ginko... si chiama Ginko quel fijo di mignotta''

- ``Dove stanno?''

- ``Non lo so, una volta li ho visti dietro a Panorama ma non lo so dove stanno...''

- ``Li trovo... stai tranquillo che li trovo...''

Tonino monta sulla Mercedes e corre al pratone. Spegne i fari e si avvicina. Dentro una Opel una negra di Ginko sta facendo un lavoro a uno.

All'improvviso Tonino apre la portiera della macchina e afferra la negra per i capelli e la sbatte giù dalla macchina. Quella urla per il dolore e la paura e quel vecchio che gli stava sotto coi pantaloni tirati giù rimane immobile con tutto l'uccello di fuori.

- ``Dove sta?'' - mentre col coltello gli segna la gola.

- ``No male... No male... dico io... dico... tu no male''

La negra parla, indica con precisione la casa dell'albanese. Ma Tonino ha il coltello caldo e glielo infila in pancia. Ma non tira su...

Il vecchio intanto è bianco come un morto e inebetito gli porge il portafogli, tremando, forse pensa ad una rapina.

Tonino senza dire una parola pulisce il coltello sulla gonna della puttana, prende il portafogli e torna alla macchina.

Ha capito dove abita l'albanese. In quel palazzo una volta ci stava lo strozzino dove andavano quando non c'erano soldi. Lo conosceva molto bene quel palazzo...

Carica le due ucraine e le accompagna da Ernesto. Ernesto dormiva e la moglie si è spaventata quando ha visto il sangue sui pantaloni di Tonino. Ma Ernesto è uno regolare e non ha fatto domande.

La casa dell'Albanese è in un palazzo anni settanta, rifinito a calce sbruffata ma molto elegante. Quattro piani, dà su un cortile con altre quattro palazzine intorno.

Grandi alberi nel cortile e molti fiori. Anche una fontana da una parte, coi pesci rossi... Quando andavano dallo strozzino una volta la sorella gli disse di giocare coi pesci rossi che lei doveva tornare su per fare i conti. Ma i conti erano lunghi... Chi ci rimise di più fu un pesce rosso, il più grosso ma anche il più fesso e come saltava sulla ghiaia! Avrebbe voluto urlare, il pesce rosso, ma non gli veniva... Poi si è calmato, un sussulto... un altro sussulto e basta. E guardava per aria e sembrava meravigliato di tutta quella luce...

Il condominio è tutto recintato ma proprio sotto la casa dell'albanese c'è un pino. Tra la recinzione e il terrazzo dell'albanese.

E' un attimo, Tonino è su: non ha sentito niente nessuno. L'albanese sta nella camera accanto al terrazzo, una camera da letto e sul comodino si vede il cucchiaino e una bottiglia. Sta sul letto e vede la televisione. Ma è caldo e le finestre sono aperte. Si sente sicuro il bastardo...

Quando Tonino spalanca la porta quasi inciampa in una nuda che stava per terra, ma questa è fatta e lo manda a fare in culo e si gira dall'altra parte. L'albanese invece ha già capito tutto e sta andando a prendere la pistola sul comò. Ma non arriva al comò che il suo sangue caldo è già arrivato sullo specchio. Esce a grossi schizzi dalla gola. Forse l'albanese fa in tempo a guardarsi allo specchio prima che si riempia di sangue. La puttana che stava con lui vedendo tutto quel sangue comincia a urlare ma basta l'abat-jour a farla stare zitta. L'albanese non si muove più e il sangue continua a sgorgare a fiotti, come la fontanella in cortile...

Ernesto vedendo tutto quel sangue addosso a Tonino capisce subito che non è il suo.

Le due ucraine stanno in salotto e piangono a singhiozzi. Simona, la moglie di Ernesto, con uno straccio pulisce il sangue dal pianerottolo e dall'ascensore mentre Ernesto va in bagno con Tonino che si deve lavare.

- ``Maria sta all'ospedale al reparto grandi ustioni. Mara e la figlia del portiere sono andate con lei in ambulanza.''

- ``Come sta?''

- ``Uno schifo, la faccia è bruciata, anche le spalle ma pare che non sono bruciature profonde... Ce la farà.''

- ``Chi c'è con lei?''

- ``Nessuno perché al reparto non ti fanno stare, neanche i parenti...''

- ``Soffre?''

- ``Mara ha parlato con un dottore e quello dice che è molto doloroso ma che adesso gli davano qualche calmante... Maria si lamenta appena...''

- ``Dobbiamo portare via la macchina, lontano. Prendi la tua e vienimi dietro''

Ernesto prende la sua macchina, il fiorino della ditta e si mette dietro alla Mercedes di Tonino.

Tonino imbocca il raccordo ed esce sulla strada che va al mare. Alla prima piazzola si ferma e scende.

Apre il bagagliaio della Mercedes e prende un pacchetto da sotto la ruota di scorta. Saranno le quattro è buio, nessuno li ha visti. Monta sul fiorino di Ernesto e tornano a casa. All'incrocio prima del raccordo ci sono i carabinieri. Ma fortunatamente hanno già un cliente: un camionista che porta le bestie al macello sta facendo vedere i documenti all'appuntato e l'altro carabiniere, quello con la machine-pistol sta troppo dietro per vederlo bene in faccia. Ernesto sa il fatto suo, fa il disinvolto e fa finta di parlare con Tonino. Quando scatta il verde e il fiorino riparte, ricominciano a respirare.

