Barcolana 2000

 

 

Foto dal Piccolo di Trieste per gentile concessione del Direttore della testata a cui va il ringraziamento.

 

Ore 6.05 i miei occhi sono attaccati al soffitto, il pensiero è inquieto, penso a come sarà la Bora più tardi.
La sento sbattere sui vetri della mansarda allo Xenia di trieste.
Ho una barca leggera, tutto compreso 950 kg, l’attrezzatura fatta per “ariette”, al massimo 15-20 nodi, l’equipaggio e io non la conosciamo ancora bene, sappiamo che è veloce di lasco, ma anche che la bolina non è ancora a punto.
Spero di sentire le raffiche calare per prendere parte alla gara, mi seccherebbe rinunciare ad una regata per cui è stato speso tanto in opera e passione, ma niente, il suono è sempre lo stesso.Abbiamo tanti week end per mettere a punto la barca anche per tempo duro, ma sono umano e quindi emotivo, ansioso.
Penso a come proteggere l’equipaggio, mentalmente conto il numero dei giubbotti, degli autogonfiabili, poi mi dico: “In fondo sono solo poche miglia, siamo vicini a terra e non ci sono problemi”, c'è tantisima assistenza e una scuffia è sempre in conto anche con condizioni meteo buone.
Nonostante questo però il pensiero rimane in moto.

Ore 8.30 siamo a bordo di Marina, il nostro Dynamic 24.5 di cui solo più tardi conosceremo la vera anima.
Il comitato rimanda al massimo per le 11 la decisione di partire in giornata o rinviare ad altra data.
La Bora si mantiene non sotto i 30 nodi e ogni volta che qualcuno dice: “....sembra che sia in diminuzione...”, picchia il pugno sul tavolo facendo saltare i “bicchieri”.
E’ decisa a non mollare e voler vincere Lei la regata.
Io approfitto del ritardo organizzativo per riposarmi della notte tormentata dal vento e mi appisolo sul Merak, il Comet di Carlo, barca sicuramente fatta più della nostra per quel vento stizzoso.

 

Un momento di relax su Marina, prima della partenza

 

Come una mandria, il vento mugghia attraverso il sartiame in porto e fischia nelle fessure degli alberi.
Io ritrovo la concentrazione, fino ad oltre le 11 mi rendo disperso all’equipaggio, ho bisogno di stare tranquillo e riposarmi, non pensare al cruccio di rinunciare alla regata o partire con ventone.

La Bora sembra prendere respiro, così informa il comitato e i cuori di tutti si alleggeriscono, sembra di potercela fare e insieme alla flotta prendiamo il mare.
Sull’allineamento c’è addirittura una “disturbata” calma.

Decido di partire in ritardo, conosco gli esiti di straorze in mezzo alle mischie e preferisco partire alle spalle del primo gruppo di barche, quello delle più grandi e “cattive”.
Non voglio avere sul collo le loro prue, nel caso il vento rinforzi o cerchi di “spaccare” la flotta.

Infatti, ecco, la Bora si ripresenta, più bella e più potente di prima.

 

 

Il colpo di vento alla partenza crea scompiglio e panico in chi si trova impreparato, le straorze portano pericolosamente vicino le barche, che a volte collidono, come è capitato a Max e al suo BluSail.


Devo resistere sotto la zona di prepartenza, a cinquecento metri, lo faccio al vento sentendo soffrire filo per filo il poliestre della nostra randa che frigge.
Coi ragazzi abbiamo deciso come invelarci e siamo pronti. Conosciamo il valore del nostro gruppo e non abbiamo paura, ma timore reverenziale in quella forza della natura che è la Bora.

Meno dieci, meno cinque minuti, “ora ragazzi andiamo!”, ordino all’equipaggio di seguirmi e come i fanti usciamo dalle trincee e ci gettiamo in avanti.
La barca non aspetta, prima mette il naso in acqua, poi solleva la carena spiana la poppa e parte.
Si inizia con 9, poi 10 nodi, il timone è leggero, la randa rientra per l’apparente ma il vento rinforza e allora si plana, via oltre gli 11.

Abbiamo una randa terzarolata, e la tormentina a prua che tirano come assassine, mi rendo conto che Marina ha preso vita e come i cavalli di cavalleria sente l’umore delle altre barche scroscia l’acqua intorno a se, vola.

Davanti a noi la maggior parte delle barche, comincia a buttarsi in una assurda orza, fuori dalla rotta giusta per la boa che si trova là davanti, per 208 gradi.
Posso ma non voglio correre per 190 gradi, mi allontanerei ed esporrei più il fianco alla bora che mi metterebbe in straorza.