Tonino e le due ucraine passano due giorni da Ernesto ma sanno che non possono stare a lungo. Tonino è ricercato dalla polizia ...e dagli albanesi.

Sarebbe meglio la polizia, ma stavolta se gli va bene sono vent'anni. Vent'anni di carcere a quarant'anni è la fine. Quando esci sei da buttare, la vita è finita!


Sarebbe stata bella la vita.

Con Maria. Sarebbe stata proprio molto bella.

Maria era bella e in questi quattro anni era diventata ancora più bella. Le si erano addolciti i lineamenti e quella piccola ruga sul sorriso gli piaceva proprio tanto. E quando rideva si illuminava... Una volta si era svegliato dal sonno, forse si sentiva osservato. Maria stava accanto a lui, sveglia e lo guardava. E aveva gli occhi umidi. Povera Maria, quante ne aveva passate...

Adesso avrebbe potuto respirare un pò.

Avrebbero smesso quella vita. Aveva dei soldi alla posta, non tanti. Ma al paese di Maria si poteva vivere con poco e sarebbe bastati per molto tempo. Forse per tutta la vita...

Invece tutto era finito.

Doveva scappare. Da solo. Solo come è sola una bestia davanti ai cacciatori. Lui Maria forse l'amava. Amore è una parola, ma non è quella giusta. Ci stava bene insieme. Le ore passavano leggere. Gli piaceva stare a tavola con Maria, quando lei gli faceva la porzione. E gli piaceva guardarla quando lavava i piatti o quando stirava.

Scene di una vita familare, una vita come tutte le famiglie, quelle normali. Adesso Maria stava in un letto all' ospedale e fuori dalla sua stanza un carabiniere.

Non poteva andarla a trovare, a dirle che voleva vivere con lei per tutto il resto della vita, a dirle che sarebbero stati proprio bene insieme... E forse era meglio così. Ognuno per la sua strada senza troppi rimpianti.

- ``Ernesto, senti... In questi libretti della posta ci sono duecentosettanta milioni. Cinquantamilioni li dividi tra le due galline e le metti sul treno per il paese loro. Tutto il resto è per Maria. Stalle dietro, falla curare. Poi la riaccompagni al paese suo.''

- ``E tu?''

- ``Io sparisco. Qui non c'è posto per me.''

- ``E dove vai?''

- ``Ernè, non lo so, ma il mondo è grande. Sono quarant'anni che sto in questa merda...''

Uscirono di casa alle sei.

Tonino senza farsi vedere da nessuno salì dietro al fiorino e si accovacciò. Quando furono vicino alla stazione Ernesto si fermò in doppia fila e scese dal fiorino.

Apri la portiera dietro del furgoncino e Tonino uscì con disinvoltura. Si guardarono per un attimo. Senza parlare.

Ernesto avrebbe voluto almeno abbracciarlo. Ma non gli veniva... Tonino con la destra si slaccia il rolex d'oro: - ``Questo dà troppo nell'occhio...'' - Prende la mano di Ernesto e glielo stringe nella mano, si volta e si incammina ai treni.

La stazione era piena di gente ma c'erano anche dei poliziotti, proprio davanti al varco che doveva attraversare.

Mentre cerca una soluzione arriva un gruppo di persone con un prete in testa. Immediatamente si mette in mezzo al gruppo e con loro sale sul treno. Il treno parte dopo pochi minuti. Senza fischi, senza clamore, prima piano, appena impercettibilmente, poi sempre più velocemente.

Velocemente via, lontano da tutto, dal quartiere, dalle puttane, dai morti ammazzati, dagli albanesi, da Maria...

Saranno state le due; o forse le tre. Adesso il treno viaggiava lentamente. Tonino stava quasi affacciato ad un finestrino vicino alle porte del vagone. Dal corridoio degli scompartimenti si sentivano respiri pesanti, qualcuno russava.

C'era una luce in fondo alla campagna. Intorno tutto era buio, senza luna. La luce era un lampione e dietro il lampione una casa semplice e una 128 verde. La casa e la luce lentamente scompaiono. Al loro posto un'altra luce, un'altra casa, poi buio, poi un gruppo di luci più lontane. Le mani in tasca gli fanno male a stare ferme. Doveva stare lì a guardare le luci lontane. Ma le mani volevano afferrare, colpire, strappare...

``Chi ci abita in quella casa? Ha mangiato, ha visto la televisione e adesso dorme, magari sta scopando sua moglie, no sono le due: è troppo tardi al massimo a mezzanotte; ti devi alzare presto.

Una tirata più forte piena il fumo entra in profondità nei polmoni, sapore cattivo, di salame; l'aria calda e le cicale; che casino fanno le cicale, più casino del treno. Fumo, la brace della sigaretta afflosciata risucchiata via, la cenere col mignolo, non sento il calore...''


- ``Mi scusi potrebbe offrirmi una sigaretta?...'' - Alla destra di Tonino era apparsa una donna. Tonino non aveva sentito aprire la porta del corridoio. Un vestito sul verde con dei disegni e bottoni piccoli bianchi, sandali con un pò di tacco.

Qualche chilo in più specialmente lì vicino alla cinta del vestito. I capelli ricci tirati un pò indietro scuri, forse neri.

- ``Ce l'ho nella borsa in alto e ho paura di svegliare tutti...'' - come per scusarsi e superare l'imbarazzo. Era imbarazzata. Tonino la stava guardando e non aveva risposto. Il silenzio era pesante. Adesso lei era pentita di averglielo chiesto. Tonino le stava guardando gli occhi. Capiva il suo imbarazzo, forse si vergognava...

Trentacinque o forse quarat'anni, il sabato col carrello al centro commerciale, una mamma come tante, con la casa pulita e i punti del latte che ti regalano gli asciugamani. Finalmente Tonino con la destra tira fuori le sigarette dal taschino. Lei si sente sollevata. Diretto, senza preamboli, la colpisce:

- ``Come ti chiami?''

- ``...Ida...''

Ida non avrebbe voluto rispondergli. Avrebbe voluto dirgli: ``Che te ne importa'' o ``Non sono fatti tuoi''. Al bar dove lavora spesso aveva risposto a qualcuno che faceva lo stupido. Ma adesso Ida aveva gli occhi un pò abbassati. Li chiuse quando l'accendino si accese e li riaprì tirando con la sigaretta. Adesso lo guardava; la sigaretta le aveva dato coraggio. - ``Da dove vieni?'' - ``Da Perugia, in provincia. Abbiamo un bar da tre anni, ma prima facevo la sarta. Adesso ci facciamo le ferie in Sicilia. Mio marito fa pesca subacquea e dice che è molto bello, ma io un pò mi rompo perchè dove andiamo noi non c'è quasi niente. L'altr'anno siamo stati a Marettimo. Un posto bellissimo ma un caldo... Eppoi manco un negozio''.

Adesso non la smetteva di parlare. Le stava raccontando tutta la sua vita. Del bar che avevano rilevato da una zia di Alfredo, il marito, che gli davano un tanto al mese e che adesso il bar andava bene, che le vacanze prima le facevano a Pesaro, ma che poi Alfredo si era appassionato di pesca subacquea e che avevano cominciato ad andare in Sicilia. Quest'anno andavano a Ustica e sperava che ci fosse un pò più di movimento. Una sta tutto l'anno chiusa in un bar in un paese di seimila abitanti e poi le vacanze le fa in un posto ancora più disabitato. Era meglio Pesaro almeno una il pomeriggio poteva fare una passeggiata in città e i bambini si divertivano. A Marettimo non avevano trovato quasi niente e la gente era strana, poca voglia di parlare e un pò diffidente... pescatori... Sì il posto era molto bello, ma caldo, che caldo che avevano patito! Fino alle sei del pomeriggio non girava nessuno e la casa che avevano affittatto non aveva neanche la televisione. Avevano speso poco, meno che a Pesaro e poi compravano il pesce che era freschissimo, appena pescato. Ma la casa che avevano preso in affitto era un pò lontana dal paese e la sera a tornare era buio e potevi inciampare.

Tonino stava per essere sopraffatto da tutte quelle chiacchere. Ida gli parlava appoggiata al finestrino, la destra con la sigaretta in alto vicino alla bocca e l'altra appoggiata sulla pancia toccava il gomito della destra. Nel complesso insignificante. Si vedeva che era ingrassata di recente perchè il vestito le tirava sui fianchi. Le gambe era belle, dritte ma anche sulle ginocchia si vedeva che era ingrassata.


Ida stava raccontando che avevano fatto amicizia con dei milanesi che avevavo anche loro due figli, ma spalancò gli occhi quando Tonino le prese la sinistra e la premette forte contro i suoi pantaloni.

- ``Tu... Tu... Tu sei...''

- ``Zitta! stai zitta...'' - e con l'altra mano si tirava giù la lampo. Ida era impietrita. Lo fissava impaurita e sgomenta. Avrebbe voluto dire qualcosa ma lui la fissava. Ida si lasciava guidare la mano. No, non poteva lasciarlo fare, doveva urlare, svegliare tutti: Alfredo, i bambini, quelli che dormivano... Ma era duro e caldo e le piaceva stringerlo forte. Tonino aprì la porta del cesso e la spinse dentro. Si sentiva forte il rumore del treno. Lui le scoprì il seno, grosso e lei, appoggiata col sedere sul lavandino, lo accolse tra le gambe. Tonino era furioso. La stava scopando con rabbia. Lui la stava usando e lei si faceva usare. Doveva essere una sveltina, ma non riusciva a venire. Forte, sempre più forte, ma non riusciva a concludere. E allora più forte, ancora più forte. Lo sentiva nel cannello, caldo ma non usciva. Ida era sconvolta e lo stringeva con le gambe e le unghie nella pelle. Dieci, venti, forse trenta minuti, non si finiva mai. Era rabbioso e sudato. Poi fu liberato, ma senza piacere. Aveva il fiatone e il sudore gli colava dalla fronte. Ida era sfinita e lasciò cadere le braccia, lasciando la presa delle gambe. Adesso risentivano il rumore del treno: aveva ricominciato a correre e dal finestrino del cesso entrava una violenta corrente d'aria calda. Si sentiva un forte odore di disinfettante e di piscio. Tonino teneva lo sguardo basso, guardava altrove. Ida era proprio insignificante, il naso irregolare e le labbra sottili. Gli faceva schifo. Ida fece per abbracciarlo e lui se ne distaccò.

La cosa finì lì senza parole, addii, promesse. Non una parola. Tonino non voleva parlare, Ida non sapeva che dire e si vergognava. Si rivestirono in silenzio. Fuori dal cesso Tonino prese una sigaretta e la avvicinò alle labbra di Ida che la prese con le dita. Le accese la sigaretta e si girò. Entrando nello scompartimento la vide in fondo al corridoio che fumava e lo guardava. Chiuse la porta dello scompartimento, inciampò nel piede di uno e si mise seduto. - ``Marettimo... deve essere un bel posto...'' - e prese sonno.