La nostra velocità, dovuta alla leggerezza e alle linee di carena, ci ha portato in mezzo alle barche più grosse, e ci troviamo pulcini in mezzo ai 14/20 metri, questi tra una straorza e una strapoggia aprono e chiudono piccoli varchi davanti a noi, mentre a poppa formano un muro di tank che avanza e sotto il quale non si deve finire.
A questo punto siamo in ballo e dobbiamo ballare, nessuno nemmeno il più codardo potrebbe fermarsi.

Mentre al solito sulle planate abbiamo sempre gridato di entusiasmo, ora siamo espliciti e lapidari, ogni azione del vento corrisponde ad una nostra reazione verbale, e l'equipaggio si muove all'unisono mantenendo un contegno nonostante la tensione ci tolga il respiro.

Sprono Marina e ficcando la prua nei cavi delle scie degli altri la faccio planare a 15 nodi togliendomi d’impaccio più di una volta, non so come, sono tutt’uno con le appendici della barca, e l'equipaggio con me, ragazzi eccezionali.
In quel momento siamo tutti consci che non si può tornare indietro, nemmeno lascare o fermarsi al vento.
Sulla nostra poppa abbiamo troppe barche e chissà quanti skipper non pronti a manovre di emergenza.
Mi rendo conto del pericolo, a meno di 10 metri i dritti di prua di barche da 10,15,20 tonnellate e oltre spianano la nostra schiuma.
So che se mi giro, mi fermo o rallento la cosa può diventare tragica, siamo più bassi di ogni singola prua che ci segue e si finirebbe inevitabilmente sott’acqua nella migliore delle ipotesi.
Il mio pensiero è per Nada, Mauro, Guido, Andrea, che da mezza nave a poppa sono quasi sempre sui bordi, sarebbero bersaglio facile per la ferramenta di prua e i bompressi di chi ci segue, "siamo al massimo e quindi daremo il massimo".

Mi sgolo con qualche imbecille che ci poggia addosso, con chi non si rende conto della nostra velocità o ci stringe sul primo.
Guido diventa cattivo e morde chiunque si avvicini dalla parte sbagliata sui bordi.
L’adrenalina è a mille e più.


Lo stick e la barra sono in continuo movimento, l’albero passa da sotto a sopra vento più volte, ma le vele tirano e lo fanno in avanti, è impegnativo, ma la mia mano riesce a sfruttare ogni movimento per tenere la barca in rotta, sono angeli che ci guidano e la barca ha un timone che a quella velocità ci porta dove si voglia.
Siamo talmente veloci, che ci troviamo sottovento a tutti questi grandi “alberghi da vacanza” che, anche se a velatura ridotta, ci coprono.
Sono come un bosco fitto dove non passa il vento.
Issiamo tutta la randa, ma la velocità cala ugualmente, dobbiamo accellerare, siamo in ballo, dobbiamo rischiare di più per rischiare meno e issiamo il gennaker piccolo.
La barca accellera, non riesce a scendere nel cavo che l’accelerazione la infila sotto l’onda successiva, la solleva e si spara in avanti, guadagnamo ancora , ma come ci scopriamo i carichi diventano eccessivi e uno splendido equipaggio mi ripulisce la prua, nonostante la scotta del gennaker abbia fatto un giro al boma.
Davanti a noi ormai il vuoto che divide la flotta dei professionisti da quella dei "turisti", siamo ben piazzati, ma non ci interessa, il nostro problema è anche evitare disgraziee, perché la Bora è sempre potente e mentre l’allineamento era di centinaia di metri, il passaggio in boa è per tutti molto, molto stretto e la nostra barca resta la più piccola.
Raggiungiamo le barche più avanti, e ci prepariamo, scambio qualche opinione coi ragazzi poi decido.
Siamo in boa, e freddamente calcolo il “buco” dove passare e meno freddamente azzanno l’equipaggio perché non sbagli la strambata.
Ci infiliamo fra un 42 e un 50 piedi, siamo a un paio di metri fra uno e l’altro, grazie anche alla sventata riusciamo a spostare il boma e cambiare mura, ora le prue sono solo a pochissimi metri, e segano, segano vicino alla nostra poppa, si apre uno spiraglio e grazie di nuovo agli angeli ci tiriamo sopra vento lasciando le barche scadere a poppa.

Altre ci superano perché la nostra velocità si dimezza a causa della andatura di bolina, i più grossi hanno una velocità critica più elevata e cominciano a sfilarci, chi sopra e chi sotto.
Finalmente si tira il fiato.

La Bora continua a “cinghiare” e proprio per la nostra rilassatezza incappiamo in qualche errore.
Nada, sotto raffica, scivola sottovento e rischia di finire fuoribordo, Io per evitarlo mentre con una mano resto aggrappato alla battagliola, con l’altra lascio il timone per afferrarla.
Un trecentosessantagradi poi tutto torna a posto.

Da quel momento qualcuno, Guido o Mauro, non la mollerà più.