Il treno su cui era salito era diretto verso il profondo sud.

Era senza biglietto e al controllore farfugliò che forse l'aveva perso oppure dimenticato.

Pagò anche l'ammenda e poi sprofondò in un turbinìo di pensieri: ripassò mentalmente gli accadimenti recenti, nessun rimorso per ciò che aveva fatto, solo una stretta alle visceri ogni volta il suo pensiero andava a quella poveretta di Maria.

Non fece che pensarci durante quel lungo viaggio.

Aveva trattenuto poco denaro con sé, appena per vivere qualche mese; ma questo non lo preoccupava tanto: sapeva che dalla sua travagliata vita aveva ricavato quella certezza di sapersi sempre tirare fuori dagli impicci.

Eppoi il mestiere lo conosceva bene, bisognava però passare inosservato e non esporsi per un certo tempo, quindi considerò inevitabile di doversi eventualmente procurare un lavoro umile e nascosto, di quello in cui non c'è neppure bisogno di dire il proprio nome.


Quando il treno arrivò alla sua ultima fermata,Tonino si trovò in una caldissima Siracusa.

Scelse la più sconsolata locanda che riusci a trovare e passò i successivi due giorni a studiare la cartina geografica per tentare di indovinare un angolo di quella remota regione dove non era mai stato, che si prestasse come nascondiglio dove passare inosservato almeno qualche mese.

Gli venne in aiuto un labile ricordo: gli venne in mente una cosa ascoltata distrattamente alla Tv a proposito dei pescatori della zona di Mazzara e di quella frammistione con la razza africana con cui erano formati gli equipaggi delle barche da pesca. Gli parve una buona idea quella di mescolarsi tra gente di razze diverse e quindi in mancanza di piani migliori lo stesso giorno prese un treno per Trapani.

Ma quando arrivò capì quasi subito che in quella comunità colorita e vociante, già il suo accento settentrionale poteva destare sospetti e che comunque lui che di pesca non conosceva niente, avrebbe trovato difficoltà a cercare lavoro su uno delle centinaia di pescherecci che costituivavo la flotta di Mazzara.

L'idea successiva gli venne per caso, vagando in cerca di una pensioncina, l'occhio gli cadde su una ammiccante locandina che proponeva l'affitto di stanze, in una delle isole Egadi che stanno di fronte a quell'angolo della Sicilia. Era proprio Marettimo.

Chissà perché quella casuale combinazione gli parve di buon auspicio, doveva sparire e il fatto che il caso gli stesse indicando ripetutamente quella direzione gli parve in linea con il progetto di scomparire.

Pur essendo ancora in piena stagione turistica l'affitto non era per nulla fuori delle sue possibilità, sicchè il nostro quando scese dal traghetto a Marettimo si calò nei panni di un comune turista nordico che viene a passare qualche settimana in un normalissimo posto dove altre anonime persone normali trascorrevano il meritato riposo estivo.

Passarono i primi giorni e a Tonino, che mai in vita sua aveva neppure fatto affacciare alla mente l'idea di concedersi pace, quelle pacifiche giornate cominciarono a fare un certo effetto. Da un lato gli sembravano un pericoloso invito a dare un colpo di spugna al suo passato e, come si dice, a cambiare vita, a cercare magari in quell'isola un onesto lavoro e a ricostruire un'esistenza senza le brutture con cui l'aveva riempita per quarant'anni. Poi si ricordava che era un ricercato, un assassino, che nella sua vita non aveva fatto altro che il ladro e il magnaccia, e questi cupi ricordi lo respingevano nella nera considerazione che da quel solco non era possibile uscire. O almeno non facilmente...

Fu mentre si arrovellava per l'ennesima volta su quella scommessa sull'impossibile, che, in un tardo pomeriggio, il destino portò i suoi passi su un arenile di ciottoli.


C'era un vecchio, molto vecchio, seduto sui ciottoli che aggiustava le reti. Tonino si mise prima ad osservarlo da qualche metro, poi un impulso irrefrenabile lo fece accoccolare accanto. Il vecchio stava in una scomoda posizione e con l'alluce di un piede teneva stesa la rete su cui lavorava. Come preso da un inconsueto moto di commiserazione Tonino prese delicatamente quell'angolo della rete e col suo dito rimpiazzò l'alluce.

Il vecchio ritirò lentamente il piede poi guardò senza mostrare sorpresa il volontario aiutante e senza dire una parola continuò il suo meticoloso lavoro.

Rimasero in quella posizione per un'ora intera. Tonino fissava come incantato quelle scarne dita muoversi con pacata agilità sulla trama della rete e senza neppure esserne consapevole la sua mente registrava tutti i movimenti come a volere carpire dai quei gesti millenari qualcosa di ben più profondo di una tecnica per ricucire lembi di qualcosa di lacerato. Quando fini il vecchio si alzo con fatica, Tonino accennò a un gesto per aiutarlo a sollevarsi e fu a quel punto che lo sguardo del vecchio si posò lungamente su di lui e poi dalla bocca usci un sommesso ``Grazie!''. S'incammino e lentamente spari dentro l'abitato.

Il fatto, l'episodio, ebbe il potere di mettere in subbuglio la già frastornata mente di Tonino.

Già stupito per quell'inedito moto di pietà, ma forse era altra cosa, che l'aveva mosso, gli capitava di collegare confusamente ciò che aveva sentito accanto al vecchio, con il suo inconfessato desiderio di pace e quella rete gli tornava in mente come a rappresentare la sua vita lacerata, ma che mani sapienti potevano cucirne i lembi.

Passarono altri giorni. Già i turisti cominciavano a lasciare l'isola e infatti si cominciava a sentire nell'aria il rientro in una vita che scorreva secondo ritmi diversi col finire della stagione.

Tonino aveva cercato ancora il vecchio, aveva anche chiesto in giro, ma di vecchi l'isola era piena. Eppoi non gli appariva per nulla chiara la ragione che lo muoveva per reincontrarlo, anzi avvertiva come un vago senso di pericolo a lasciarsi prendere dai pensieri che gli si erano generati dentro in quel loro primo incontro.

Invece lo incontrò per caso un luminoso mattino di settembre.

Stavolta accanto ad una piccola barca da pesca. Uno scalpello e un martello in legno. Calafatava. Tonino non sapeva neppure che si dice così, ma fu contento quando lo vide e avvicinandosi come si fa tra stagionate amicizie gli chiese come stava e gli disse subito che l'aveva cercato.

Il vecchio accennò ad un sorriso sdentato e poi rispose un laconico ``Sto quà!'' Tonino guardò in silenzio per qualche istante il vecchio che non si era arrestato nel suo lavoro, poi guardò la stoppa bianca incunearsi tra le tavole del fasciame, ubbidiente al sapiente movimento dello scalpello che incontrava con stupefacente sincronia la testa del martello, eppoi senza pensarci disse: ``Vorrei saperlo fare anch'io questo lavoro''. Passò quasi un minuto intero prima che il vecchio rispondesse e quando lo fece un brivido serpeggiò dentro lo stomaco di Tonino, perche il vecchio disse soltanto ``Guardami''.


E Tonino guardò, guardò per giorni interi; ormai seguiva il vecchio nelle sue giornate di pazienti attività legate alla pesca. Un giorno a riparare le barche, a dipingerle, a segare, piallare, un altro le reti; eppoi all'arrivo delle barche aiutava ad alarle sull'arenile, anche a selezionare il pesce, a metterlo nelle cassette. Ormai lo conoscevano tutti nel paese, tornato definitivamente al suo tran-tran invernale, e, anche se lo consideravano un turista che si attardava, forse rapito da quella tranquilla vita isolana, gli mostravano amicizia e simpatia, soprattutto nella sede della cooperativa dei pescatori dove Tonino passava le ore sempre più lunghe delle serate.

Il vecchio che era stato per lui la chiave per entrare nella piccola comunità, era una fonte di apprendimento costante, gli insegnava i segreti del mestiere di pescatore: ormai lo portava regolarmente con sé su un barchino e andavano sulla punta di un promontorio dietro l'abitato a pescare col bollantino certi pesci che servivano per il consumo locale.

Il vecchio parlava poco e il suo era un apprendistato fatto di semplice imitazione. Tonino aveva imparato a non fare più domande e d'altronde neanche il vecchio ne aveva mai fatte sul suo conto. Tra di loro si era come tacitamente stabilito una sorta di accordo di non parlare di cose personali.

Solo una volta, mentre stuccavano una barca sull'arenile, il vecchio aveva pronunciato qualcosa di lacunoso a proposito di un suo essere stato altrove per tanto tempo, e poi aveva pronunciato con mestizia un nome, come di qualcuno caro che non c'è più.

Anche i paesani erano molto discreti, e questa riservatezza che Tonino interpretava essere nel costume di quella gente a lui faceva molto comodo, anche se lo confinava in un silenzio che rendeva ancora più solitario il suo conflitto interiore.

Inoltre le sue risorse economiche stavano per esaurirsi, e già pensava con angoscia a quello che avrebbe fatto dopo.

Qualche settimana prima si era unito ad un gruppo di pescatori per partecipare ad una vendemmia negli esigui vigneti che c'erano al centro dell'isola, e con sua sorpresa si era visto consegnare del denaro alla fine di qualche giorno di lavoro. Gli dissero che era consuetudine che ognuno dei partecipanti ricevesse una damigiana di mosto, ma che non avendo certamente lui una botte dove metterlo, avevavo pensato di ricompensarlo col denaro.

Che Tonino aveva preso, anche se avrebbe voluto poterne fare a meno.

Forse a causa di questo precedente una sera alla Cooperativa, quello che ne era il presidente gli dice che uno di loro è dovuto andare a Trapani per un intervento chirurgico e quindi se lui voleva poteva imbarcarsi in sua vece su una delle barche per la pesca azzurra.

Tonino ebbe come l'impressione che quell'offerta di lavoro rivelasse un poco dei suoi segreti, che quella promozione da turista a lavoratore lasciasse trapelare una qualche intuizione circa la sua condizione di fuggiasco.

Però ne fu contento per ovvi motivi economici ma anche perché ciò gli consentiva di mimetizzarsi meglio dentro la comunità locale.


Adesso il suo nascondiglio era perfetto anche se il lavoro sul peschereccio era veramente duro e anche un poco pericoloso.