Riprendiamo, ma abbiamo perso acqua, “chi se ne frega” dico, dobbiamo solo andare avanti, la regata è già vinta dalla Bora, a me resta solo onorarne il merito e portare a casa la barca.
I ragazzi comunque sono "tosti" e non mollano.
Vedo in lontananza, verso Trieste il vento crescere ancora e penso se ha senso andargli ancora in contro, parlo di motore, ma ne sono così poco convinto che il pensiero mi passa subito, e sono felice che nessuno dell'equipaggio mi incoraggi a darlo.(non sarebbe servito a nulla), poi siamo lì per la Barcolana e la Bora.

Per un momento il vento sembra calare.
Però comincia a saltare, i monti del carso rimescolano l’aria in turbinii e salti che a volte raggiungono i 60°.

Più si sale a nord e più il vento cala ma anche i salti aumentano.

Una raffica che gira ci stende senza darci il tempo di reagire, Non basta che io porti la barca all’orza e Nada sventi, perchè con la complicità dell’onda la barca si sdraia, la randa è in acqua, Tutti attaccati sopravento e io in piedi sulla panca del pozzetto sottovento e l'acqua al ginocchio, guardo il mare pericolosamente vicino al passo d'uomo, mi aspetto di vederlo entrare e impadronirsi della la barca, invece l’albero si solleva e ci ritroviamo prua al vento.

 

 

Qualcuno non ha avuto fortuna

 

 


A questo punto è meglio soffrire di più, ma con i rischi calcolati e ci spostiamo dove la Bora è più tesa ma costante in direzione.
Dirigiamo verso Trieste, avremo più velocità e arriveremo prima.

Il vento alzava un onda ripida, alta corta, non costante, che a volte arrivava in sequenza di due a volte di tre.
Una di queste, di sorpresa dopo una raffica, non mi perdona l'errore di aver rallentato troppo, e così ci spinge indietro.
Sento distintamente invertirsi la coppia di risposta sulla barra, sono in retromarcia, almeno a un paio di nodi,è la sensazione che sento quando con gli amici a Ravenna scherzo navigando in retromarcia.
Riesco a mantenere la prua al vento fino a che sulla seconda cresta sfrutto la discesa nel cavo per partire in avanti, grazie anche ai ragazzi che mantengono dritta la barca e la calma, spostandosi e nello stesso tempo manovrando le scotte.

Dopo esserci fatti sfilare da tanti, mi sembra di essere “un fanalino di coda”, in realtà le barche sottovento non le vedo a causa del polverizzarsi dell’acqua, così a circa un mezzo miglio dal cancello sotto Miramare mi rincuoro, in quanto Nada e gli altri mi dicono che oltre mezza flotta è molto sottovento.
Forse attirati da una pressione minore del vento moltissime hanno preferito il lato più turbolento ma meno intenso del campo di regata.
Comincio a vedere danni intorno a me, cenci di randa in acqua, scafi con monconi d’albero malamente strappati e appesi a nodi di sartiame.

Di colpo “stapp”, si scollega lo stick e via di nuovo in straorza.

Ora conduco da centro barca, mi faccio ammainare la tormentina per vedere meglio e per evitare incroci andiamo a virare al cancello sulla boa nord, poi Mauro Abbate opera una riparazione volante, così posso riprendere il bordo della barca ed essere in sicurezza.


E' il punto in cui la Bora picchia di più, ma ormai è il punto più facile della regata, è il tratto che corre parallelamente alla costa fra Barcola e Miraramere, qui il vento sollevava l’acqua, facendocela respirare, facendo bruciare gli occhi, ma l’intensità è costante, così nonostante i 40 o 50 nodi, una volta messi in assetto molto lentamente procediamo sicuri ormai dalla tempra delle prove passate.

 

 

Non solo i "piccoli" hanno avuto il loro da fare e si sono presi dei rischi, lo scafo scuro è probabilmente costretto a poggiare perchè la barca bianca non gli ha dato acqua e si trova ad affrontare al traverso una raffica troppo forte da tenere anche con il solo fiocco, così si sdraia cercando di controllare una straorza che lo porterebbe "dentro" all'altra barca.

 

 

Sono le 16.09, giungiamo decimi di classe sull’allineamento fra i due rimorchiatori davanti alla barca numero 759 poco dietro e sopravento a noi.

Marina-nautistore sul traguardo

 

Siamo la 203 esima barca su 1750 iscritti e 10 mi su 165 della nostra classe, fra le sole 15 che non hanno capitolato in questa emozionante avventura.
La barca ha retto sorprendendomi con un anima inossidabile che mai avrei supposto sicuramente, l’equipaggio ha reagito sempre e continuamente a ogni sollecitazione come già in passato, non abbiamo rotto nulla se non lo stick, ora possiamo riposarci e posso soprattutto ringraziare un pozzetto splendido, compagno e protagonista di una regata indimenticabile.

 

Mauro