Lo chiamavano ``cianciolo'': si svolgeva di notte, calate le lampare al largo per attirare il pesce, si calava in acqua poi una profondissima rete di recinzione tutt'intorno alle lampare, che poi con l'argano veniva serrata nella parte al fondo con un cavo d'acciaio passato attraverso grossi anelli di ferro e infine si salpava piena di pesce guizzante.

Poi si selezionava il pesce, lo si sistemava nelle cassette e alle prime ore del mattino tornavano al porticciolo dove veniva caricato su un furgone che partiva in mattinata col traghetto alla volta del continente, così gli isolani chiamavano la Sicilia.

Venne l'inverno e Tonino cominciò ad avvertire i segni di una stanchezza che non era soltanto effetto del lavoro faticoso. L'isola che prima gli appariva un rifugio dove nascondersi dalla giustizia adesso cominciava a pesargli come se costituisse piuttosto la prigione dove espiare la pena per i tanti reati commessi. I magri guadagni col peschereccio bastavano appena per pagare la stanza in affitto e per il suo sostentamento. E per staccarsi da quella che ora sentiva come una prigione, occorreva del denaro che lì non avrebbe mai potuto procurarsi.

Giunto a tal punto, le risorse ladronesche che aveva accumulato nei suoi quarant'anni di malaffare sorsero dall'oblio in cui erano state incatenate durante quei sei mesi e Tonino per risolvere il problema della sua evasione dall'isola, s'impose di guardare il mondo che lo circondava con lo stesso filtro a cui si era affidato nei suoi anni precedenti.

C'era in paese una donna, era una vedova e abitava da sola in una villetta un poco fuori il paese. Conduceva una vita agiata e Tonino aveva saputo che suo marito aveva fatto fortuna in Australia, e con la sua morte aveva lasciato un cospicuo patrimonio alla moglie.

Tonino l'aveva ripetutamente incontrata alla bottega dei generi alimentari e si era accorto di certi sguardi di interessamento che la vedova con fare discreto gli aveva lanciato.

L'idea di approfittare di questa situazione per trarne un profitto economico gli parve quindi ideale per procurarsi del denaro e fuggirsene dall'isola. Si dette quindi da fare per un certo periodo per corteggiare la vedova la quale, come lui aveva intuito, era notevolmente ben attirata da quel misterioso individuo dall'accento continentale che si era integrato nel paese e che era anche un bell'uomo.

Tonino con le donne ci sapeva fare e già dopo qualche settimana veniva a fare delle furtive visite nella casa della vedova, la quale oltre ad essere ancora piacente, viveva circondata da un benessere che lasciava immaginare lucrose possibilità. Aveva adocchiato un notevole bottino nei gioielli che vanitosamente la donna portava durante i loro incontri e adesso per lui si trattava solo di attendere l'occasione propizia per impossessarsene e sparire, ma la cosa non era priva di rischi.


Dall'isola si poteva andare via soltanto col traghetto e non era facile conciliare un furto di gioielli e la sua sparizione con l'inevitabile imprigionamento dentro un traghetto per un bel pò di ore. La vedova poteva accorgersi del furto mentre era ancora sul traghetto e lui trovarsi i carabinieri ad attenderlo all'attracco.

Bisognava aspettare e approfittare di qualche evento favorevole.

Mentre il nostro è in tale condizione di attesa avvenne un fatto che scombussolò completamente i suoi piani.

Alla cooperativa che ancora frequentava assiduamente era venuto a sapere di una specie di cassa comune. Periodicamente una percentuale del ricavato della pesca veniva portata in continente per essere investita in titoli di stato.

Quella sera allegramente si conteggiarono venti milioni in contanti che messi in una borsa sarebbero stati portati l'indomani a Trapani dal tesoriere. La borsa venne, sotto gli occhi di tutti, messa dentro un cassetto che fu chiuso con un chiavistello che per Tonino, consumato scassinatore di auto, era un gioco poter aprire.

Anche entrare dentro la sede della cooperativa era un gioco per Tonino che, felice di quella inaspettata nuova possibilità di fuga, vi si intrudusse nottetempo, scassinò facilmente la scrivania, sottrasse la borsa e poi, come aveva premeditato di fare, andò a nasconderla furtivamente in un posto che aveva adocchiato e che l'esperienza gli insegnava essere quello in cui mai nessuno avrebbe rovistato, nel corso delle inevitabili ricerche della refurtiva che si sarebbero inevitabilmente fatte: sotto una lastra sconnessa del cippo alla Madonna che era eretto in un angolo del porto.

Dopodicchè se ne rientrò lesto nella sua stanzetta per dormire qualche ora. All'alba doveva uscire con peschereccio come di consueto.

Fu al rientro nel pomeriggio che già prima di attraccare avvisarono nel porticciolo i segni del trambusto. C'era anche la camionetta dei carabinieri, e a Tonino tremarono le gambe alla loro vista.

Ma tutto filò liscio. I carabinieri sembravano soltanto interessati a redigere un verbale, interrogarono alcune delle persone che avevano visto per ultimi la borsa, ma la sera prima erano almeno in cinquanta dentro la stanza e quindi si limitarono a confermare la deposizione dei capibarca. La borsa doveva essere ancora sull'isola perchè il traghetto non era ancora partito. Ma quando dopo qualche ora partì con un accenno di perquisizione ai tre o quattro passeggeri imbarcati, Tonino sentì che ce l'aveva fatta.

Nei giorni seguenti in paese si commentò abbandantemente l'accaduto, furono fatte diverse velate supposizioni su dei tipi che in paese godevano di fama dubbia e la cosa nel disappunto generale sembrò chiudersi di lì a qualche giorno.

Salvo un dettaglio... L'indomani della scoperta del furto era in programma la consueta uscita per la pesca con il vecchio. Fu mentre erano entrambi assorti nel loro intento che il vecchio se ne usci improvvisamente con un: ``Il denaro bisogna guadagnarselo col sudore, altrimenti è maledetto da Dio!''


A Tonino raggelò il sangue nelle vene vedendo lo sguardo del vecchio puntato come non mai dritto sui suoi occhi.

Ma sapeva controllarsi Tonino, per cui bofonchiò qualcosa a proposito del suo essere d'accordo e poi vedendo il vecchio riprendere tranquillamente il suo bollantino attese che si calmasse il tumulto che sentiva dentro.

Nei giorni seguenti, Tonino, nonostante gli sforzi per convincersi del contrario, andò sempre più convincendosi che il vecchio aveva intuito qualcosa. Ma non riusciva a spiegarsi perchè proprio il vecchio e non gli altri poteva sospettare di lui. Eppure nelle tante ore passate assieme niente che gli altri non sapessero aveva mostrato di sé al vecchio. Ma quello sguardo che si era impresso nella sua memoria non lasciava spazio a dubbi. Il vecchio sapeva che il ladro era lui, ma taceva. Forse voleva metterlo alla prova... forse gli voleva dare una possibilità... forse.

Tonino pensò bene di fare passare un altro poco di tempo prima di annunciare la sua partenza. Non poteva partire di nascosto, ciò avrebbe reso evidente la sua colpa. Bisognava aspettare con pazienza.

Venne la primavera. Ma invece di migliorare il tempo peggiorò severamente. Già da qualche giorno le barche non potevano uscire a causa del mare cattivo. Ma il ``Maestrale'' il motopesca più grosso della piccola flottiglia aveva deciso di prendere comunque il mare.

I più vecchi scuotevano la testa, ma Girolamo, l'armatore e proprietario del peschereccio, fu irremovibile.

L'equipaggio imbacuccato penosamente salì riluttante quel pomeriggio per affrontare quel mare pauroso durante tutta una notte.

Li conosceva tutti Tonino, anche per nome, e quando li vide salpare si rallegrò di non essere al loro posto.

Quella notte molti pescatori vegliarono seduti a chiaccherare sommessamente dentro la cooperativa; anche Tonino era rimasto sveglio e un sentimento di inquietudine lo prendeva talvolta pensando al denaro che aveva sottratto, frutto di quella sofferenza inaudita. Fuori soffiava forte il vento e si sentivano le onde tuonare contro il molo del porto.

Appena un'alba livida e tetra si fece strada nel buio, come ubbidendo ad un dovere doloroso tutti si alzarono e si diressero mestamente verso la testata del molo. Faceva un freddo cane, ma anche Tonino si accodò ai dieci uomini che lo precedevano. All'orizzonte niente. Già la visibilità era scarsa, ma su quel mare bianco di schiuma, avvistare qualcosa era quasi impossibile.

Passarono quasi due ore. Ad un certo punto qualcuno urlò: ``Là, stanno rientrando...''. Man mano che si avvicinava il motopesca mostrò tutti i segni della terribile lotta che aveva affrontato nella notte. Arrancava pesantemente, rotolando con mare in poppa. L'occhio dei più esperti si accorse subito di ciò che era successo. ``Hanno imbarcato tanta acqua, che non riescono a buttare fuori''. Anche Tonino capì i termini della tragedia.


Cosi appesantito non avrebbe potuto reggere, durante la manovra di entrata nel porto, al mare che si sarebbe presentato al traverso.

``Non ce la farà'' - disse Lorenzo, trattenendo un singhiozzo... c'era suo fratello a bordo.

``Bisogna fare qualcosa'' - disse un altro.

``Non c'è niente da fare, solo sperare''. Era una frase definitiva e tutti lo sapevano.

Il motopesca era ormai sul punto in cui doveva per forza allinearsi con la rotta di entrata al porto. Ma indugia ancora, ``Così si fracasserà sugli scogli''.

Ci sono luccichii adesso nei volti scavati della gente.

Appena iniziata l'accostata, un'onda possente afferra il peschereccio e lo trascina su una fiancata dentro la muraglia della diga.

Passato il frangente, sull'acqua due macchie gialle rivelano che la tragedia sta per compiersi. Due uomini in mare: la barca semi affondata, sarà trascinata dallo stesso frangente dentro, ma i due uomini verranno risucchiati dal refluire dell'acqua.

E' un attimo, Tonino si libera del pesante pastrano, corre all'estremità della testata, si lascia cadere giù a chiodo, riemerge dopo pochi attimi, lo si vede nuotare furiosamente verso il primo dei suoi amici, poi faticosamente lo affida ad un altro tra i più giovani pescatori che si è a sua volta tuffato.

Torna indietro, adesso le sue bracciate sono più pesanti, l'altro naufrago è immobile, forse è già annegato, ma con un lentezza esasperante Tonino riesce a raggiungerlo, è un miracolo che riesca ancora a tenersi a galla, l'altro salvatore non può venirgli in aiuto, è gia un'impresa aiutare gli altri sul molo a tirare su il primo salvato.

Tonino scompare e riappare sempre col suo fardello attaccato al braccio. Nuota scompostamente adesso come fa uno che sta affogando, ma non molla la presa. È agonizzante quando giunge sotto il muro del molo e le cento mani tese a colmare quell'ultimo metro scompaiono inghiottite nel buio entrato ormai nella sua mente. Il suo ultimo pensiero fu per Maria.

- Adesso è tutto lento... massiccio... chiaro... quest'acqua è come quel giorno al lunapark, Maria ...ecco adesso scendo ...scendo no Maria ...non ce la faccio stavolta non ce la faccio lampioni strade coltelli Maserati pesci sangue sirene sassi legno...... silenzio silenzio silenzio Maria! sto morendo Maria... a te il fuoco e me tutta st'acqua che stronzata! sasso la consistenza del sasso ecco! sto dentro al sasso ......inutile che vita stupida che silenzio... che silenzio...... -

Quando si svegliò e le ultime nebbie si diradarono dentro il suo cervello, a Tonino sembrò di vedere volti sorridenti, ma gli occhi si impensierirono un poco quando un ultimo mastodontico conato di vomito gli fece espellere l'ultimo dei dieci litri di acqua salata che aveva avuto nello stomaco.

Fu un poco stupito quando gli dissero che erano tutti vivi e che lui aveva salvato da morte sicura due pescatori.


Ma si senti stranamente alleggerito quando gli comunicarono pure che mentre una processione di donne ringraziava la Madonna, sotto il cippo era stata ritrovata miracolosamente la borsa perduta.

A sentire ciò a Tonino non dispiacque tornare nel mondo dei sogni.

Il secondo risveglio fu invece più traumatico, perchè la prima cosa che Tonino mise a fuoco fu la striscia rossa sui pantaloni del maresciallo dei carabinieri che gli piantonava il letto.

Il subitaneo impulso a tentare una impossibile fuga fu però subito contrastato prima dalla fitta alla testa che gli impedì di alzare il capo e poi dal viso sorridente del militare e dalla stanza che era gremita di pescatori dall'aria esultante, dettagli questi che mal si conciliavano con l'intento di eseguire un arresto.

``Dobbiamo fare un verbale dell'accaduto'' - disse bonariamente il graduato - "e per questo mi deve dichiarare le sue generalità''.

Tonino senti piombarsi sulle spalle venti anni di galera assicurati. Adesso avrebbero scoperto la sua identità e ciò avrebbe posto fine alla sua latitanza.

Cercò freneticamente di pensare a qualche scappatoia, e improvvisamente gli sovvenne del pastrano che si era tolto prima di saltare dal molo, li stavano i suoi documenti, ma lui ricordava distintamente il volo in mare che l'indumento aveva fatto portato dal vento.

Certamente il mare aveva inghiottito la sua identità e lui poteva essere un altro qualsiasi. Tentò di parlare, ma la fitta al capo gli fece fare una smorfia di dolore e la lingua impastata emise un suono incomprensibile.

Istintivamente pensò di trarre profitto da ciò, almeno per prendere tempo, ma mentre si accasciava afflosciandosi sul letto, udì distintamente la voce del vecchio mentre si faceva strada tra i pescatori che si accalcavano attorno e come in un dormiveglia ascoltò ad occhi chiusi ciò che avveniva.

Il vecchio si era piantato davanti a tutti, e rivolgendosi ai suoi compaesani gridò:

``E' mio figlio, lui è mio figlio!''

E poi rivolgendosi al maresciallo:

``Marescià, voi vi ricordate che sono stato tanto tempo in Australia quando ero giovane. Ma quello che non sapete è che stavo con una donna italiana che mi disse un giorno che aspettava un piccirillo da me. Io non me la sentivo allora di mettermi sulla spalle una creatura, perciò scappai da quel paese e tornai a vivere qua. Non ne sapevo più nulla da allora. Ma quando lui è venuto quest'estate a cercarmi non lo disse che era mio figlio, ma il cuore a me me lo disse. È mio figlio che ora è tornato e quello che ha fatto oggi è la prova che lui è sangue di questa terra.''

Era commosso il vecchio e alla fine del suo discorso la voce gli tremava, si curvò sul letto del ritrovato figlio e abbracciandolo teneramente andava mormorando: ``Tonino... Tonino... grazie... Dio sia lodato... lo sapevo sai... lo sapevo che eri tu!''


La commozione dilagava adesso nell'animo di tutti, ma l'esultazione ebbe la meglio. In mezzo al gran vocìo che segui il Maresciallo cominciò a scrivere

- Il sunnominato Tonino Miraglia, figlio di Ernesto Miraglia e di...

``Come si chiama la madre?''

Con la voce ancora impastata e con gli occhi ancora chiusi si sentì Tonino rispondere:

``Maria, mia madre si chiama Maria!''

Dopodicchè si lascio scivolare nel primo sonno ristoratore della sua vita sognando della sua ritrovata famiglia.

L'epilogo di questa storia fu che Tonino rimase sull'isola, accanto al vecchio. Di lì a qualche tempo dopo fece venire anche Maria e ora fa il pescatore con la nuova identità, che il riconoscimento della paternità del vecchio, gli ha procurato.

Ma quello che non si potrà mai sapere fu se la storia raccontata dal vecchio era vera. Ogni volta negli anni successivi che Tonino tornava sull'argomento chiedendo:

``O 'pa, ma ce l'avesti veramenti la creatura in Australia?'' il vecchio sorrideva e rispondeva sempre così:

``I figghi persi sò comu la roba che quannu la perdi sai com'è fatta e quannu à ritrovi ti pari diffirenti.''